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pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 69. CANNES FILM FESTIVAL I Schede di approfondimento di vari film di tutte le sezioni del Festival I DI GIOVANNI OTTONE I 2016

CANNES 2016

Schede di approfondimento di vari film di tutte le sezioni del Festival

rouge Sezione Compétition Officielle
rouge Sezione Hors Compétition et Séances Speciales
rouge Sezione Un Certain Regard
rouge Sezione Quinzaine des Réalisateurs
rouge Sezione Semaine de la Critique

DI GIOVANNI OTTONE

"Agassi" di Park Chan-Wook

Cannes 2016

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Sezione Compétition Officielle

BACALAURÉAT,  di Cristian Mungiu (Romania) / Best Director Prize ex aequo
SIERANEVADA, di Cristi Puiu (Romania)
DOGS, di Bogdan Mirica (Romania) / FIPRESCI Jury Prize                                                

Lessico familiare
Tensioni, paure e ipocrisia nella Romania di oggi, tra eredità del passato e incerta proiezione futura

Cristian Mungiu, già vincitore della Palme d’Or al miglior film nel 2007 con 4 months, 3 weeks and 2 days, Cristi Puiu, vincitore del Prix Un Certain Regard nel 2005 con The death of Mr. Lazarescu, e l’esordiente Bogdan Mirica, hanno  realizzato eccellenti drammi esistenziali collegati da una tematica comune: le tensioni, le paure e le ipocrisie insiti nella dialettica dei legami familiari. D’altronde, da oltre una decade il “nuovo cinema romeno” è caratterizzato da alcuni temi fondamentali: la descrizione critica del passato recente del Paese, il grave disagio della gente comune durante  il regime comunista e la “rivoluzione” che rovesciò Ceaucescu;  le esperienze esistenziali e sociali contemporanee e quindi  le contraddizioni patologiche nel vissuto delle persone tuttora presenti in Romania. Descrive una società in rapida e drammatica trasformazione in cui gli individui, spesso appartenenti al fragile nuovo ceto medio, faticano ad assumere le proprie responsabilità, essendo condizionati da residuali abitudini mentali e culturali consolidate durante i decenni  precedenti in cui dominavano i metodi di controllo poliziesco e repressivi e di corruzione delle coscienze messi in atto da parte dell’apparato statale del regime comunista. Inoltre evidenzia che spesso, anche tuttora, domina la corruzione, valgono gli stessi metodi e ci si deve salvare singolarmente. Ne consegue la scelta prevalente del genere drammatico, spesso con connotazioni di thriller per configurare i drammi interiori dei personaggi, lavorando per sottrazione, attraverso le pieghe di una quotidianità “normale”, descritta con un realismo di basso profilo, che viene  gradualmente sconvolta.

Cannes 2016

"Bacalauréat" di Cristian Mingiu

 

Bacalauréat, di Mungiu, è un dramma centrato sulla relazione tra padre e figlia. Romeo Aldea (Adrian Titieni) è un chirurgo ospedaliero che da sempre ha preparato l’unica figlia Eliza (Maria - Victoria Dragus) per un futuro di studi all’estero.  Questa, ormai diciottenne,  ha ottenuto una borsa di studio presso una facoltà di psicologia in Inghilterra. Tuttavia proprio alla vigilia dell’esame finale per il diploma liceale, Eliza subisce un’aggressione. La vicenda molto ambigua e la necessità di ottenere comunque la promozione della figlia che  ne è uscita con un polso ingessato ed è turbata, costringono il Dr. Romeo ad agire, tra complicità e  falsificazioni, derogando dai principi morali che aveva insegnato a Eliza, con amare conseguenze. Mungiu ha dichiarato la sua intenzione  di voler evidenziare un’intensa dinamica di confronto familiare e generazionale. La sua messa in scena è rigorosa e diretta ed evita lo sterile moralismo didascalico, anche se nel finale eccede nel giustapporre troppo tutti i fili della storia.

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In Sieranevada, di Puiu, Lary (Mimi Br?nescu), un neurologo quarantenne si reca, insieme alla moglie, nell’appartamento della madre per commemorare suo padre nel giorno dell’anniversario della morte avvenuta  poche settimane prima. Durante i lunghi preparativi per la cena, in attesa di un pope invitato per l’occasione, i familiari e altri ospiti discutono di attentati e violenze nel mondo, ma anche del passato comunista in Romania, tra menzogne e confessioni sul privato dei vari ospiti. Il film esplora lucidamente passioni e rancori reconditi nell’ambito delle relazioni familiari, coinvolgendo pienamente lo spettatore con un raffinato gioco di inquadrature nello huis clos dell'alloggio. Puiu ha dichiarato che i protagonisti, subissati da un dolore e da un malessere che non riescono a comprendere, si rifugiano nella discussione di argomenti fittizi per nascondere le loro paure dietro lo schermo della “realtà concreta”. 

