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px rouge PORTRAITS I NURI BILGE CEYLANI di GIOVANNI OTTONE I 2014

NURI BILGE CEYLAN

Un Maestro Del Cinema Contemporaneo

 

 

 

 

 

 

di GIOVANNI OTTONE

Nuri Bilge Ceylan

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In Turchia, dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso, sono emersi nuovi registi indipendenti che hanno rilanciato il cinema d’autore, realizzando film di qualità con budget limitati. Filmmakers che hanno preferito ricercare nuove visioni e criteri estetici, hanno rielaborato, in termini “autoriflessivi”, temi esistenziali e culturali e hanno conseguito modalità di finanziamento indipendenti anche attraverso il supporto di Festivals, Fondi e Istituzioni internazionali. Registi che hanno ottenuto in questi anni riconoscimenti e prestigiosi Premi da parte delle Giurie dei più prestigiosi Festivals internazionali: Nuri Bilge Ceylan a Cannes (in tre edizioni del Festival); Semih Kaplanoglu a Berlino; Yesim Ustaoglu a San Sebastian; gli esordienti Seren Yüce e Ali Aydin nelle più recenti edizioni della Mostra di Venezia; l’esordiente Mahmut Fazil Coskun a Rotterdam. Un cinema che, nel 2009, ha goduto di importanti retrospettive, dedicate ai suoi autori più rappresentativi, da parte dell’International Rotterdam Film Festival, del Crossing Europe Film Festival Linz e del Göteborg International Film Festival.

Dobbiamo considerare la cosiddetta terza generazione, ovvero i registi nati all’inizio degli anni ’60, che possono vantare individualmente una ragguardevole filmografia (Nuri Bilge Ceylan, Yesim Ustaoglu, Zeki Demirkubuz, Dervis Zaim, Semih Kaplanoglu, Reha Erdem, Tayfun Pirselimoglu e altri) e una quarta generazione di registi, nati negli anni ’70 e ’80, che, in grande maggioranza, hanno esordito nell’ ultimo decennio (Özcan Alper, Seyfi Teoman, Pelin Esmer, Özer Kizitan, Emin Alper, Seren Yüce, Ali Aydin, Mahmut Fazil Coskun, Sedat Yilmaz, Kazim Öz, Onur Ünlü, Asli Özge, Hüseyin Karabey e altri).

È un cinema che ha costruito elementi di rappresentazione di diverse sfaccettature della/e identità nella nazione e dei conflitti di potere a vari livelli, in sede familiare, sociale, religiosa e politica. In particolare affronta questioni decisive dell’essere turchi, storicamente determinate e maturate nel corso dell’ultimo cinquantennio, in primis le problematiche della vita e dell’identità nella metropoli Istanbul (lo spazio urbano più rappresentato) e in provincia e / o in campagna e la dialettica tra questi due poli. E ancora, un cinema personale con una grande varietà di stili e di approcci alla narrazione, ma che, in un’ottica assolutamente moderna, esprime un tratto comune: la valorizzazione visiva del non detto e del non agito, quindi delle emozioni che la commozione o la monotonia della vita quotidiana impediscono di esprimere apertamente. In quasi tutti i film più significativi degli ultimi vent’anni esistono personaggi incapaci di parlare o a disagio con la parola o incapaci di far comprendere agli altri i propri sentimenti anche quando ne parlano.  Le assenze di vere conversazioni sono direttamente collegate all’impossibilità di esprimere i turbamenti personali in termini di comunicazione. Sono il segno di un linguaggio naturalmente limitato, ma anche della malinconia e della frustrazione. Per altro, in molti casi, il non detto riguarda soprattutto problematiche sociopolitiche, quali la discriminazione, i pregiudizi, la violenza occulta, la crisi di identità e l’amnesia culturale. Si nota il tentativo di far emergere le dinamiche dissimulate dell’egemonia e di  mettere in discussione ciò che è stato accettato come “comportamento naturale”. In ogni caso il silenzio, quantunque non in senso letterale o totale, pervade questi film. Vi è quindi una costante rappresentazione di sentimenti inespressi, di assenza di appartenenza e di resistenza alla identificazione con codici sociali predeterminati. Molti fra i personaggi concepiscono la propria esistenza in uno spazio transitorio. I dilemmi che fronteggiano li conducono ad una condizione itinerante di vagabondaggio, quantunque, spesso, siano essi stessi a scegliere deliberatamente questo status per liberarsi dalle convenzioni della loro precedente esistenza. La loro identità è collocata sempre in una sorta di limbo: tra la città e la provincia, tra l’appartenenza etnica e quella politica, o persino tra la razionalità e la follia. I personaggi, in un senso o nell’altro, riflettono lo sradicamento e le contraddizioni del regista nella sua costante ricerca di verità e di identità personale.