 

Cannes 2016

"Sieranevada", Cristi Puiu

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Cannes 2016

"Dogs" di Bogdan Mirica

 

Câini (Dogs), opera prima di Bogdan Mirica, racconta la vicenda di Roman (Dragos Bucur), un giovane che si trasferisce in un remoto villaggio isolato al confine tra Romania e Ucraina. Intende vendere  una vasta proprietà terriera che ha ereditato dal nonno recentemente scomparso. Ma scopre che il defunto era un potente gangster e che utilizzava il terreno per compiere squallide transazioni illegali. Roman si rende rapidamente conto dell’ostilità dei locali, individua tipi sospetti e subisce pressioni  e provocazioni, ma è determinato a concludere la vendita. Mirica costruisce un thriller molto dark, viscerale e intrigante, giocando sulla sensazione di minaccia incombente. Mostra un’interessante approccio antropologico e sociale realistico e un abile disanima  del labirinto di implicazioni  psicologiche e morali connesse all’orgoglio maschile e alla violenza. Tuttavia le referenze a Peckinpah, motivi alla Tarantino, disseminati qua e là, e l'atmosfera Tex / Mex rendono il film troppo scolastico e in parte dissonante con il contesto antropologico.

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Questi tre film, e molti altri realizzati dal 2000 ad oggi da  una generazione di registi romeni nati tra il 1966 e il 1975 (oltre a Mungiu e Puiu anche Corneliu Porumboiu, Catalin Mitulescu, Radu Muntean, Calin Peter Netze, Tudor Jurgiu, Radu Jude, Adrian Sitaru, Alexandra Gulea, Florin ?erban, Ana Lungu, il compianto Cristian Nemescu e altri, formatisi quasi tutti presso l’Università Carangiale di Bucarest), presentano caratteri estetici largamente comuni e ben riconoscibili: linguaggio espressivo minimalista e cruda messa in scena realista, con valorizzazione dei tempi morti e dei particolari; narrazione che simula il tempo reale con una tensione controllata che si sviluppa sottilmente e genera brevi e violente esplosioni, non prevedibili, ma sempre conseguenti lo sviluppo della storia e aliene dalla logica del climax, generalmente spente da un epilogo improntato all’understatement; sprazzi di comicità amara e surreale; osservazione accurata e pedinamento visivo compulsivo dei personaggi; lucido resoconto delle modalità comportamentali ossessive o disperatamente tenaci e delle frustrazioni dei protagonisti, evitando lo psicologismo di maniera e la catarsi moralistica; prevalente e sapiente utilizzazione degli interni, degli spazi ristretti e del fuori campo, senza cascami teatrali; colonna sonora priva di musica di accompagnamento, ad eccezione di emissioni musicali radiofoniche o televisive presenti nel contesto, con assorbimento dei rumori naturali selezionanti senza alcuna enfasi.

AGASSI (THE HANDMAIDEN), di Park Chan-Wook (Sud Corea)  
Prix Vulcan de l’Artiste - Technicien
Tradimenti, passione e vendetta
Un dramma conturbante sullo sfondo dell’occupazione giapponese della Corea negli anni ’30

Dopo aver realizzato Stoker (2013), un morboso thriller psicologico - sessuale con al centro la “maturazione” di una giovane dark lady, amletica e vendicativa, suo esordio in lingua inglese, con cast internazionale e produzione statunitense, Park Chan-wook ripropone i temi dell’erotismo e della tentazione al femminile in Handmaiden, un'opera molto riuscita. Ambientato in Corea e in Giappone durante l’occupazione giapponese negli anni ’30, il film è ispirato dal romanzo Fingersmith (2002) della scrittrice gallese Sarah Waters, viceversa collocato in epoca vittoriana. Racconta la storia, divisa in tre parti, di un complotto criminale ai danni di Hideko (Kim Min-hee), una nobile ereditiera giapponese ventenne, che vive  praticamente reclusa, in una magnifica magione al centro di una grande proprietà, sotto lo stretto controllo di suo zio (Cho Jin-woong), un bibliofilo lascivo e autoritario che gestisce l'immenso patrimonio della nipote rimasta orfana.

 

Cannes 2016

"Agassi", Park Chan-Wook

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Un imbroglione, che  si presenta come un conte giapponese (Ha Jung-woo), intende sedurre, quindi derubare e infine relegare in un manicomio la vittima designata. L’uomo si serve della collaborazione della giovane e attraente coreana Sookee (Kim Tae-ri), una ladruncola che ha fatto assumere come cameriera personale di Hideko. Ma in breve tempo la domestica manifesta una sottile empatia con la sua padrona. E in seguito tra le due donne si sviluppa una liason non solo sessuale, ma anche sentimentale. Ma questa è solo la prima parte del film: la storia continua capovolgendo i ruoli con un sottile e imprevedibile gioco tra i tre protagonisti. Il regista ha dichiarato che, tenendo presente che in quel periodo storico una relazione lesbica era considerata un amore proibito, il suo interesse principale è stato quello di esplorare i desideri sessuali. Quindi ha attestato che la vicenda riguarda soprattutto la gioia dell’erotismo e la liberazione dal senso di colpa. Park Chan-wook è noto per la sua famosa “trilogia della vendetta”: Sympathy for Mr. Vengeance (2002), Old boy (2004), Sympathy for Lady Vengence (2005). Al centro del suo cinema vi è proprio il tema della vendetta che nasce da un insopportabile dolore. I suoi film combinano straordinariamente generi diversi: il melodramma crudo e malinconico, ma anche la black comedy che si trasforma in psicodramma - thriller, mescolando, in modo creativo e imprevedibile, humour nero e risvolti tragici e horror. Contengono alcuni elementi basilari: il talento visionario; l’approccio antisentimentale e la contemplazione distante e non compiaciuta della violenza fisica punitiva più estrema; la sperimentazione dello sguardo spinto al limite in un gioco crudele e disturbante; la determinazione dei personaggi. Anche in Handmaiden, come in tutti i suoi film, Park gioca con i dilemmi morali e con le passioni contrastanti. Ma aggiunge la rappresentazione delle dinamiche della seduzione e della sopraffazione e, ancora una volta dimostra notevoli doti narrative di rivelazione progressiva. La pregevole messa in scena, molto curata, conferma il suo stile e fonde e scompone, con virtuosi movimenti di macchina e con il montaggio serrato, il movimento, le luci e i colori. Emerge anche un raffinato tono ironico, perfettamente fuso con i motivi melodrammatici e thriller. E ancora, si notano le referenze al romanticismo inglese e ai romanzi di Emily Bronte, reinterpretate in modo molto personale. La cura dei dettagli scenografici operata personalmente dal regista, coadiuvato dalla production designer Ryu Seong-hee, è estrema. Le inquadrature del direttore della fotografia e cameraman Jeong Jeong-hun, abituale collaboratore di Park , configurano stranianti effetti pittorici.

THE NEON DEMON, di Nicolas Winding Refn  (Danimarca)
Bellezza pericolosa
Un horror al femminile algido e visivamente molto raffinato, ma poco emozionante

Nicolas Winding Refn propone costantemente il tema della violenza, distorta e dolorosa, amalgamandolo con quello dell’amore, tenero e privo di romanticismo, che compenetra radicalmente i personaggi. La violenza è rappresentata con crudo e straziante realismo e gestita con lucidità e forza creativa sconvolgenti, in virtù della dinamica audace e controllata della messa in scena. Il suo cinema di corpi ed emozioni, antinaturalista e perturbante, configura storie molto dark in cui il reale, oscuro e sordido, si confonde con una deriva surreale. Danese, cresciuto professionalmente negli USA, Refn, che ammira David Lynch, Michael Mann, Alejandro Jodorowsky, Jean-Pierre Melville, Mario Bava e Walter Hill,  è venuto alla ribalta con Pusher (1996, 2004 e 2005), una innovativa trilogia criminale su un gruppo di trafficanti di droga.

 