Nuri Bilge Ceylan (1959), è senza dubbio l’autore più noto e importante del cinema turco d’autore contemporaneo ed è ormai uno dei maestri del cinema mondiale. Laureato in ingegneria elettrica, divenuto fotografo, con studi di cinema parziali e interrotti, colloca i suoi personaggi, e sé stesso come regista, in uno spazio di vita ampio, ma distante. Concepisce il cinema come un medium che gli consente di raccontare cose che non oserebbe dire, ovvero di addentrarsi negli ambiti più intimi e drammatici della sua condizione personale e della sua visione della realtà. Per altro esprime la preoccupazione circa i limiti dello sguardo cinematografico nel descrivere e comprendere la complessità esistenziale del’individuo. Ha diretto e prodotto, praticamente da solo, il suo primo cortometraggio, Koza (Cocoon) (1995), facendovi recitare i suoi genitori. Un tentativo di affrontare il tema dell’impossibilità di convivere e la dimostrazione di uno specifico interesse nei confronti della disfunzionalità emotiva e dell’alienazione. Successivamente ha realizzato la “Trilogia provinciale”. Kasaba (Small town) (1997), il suo primo lungometraggio, in bianco e nero, (di cui è anche sceneggiatore, co-editor, direttore della fotografia e produttore) mostra un approccio minimalista e poetico nell’osservazione dei dettagli della vita di tutti i giorni nel paesino dell’Anatolia dove vive la sua famiglia. Articolato in quattro episodi, corrispondenti alle stagioni, colloca personaggi e paesaggi secondo la prospettiva di due ragazzini testimoni dei “misteri” della vita e della natura. Si nota uno sguardo vivace, non privo di ironia, e una straordinaria sensibilità visiva che privilegia inquadrature statiche, lenti long takes e piani sequenza.

Mayis Sikintisi (Clouds of May) (1999), ripropone il contesto del film precedente, facendo emergere uno stato di “noia”, “struggimento” e “frustrazione”, ma anche una visione della provincia come luogo pacifico che nutre l’anima. Il protagonista è Muzaffer (Muzaffer Ördemin), alter ego dello stesso Ceylan, un regista quarantenne che torna nel paese dei suoi anziani genitori, Mehmet (Mehmet Emin Ceylan) e Fatma (Fatma Ceylan), per realizzare un film su di loro. Mostra lo sforzo continuo e infruttuoso di descrivere l’essenza della vita in campagna, tra rituali, piccole ossessioni, desideri e preoccupazioni. Per altro la presenza dell’apparecchiatura sonora e della telecamera esaltano la distanza e la dicotomia tra la sua condizione presente di residente in una metropoli e il suo passato giovanile nella casa paterna.