Cannes 2016

"The Neon Demon ", Nicolas Winding Refn

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L’intreccio drammatico nichilista tra amore, disperazione e morte, l’atmosfera rarefatta e ossessiva e il protagonismo maschile, caratterizzano tutti i suoi film: i drammi esistenziali, il malinconico Bleeder (1999) e l’ossessivo e angosciante Fear X (2003); Bronson (2008), uno pseudo biopic affabulatorio e antinaturalistico; Valhalla Rising (2009), una saga epica grandiosa, ipnotica e metafisica; Drive (2011), premiato per la miglior regia al Festival di Cannes, un melodramma atipico, malinconico e brutale, che mescola tensione aggressiva e ipercinetica e  straniamento poetico. Only God Forgives (2013), ambizioso e squilibrato dramma - thriller psicologico, con corrispondenze nella tragedia greca e nelle saghe shakespeariane e con una contraddittoria virata splatter, ha preannunciato The Neon Demon, un’opera  visivamente raffinata, “provocatoria”, ma piuttosto algida e non emozionante. Il film segna due svolte: una storia al femminile, centrata sulla bellezza pericolosa e viziosa, e  la scelta del genere horror più esplicito. Porta alle estreme conseguenze la poetica di Refn e ripropone, come in Drive,  locations di Los Angeles. La protagonista è Jesse (Elle Fanning), modella sedicenne, bellissima, apparentemente ingenua, ma determinata, appena giunta nella metropoli e subito  arruolata da una prestigiosa agenzia. Cosciente degli appetiti e delle invidie che suscita nelle donne e negli uomini che la circondano, diventa il bersaglio di un trio di  donne dell'ambiente che le manifestano falsi complimenti. Ruby (Jena Malone), esperta addetta al maquillage ingaggiata dai migliori fotografi e le modelle Gigi (Bella Heathcot) e Sarah (Abbey Lee Kershaw) vogliono depredare la  sua bellezza e la sua vitalità, essendo sorprese e incattivite a causa del suo repentino clamoroso successo durante le sfilate di moda. Impaurita dall'atteggiamento aggressivo di Hank (Keanu Reeves), un attore fallito, gestore del motel dove si è installata, Jesse si rifugia a casa di Ruby. Tensione e inconsci desideri preparano un epilogo delirante, tra risvolti soft porno, necrofilia e  sorpresa finale splatter, in un climax  accuratamente costruito, ma indubbiamente grottesco e quasi ridicolo. Vagamente ispirato dalla vicenda cinquecentesca della sanguinaria Contessa ungherese Erzsébet Bathory, The Neon Demon rivela riferimenti ad alcuni classici di genere quali Valley of the Dolls (1967), di Mark Robson e, soprattutto, The Texas Chainsaw Massacre (2003), di Marcus Nispel e Suspiria (1977), di Dario Argento. Scritto da Refn  insieme a due donne, Mary Laws e Polly Stenham, si avvale della sapiente fotografia di Natasha Braier, che gioca sul contrasto tra luce naturale e luce artificiale, al neon. La regia vigorosa, con geniali movimenti di macchina, alterna le scene ”romantiche”, che scandiscono la prima parte del film, e sequenze di violenza eclatante. Si susseguono immagini virate, contaminate da un'orgia di  giochi visivi e fotografici, colori e squarci di luce nel buio, gesti e sguardi enfatizzati, momenti di allucinazione e divagazioni quasi oniriche e surreali. Abituali collaboratori di Refn, Matthew Newman e Cliff Martinez curano rispettivamente il montaggio, sincopato e ipnotico, e la trascinante colonna sonora, sincrona con la struttura narrativa, che spazia con grande virtuosismo tra generi musicali diversi.

Cannes 2016

"Ma'Rosa" di Brillante Mendoza

 

MA' ROSA, di Brillante Mendoza (Filippine)
Best Actress Prize: Jaclyn Jose

Un film a metà strada tra il cinéma vérité, il documentario sociale e il dramma esistenziale: concentrato nello spazio di 24 ore. Un ritratto femminile controverso che esemplifica la tragedia quotidiana  dello sforzo di sopravvivere nelle baraccopoli di Manila. La quarantenne Ma'Rosa (Jaclyn Jose)  è madre di quattro figli adolescenti. Insieme al marito Nestor gestisce un  piccolo emporio, con vendita di dolciumi, sigarette e piccoli generi  di consumo, in uno slum dove tutti la conoscono e la apprezzano, anche perché spesso pratica sconti e credito a chi non può pagare. In realtà i coniugi spacciano clandestinamente anche narcotici. Una notte  vengono arrestati. Nel commissariato i poliziotti li costringono a vendere il loro fornitore di droga e poi li ricattano chiedendo molto denaro per rilasciarli senza accuse. I figli di Rosa devono procurarlo ad ogni costo. Brillante Mendoza realizza un'opera in presa diretta, sulle tracce dei suoi precedenti film drammatici (Foster ChildLolaThy Womb e Taklub): autentica, realista, amaramente empatica e priva di pathos retorico e di cascami didascalici, nonostante alcuni limiti artificiosi. L'uso della telecamera a mano consente  una straordinaria aderenza carnale ai personaggi.

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Sezione Hors Compétition et Séances Speciales

EXIL, di Rithy Panh (Cambogia)

Nel 1975 i comunisti Khmer Rossi instaurarono una dittatura agghiacciante in Cambogia e deportarono nelle campagne due milioni di abitanti di Pnom Pehn per “rieducarli”: ben pochi si salvarono dai lavori forzati e dalla morte. Rithy Panh aveva 11 anni e venne deportato con la sua famiglia: fu l'unico sopravvissuto. Da anni il regista ricostruisce episodi di quella tragedia nei suoi documentari, tra cui ricordiamo S21, The Burnt TheatreDutch: Master of the Forges of Hell e il commovente L'image manquante del 2013. In Exil, opera toccante e lucidissima, Rithy Panh, che si sente comunque tuttora esiliato e continua a soffrirne, racconta la criminale utopia “ugualitaria” dei seguaci di Pol Pot e riflette sulla terribile idea della “purezza rivoluzionaria”. Per rievocare l’incubo utilizza un originale dispositivo scenografico creato in studio. In una misera capanna tradizionale un trentenne fa i conti con la penuria e con la fame:  si alimenta con topi, cavallette e brodaglie di erbe bollite, coltiva cereali e trascina grosse pietre. Le  sue azioni sono  interposte con footage dell'epoca in cui si vedono i prigionieri, tutti vestiti con panni neri, alla mercé dei Khmer Rossi del partito ANGKAR.

 

Cannes 2016

"Exil", Rithy Panh

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Sezione Un Certain Regard

Cannes 2016

"The Happiest day in the life of Olli Maki" di Juho Kuosmanen

 

HYMYILEVÄ MIES (THE HAPPIEST DAY IN THE LIFE OF OLLI MÄKI), di Juho Kuosmanen (Finlandia)  
Best Film Prize - Un Certain Regard

Un dramma classico che racconta una storia vera, mettendo a confronto privato e possibile epopea. Nel 1962 in Finlandia viene organizzato un incontro di pugilato con in palio il titolo mondiale dei pesi piuma: un evento straordinario, che si svolge all'aperto nello stadio olimpico di Helsinki.  Da un lato vi è il detentore del titolo, il negro americano Davey Moore. Dall'altro lo sfidante, Olli Mäki, il miglior pugile finnico, un provinciale, panettiere e comunista: un uomo semplice e introverso. Elis, l'allenatore - manager di Olli, monta uno spettacolo adeguato alle esigenze dello show business e coinvolge tutti nella febbre dell'entusiasmo, ma Olli, pur allenandosi seriamente, è preso dall'amore per Raija, la sua fidanzata dolce e discreta. L'esordio di Juho Kuosmanen, in un accattivante bianco e nero e in 16mm, ricostruisce perfettamente l'epoca, caratterizzando i personaggi in senso moderno, con risultati dignitosi, ma scarsamente emozionanti.

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ESHREBAK (CLASH), di Mohamed Diab (Egitto)

Un dramma claustrofobico, incalzante, duro, disperato ed efficacissimo. Nell' estate del 2013, in Egitto, dopo la destituzione, da parte dell' Esercito, dell'inetto e settario Presidente Mohamed Morsi, leader del partito dei "Fratelli Musulmani", milioni di persone manifestano a favore o contro gli islamisti. Mohamed Diab, che ha esordito con 678 (2010), un eccellente dramma  riguardante storie di molestie e violenze sessuali contro le donne, racconta una giornata a Il Cairo durante le massicce proteste e i gravi disordini tra opposte fazioni, con migliaia di vittime. Tutto il film è girato all'interno di un furgone della polizia in cui sono rinchiusi manifestanti arrestati, islamisti e loro avversari, di diversa condizione sociale, che procede a fatica e viene più volte assalito dalla folla inferocita. Tra aspri confronti e terribili prove, momenti di solidarietà e scontri fisici, il destino di una ventina di uomini e donne si avvita in una tragica spirale.

 

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"Eshtebak (Clash)" di Mohamed Diab

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Cannes 2016

"Harmonium" di Koji Fukuda

 

FUCHI NI TATSU (HARMONIUM), di Koji Fukuda (Giappone)   
Jury Prize - Un Certain Regard

Un dramma contundente che propone il fallimento di una famiglia. In una periferia urbana giapponese il quarantenne Toshio conduce una vita tranquilla insieme alla moglie Akie e alla figlia preadolescente. L'uomo gestisce da solo un piccolo laboratorio metalmeccanico al pianterreno della casetta familiare. Un giorno riceve la visita dell'amico Yasaka, tornato in libertà dopo aver scontato una pena di dieci anni di carcere per omicidio. Toshio, che sembra essere in debito, lo assume come operaio con vitto e alloggio garantito. Inizia quindi una vita in comune e Yasada si impone: insegna a suonare l'harmonium alla bambina e poi seduce Akie. Un giorno la donna lo respinge e all'improvviso scoppia la tragedia. Anni dopo i coniugi sono lacerati dai rimpianti e dall'ossessione della vendetta. Come nei suoi precedenti Kantai Au revoir l'étéKoji Fukuda conferma un eccellente senso drammatico, senza inutili psicologismi.