 

Clouds of May Nuri Bilge Ceylan

"Mayis Sikintisi" (Clouds of May), Nuri Bilge Ceylan

Un film straordinario, ancora in bianco e nero, che riguarda essenzialmente il lento trascorrere del tempo, l’osservazione della natura e dell’interazione tra i personaggi e l’importanza di oggetti apparentemente insignificanti. Una “storia” che rivela, spesso con umorismo, l’incapacità del cinema di riflettere la realtà: una voluta incompletezza per mostrare allo spettatore il fallimento nel raggiungere l’obiettivo della verità. Un approccio malinconico da cui emerge la superficialità della rappresentazione e la complessità della vita ordinaria. Uzak (Distant) (2002), si svolge a Istanbul e privilegia atmosfere autunnali desolate, brumose e piovose. Mette in scena l’incontro impossibile di due individui taciturni e opposti. Mahmut (Muzaffer Ördemin) è un fotografo in crisi professionale, oppresso dalla malinconia e dalla routine ossessiva di una vita di ristrettezze e solitaria. Yusuf (Mehmet Emin Toprak) è un suo cugino giunto improvvisamente dalla campagna per cercare lavoro come operaio portuale. È qualcuno che ricorda al fotografo un background rurale da cui quest’ultimo si sente alieno e lo costringe a considerare l’aridità individualistica della sua esistenza presente. Intrappolati nella vana ricerca di un lavoro, l’uno, e nell’incapacità di risolvere un antico legame affettivo, l’altro, i due condividono il vecchio appartamento di Mahmut e una sensazione intensa di fallimento, senza riuscire in alcun modo a comunicare. La loro distanza si sviluppa attraverso diversi livelli di conflitti morali. Il gusto per l’osservazione minuziosa dei comportamenti, corretto da un umorismo sottile, smarca il regista dalla tentazione del già visto, consentendogli di trovare la via di un’autenticità tangibile. Il film è un’intensa meditazione sulla solitudine e sull’impossibilità dell’evasione e offre una visione pessimistica del maschio turco. Si notano le reminiscenze del cinema di Tarkovsky, ma anche di quello di Ozu.La nitida fotografia contrasta in maniera stridente con il carattere sordido degli ambienti ritratti.

Iklimler Climates Nuri Bilge Ceylan

"Iklimler" (Climates), Nuri Bilge Ceylan

 

Con Iklimler (Climates) (2006), Ceylan compie un ulteriore passo nel suo percorso di amara riflessione su sé stesso. Ancora una volta affronta il tema dell’incapacità di sostenere un legame affettivo ed emotivo, raccontando la vicenda di una coppia normale che attraversa una crisi, dovuta all’esaurimento del rapporto, e tenta inutilmente di ricomporla. Isa (lo stesso Ceylan) è un assistente universitario quarantenne, mentre Bahar (la moglie del regista, Ebru Ceylan), più giovane, è assistente di produzione in un’azienda televisiva. Vivono a Istanbul, ma il film si apre con le immagini di una loro vacanza estiva solitaria su una magnifica spiaggia sabbiosa della costa mediterranea.Da quel momento, in cui si avverte chiaramente il vuoto che separa la coppia, Ceylan articola la narrazione nei tre momenti, stagioni climatiche ed esistenziali, che compongono la storia.

La sua rappresentazione dell’incomunicabilità personale si lega chiaramente all’inesorabile e lenta successione temporale. L’estate concretizza la separazione, l’autunno è l’epoca della vita indipendente e della vana ricerca di una via di fuga dalla frustrazione e dalla desolazione, mentre l’inverno mostra il tentativo di ricomposizione della frattura. Ceylan conferma la sua brutale onestà nell’affrontare il tema della relazione uomo/donna, essendo alieno da qualsiasi psicologismo. Rappresenta con amarezza impietosa, e saltuaria ironia, la superficialità e l’intellettualismo fasullo del personaggio che interpreta. Il film mostra una qualità eccezionale attraverso il suo quieto, limpido ed intenso stile narrativo e visivo.  I dialoghi sono ridotti all’osso, secchi e crudi, ad indicare il logorio esistenziale dei personaggi. L’universo definito da inquadrature, curate nei minimi dettagli, non è freddo e narcisistico, ma piuttosto esprime una definizione fotografica devastante che fa avvertire allo spettatore le sensazioni fisiche condensate nelle immagini.  I piani lunghi e i prolungati piani sequenza definiscono paesaggi stranianti e colgono il disincanto vuoto dei personaggi che pure manifestano sprazzi di vitalità, a volte ferini, ma senza esito. La colonna sonora è costituita essenzialmente da rumori ordinari, ma estremamente presenti e precisi, con il fine di amplificare gli effetti delle immagini.