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UMI YORIMO MADA FUKAKU (AFTER THE STORM) di Kore-eda Hirokazu (Giappone)

Dopo un promettente esordio come romanziere, il  trentenne Ryota ha accumulato una serie di fallimenti esistenziali e si arrabatta con una piccola attività di detective privato. Separato dalla moglie Kyoko, è considerato inaffidabile perché non riesce più a contribuire al mantenimento di Shingo, l'unico figlio di 11 anni. In effetti, pur essendo una persona fondamentalmente onesta, persiste nel vizio di tentare la sorte con le scommesse su vari eventi sportivi, come già faceva suo padre. Ma una notte si ritrova con loro due nell'appartamento di sua madre, mentre fuori si abbatte una pioggia torrenziale. Tra rievocazioni del passato e scoperte di nuove affinità, padre e figlio ritrovano motivazioni per un futuro forse diverso. Kore-eda Hirokazu racconta da sempre le relazioni familiari con estrema sensibilità e raffinata precisione e ci parla dei momenti della vita, indicandocene significato e caducità. Sulle tracce dei suoi magnifici  film precedenti (Still WalkingI WishLike Father Like Son e Umimachi Diary), evita i clichés melodrammatici e sviluppa, con una nuova sottile ironia, un  pregevole caleidoscopio di sentimenti.

 

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"After the Storm", Kore-eda Hirokazu

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Cannes 2016

"Hell or High Water" di David Mackenzie

 

COMANCHERIA (HELL OR HIGH WATER), di David Mackenzie (Gran Bretagna / USA)

Un poliziesco - western contemporaneo con sfondo sociale, ma anche un road movie, scettico,  crepuscolare e convincente. Nel Texas profondo due fratelli trentenni, dopo la morte della madre, per evitare l'imminente  confisca del piccolo ranch di famiglia e riunire il denaro per rimborsare i debiti con la loro banca, compiono una serie di rapine nelle piccole filiali periferiche di un'unica banca. Ben presto un vecchio Ranger alle soglie della pensione e il suo aiutante si mettono caparbiamente sulle loro tracce nelle aride pianure, già territorio dei Comanche. Il britannico David Mackenzie, già autore di film riusciti (Young AdamHallam FoeToy BoyStarred up) domina perfettamente le regole del genere, con una messa in scena viscerale ed empatica, tra grandiosi piani panoramici e scene più intimiste, in un crescendo privo di retorica manichea. Dirige al meglio Jeff Bridges, Chris Pine e Ben Foster e si avvale della colonna sonora ispirata di Nick Cave e Warren Ellis.

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VAROONEGI (INVERSION), di Benham Benzadi (Iran)

Un dramma familiare lucido e articolato che evidenzia la sottomissione richiesta alle donne sole in Iran, anche in un contesto borghese. A Teheran la trentenne Nilofaar, attraente e dinamica, gestisce da anni il laboratorio tessile di famiglia, ereditato dal padre. Ma, essendo nubile, vive con la madre che soffre a causa di un serio enfisema polmonare. Suo fratello e la sorella maggiore, insieme al cognato, piuttosto viscido, sono abituati a considerarla disposta ad ogni sacrificio perché lei non deve badare ad una propria famiglia. Quando la donna anziana, a causa del grave inquinamento presente a Teheran, si aggrava, a Nilofaar è richiesto di trasferirsi con lei in provincia, nel nord. Tuttavia la protagonista ha iniziato una felice relazione con un ingegnere, suo antico innamorato, tornato in Iran dopo anni trascorsi all'estero. Benham Benzadi descrive accuratamente carattere, scelte e azioni dei suoi personaggi, con molti riferimenti al cinema di Asghar Farhadi.

 

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"Inversion", Benham Benzadi

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Cannes 2016

"Hell or High Water" di David Mackenzie

 

LA LARGA NOCHE DI FRANCISCO SANCTIS, di Francisco Márquez e Andrea Testa (Argentina)

Nel 1977 in Argentina la dittatura militare faceva sparire gli oppositori: detenuti in centri di tortura clandestini e poi ammazzati senza possibilità di ritrovare i corpi. Un dramma esistenziale, prevalentemente notturno, racconta  le terribili scelte che si dovevano fronteggiare. Francisco Sanctis è un uomo qualunque: impiegato di basso livello, padre di famiglia con moglie e due bambini, prudente e non impegnato politicamente. Un giorno riceve la telefonata di Elena, una vecchia amica che non vede da anni e poi la incontra. La donna, moglie di un ufficiale dell'aereonautica, gli passa il nominativo di due persone, dicendogli che saranno arrestate quella stessa notte e chiedendogli di avvisarle. Francisco deve prendere una decisione cruciale e rischiosissima. Marquez e Testa, nel loro film di esordio, pluripremiato al Buenos Aires Film Festival (BAFICI) di quest'anno,  propongono una buona impaginazione drammatica, ma  un poco carente  in termini di intensità.

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Sezione Quinzaine des Réalisateurs

RAMAN RAGHAN 2.0 (PSYCHO RAMAN), di Anurag Kashyap (India)

Un magnifico thriller, incalzante, molto dark e disperato. Un confronto emozionante tra due trentenni, entrambi anime perdute nella metropoli Bombay di oggi: un poveraccio schizoide, ma a suo modo perspicace, abile e sfrontato serial killer, e un commissario di polizia cocainomane che si crede onnipotente. Ramanna  si aggira nelle strade e ammazza sistematicamente, fracassandone il cranio, quelli che pensa gli abbiano mancato di rispetto o che può derubare, compreso sorella, cognato e nipote. L'uomo si  identifica con Raman Raghan, un mitico assassino seriale  degli anni '60. Raghavan gli dà la caccia, senza sapere che l'assassino spia la sua vita da due anni, scommettendo sulle loro affinità immorali. Da quindici anni il geniale quarantenne Anurag Kashyap, anche sceneggiatore e produttore, è uno dei migliori registi di thriller indiani d'autore. Nei suoi molti film, ispirati a Coppola e Scorsese, ma anche alle tragedie di Shakespeare, tra cui i magnifici Gangs of Wasseypur (2012) e Ugly (2013), si intrecciano corruzione, crimine, politica, degrado sociale e uno sguardo acuto e coraggioso sulle gravi storture nell’India di oggi, senza le coreografie di Bollywood. Raman Raghan 2.0, diviso in 8 capitoli di progressiva discesa agli inferi dei due protagonisti, è un lucido film di pancia, tutto giocato sui comportamenti. Alternanza di tempi e cadenze, magnifici movimenti di macchina, editing strepitoso, recitazione di ottimo livello e una colonna sonora ricchissima, ritmatissima e coinvolgente.

 

Cannes 2016

"Psycho Raman", Anurag Kashyap

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Cannes 2016

"Wolf and Sheep" di Sharbanoo Sadat

 

WOLF AND SHEEP, di Sharbanoo Sadat (Afghanistan) 

Art Cinema Award

Un piccolo film di esordio, sincero e autentico, tra documentario e finzione. In una regione isolata e arretrata dell' Afghanistan, tra colline brulle e polverose, dove l'unica risorsa è l'allevamento delle capre e dei montoni, la gente di un piccolo villaggio vive semplicemente. Si susseguono scene quotidiane: bambine che conducono le greggi a pascolare, fumano in segreto, fantasticano il matrimonio e spettegolano; ragazzini che si esercitano a lanciare pietre con le fionde per spaventare i lupi se apparissero; i bagni nel fiume; la preparazione del pane e dei cibi; l'essicatura dello sterco usato come combustibile; un funerale. Un anziano racconta l'antica leggenda di un lupo che si trasforma in una fanciulla bellissima, prima donata e poi sottratta ad un uomo che truffava gli altri. Ma alla fine il preannunciato arrivo di uomini armati obbliga tutti ad una fuga precipitosa. Belle immagini, fotografia di qualità, ma caratura drammatica troppo elementare e ripetitiva.

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Sezione Semaine de la Critique

DIAMOND ISLAND, di Davy Chou (Cambogia) / SACD Award

Un piccolo film grazioso e delicato. Il ritratto minimalista del percorso di formazione di Bora, un diciottenne minuto e gentile che abita in un pacifico villaggio rurale in Cambogia. Spinto dalla famiglia, il giovane si reca a lavorare nell'immenso cantiere  di costruzione di una modernissima città satellite per ricchi a Diamond Island, un'isola non lontana dalla capitale Pnom Penh. In breve, insieme ad alcuni compagni di lavoro, suoi coetanei, Bora inizia a conoscere gli svaghi delle notti urbane luccicanti. Durante una di queste uscite incontra Solei, suo fratello maggiore che si era allontanato da casa cinque anni prima, senza dare poi più notizie di sé, e che ora frequenta giovani ricchi, ma anche tipi equivoci. L' opera prima di Davy Chou è ricca di atmosfere, enfatizzate dai plurimi piani sequenza, ma difetta di vera tensione drammatica.

ALBÜM, di Mehmet Can Mertoglu (Turchia) / Révélation France 4 Award

Un ritratto di ordinario conformismo nella Turchia d'oggi, tra humour surreale e farsa tragica. Un film sull’adesione ai comportamenti e alla mentalità comune conservatrice e razzista, che considera l'infertilità come una grave inadeguatezza. Una coppia normale, marito e moglie dipendenti statali quasi quarantenni, inscena una falsa gravidanza della donna per dissimulare, presso conoscenti e amici, l'adozione di un bambino di pochi mesi. I coniugi, al momento della scelta del nuovo figlio, richiedono che non sia né Kurdo né siriano. Ma nonostante mostrino a tutti un album di fotografie che sarebbe la prova della felice gestazione, la “storia riscritta” suscita scetticismo intorno a loro e li porta ad assumere comportamenti contradditori. Fino al finale ambiguo e privo di speranza. L'esordio di Mehmet Can Mertoglu è molto ambizioso e parzialmente pretenzioso, elaborato e ricco di ellissi e spunti allegorici, grotteschi e assurdi. Ma è comunque interessante e pieno di verità.

SHAVUA VE YOM (ONE WEEK AND A DAY), di Asaph Polonsky (Israele) / Fondation Gan Award

Una dramedy, dramma - commedia, piuttosto bozzettistica, ma efficace anche grazie alla bravura degli attori. In Israele, la tradizione religiosa prevede una settimana di lutto, detta Shiv’ah, dopo le esequie del defunto: si ricevono parenti e amici che portano cibo che si consuma insieme. Una coppia della classe media, Eyal e Vicky, deve affrontare la perdita di Ronnie, l'unico figlio di venticinque anni, scomparso dopo una lunga malattia. Durante 48 ore, nel corso dell'ultimo giorno della Shiv’ah e del successivo, con la complicità di Zoller, il figlio dei vicini, una coppia snob, danno vita a un carosello di malintesi e di situazioni comiche, dopo aver fumato la dose residua di marijuana terapeutica che l'ospedale assegnava a Ronnie. L'opera prima di Asaph Polonsky configura in modo originale le reazioni a un immenso dolore, tra  numeri da stand up comedy e tenerezza, ma  pare un cortometraggio ampliato.

A YELLOW BIRD, di K. Rajagopal (Singapore)

Un dramma esistenziale a sfondo sociale che racconta una storia di esclusione e di latente razzismo. Siva è un trentenne indiano,  residente a Singapore, la città - stato multirazziale a predominanza cinese. Scarcerato dopo anni di prigione per il reato di contrabbando, è sottoposto alle rigide norme della libertà vigilata e deve anche fronteggiare l'ostilità di sua madre. Amareggiato e rancoroso si ostina a cercare di  rintracciare la ex moglie e la figlia nonostante un’ingiunzione che glielo vieta. Nel frattempo stabilisce un fragile legame di solidarietà con una prostituta cinese, immigrata illegale, straziata dalla lontananza del suo bambino. L'esordio low budget di K. Rajagopal offre intensità, nonostante alcuni squilibri narrativi.

TRAMONTANE, di Vatche Boulghourjian (Libano)

Un esordio originale e maturo. Rabih è un cantante cieco ventenne libanese che  propone ballate tradizionali,  accompagnato da un quartetto musicale, durante feste e matrimoni.  Sogna di esibirsi all'estero e richiede un passaporto, scoprendo che i suoi documenti sono stati falsificati e che non è il figlio biologico dei genitori che lo hanno cresciuto. Quindi cerca con febbrile determinazione di conoscere la verità sulla sua identità spostandosi nei centri  delle campagne interne. Ma i suoi diversi interlocutori gli raccontano menzogne fantasiose, evocano miti o cercano di dissuaderlo con avvertimenti ambigui. Con un efficace stile documentaristico  il regista  propone uno sguardo introspettivo sul Libano dove a terribile guerra civile (1975 - 1990) ha lasciato tracce dolorose che impediscono tuttora una memoria condivisa tra sciiti, sunniti, cristiani maroniti e drusi rouge

 

rouge 69. CANNES FILM FESTIVAL I Vince la denuncia politica de l britannico Ken Loach I DI GIOVANNI OTTONE I 2016
rouge 69. CANNES FILM FESTIVAL I Schede di approfondimento di vari film di tutte le sezioni del Festival I DI GIOVANNI OTTONE I 2016

 

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11 - 22 / 05 / 2016

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