In Üç Maymun (Three monkeys) (2008) Ceylan espande il suo orizzonte passando dal focus su una ristretta cerchia di familiari e di persone conosciute, e su sé stesso, all’osservazione ravvicinata dei destini di personaggi altri e diversi. Il film è un melodramma-noir frutto di una messa in scena calibrata e raffreddata che sfida i canoni dei generi. È un apologo amaro sulla decadenza morale di una società progressivamente soffocata dall’avarizia e dalla debolezza. Vorrebbe essere, come si desume dal titolo, una parabola sulla falsariga della nota leggenda asiatica delle tre scimmie: una non vede, la seconda non parla e la terza si rifiuta di udire. Vuole quindi mostrare la fuga delle persone di fronte a responsabilità e dolori troppo duri da sopportare e le conseguenze negative che ne derivano. La storia inizia da un incidente automobilistico in cui un uomo politico cinquantenne, in attesa del verdetto elettorale, causa una vittima.

 

Uc maymun

"Üç Maymun" (Three Monkeys), Nuri Bilge Ceylan

Servet (Erkan Kesal) convince il proprio autista Eyüp (Yavuz Bingöl), assente al momento del sinistro, ad assumersene la responsabilità e a scontare la pena carceraria, offrendo in cambio un sostanzioso aiuto finanziario alla sua famiglia. L’accordo innesca una sequela di conseguenze, secondo un morboso gioco psicologico che riecheggia Dostoevskij, tra tradimento, passione, ambizione, lealtà distorta e rabbia soffocata. Il politico e Hacer (Hatice Aslan), la moglie dell’autista, inizieranno una relazione sessuale. Ismail (Ahmet Rifat Uungar), il figlio adolescente della donna, si accorge della relazione adulterina della madre, ma non riuscirà a raccontare il fatto a suo padre quando lo visita in prigione. Nel film tutti i personaggi sono in qualche modo corrotti e colpevoli e coinvolti in una complessa trama di menzogne e sotterfugi. La drammatica ironia del racconto è avvolta in una complessiva atmosfera di torpore non priva di simbolismi. Ceylan ripropone la sua estetica, valorizzando nuovamente l’osservazione della natura e il trascorrere del tempo. Si esprime mediante una composizione molto attenta, e spesso esasperatamente lenta, delle immagini. Propone un”realismo” molto suggestivo con inquadrature fisse con la macchina da presa immobile, lunghi piani sequenza, tempi morti, un protagonismo degli sguardi e dei silenzi e una fotografia scura e dai toni color seppia.

Bir zamanlar Anadolu’da (Once upon a time in Anatolia) (2011) pone al centro dell’attenzione personaggi che risultano ben più corposi. La loro interazione è funzionale ad una precisa volontà del regista di raccontare una storia (e tante storie minori). Anche questo film è un apologo sull’umanità, ma meno amaro, non perché falsamente ottimista, ma perché più esplicitamente vitale. Al tempo stesso Ceylan si dimostra disinteressato a qualsiasi tentativo di mitizzazione del suo Paese  e della sua gente. Si tratta di un dramma, costruito come un thriller poliziesco e al tempo stesso come un road movie. Tuttavia risulta molto atipico rispetto a quei generi perché ne rifiuta schemi e articolazione convenzionale degli avvenimenti. La trama è apparentemente molto semplice. Segue il decorso di un’inchiesta giudiziaria supportata dalla polizia, con un sopralluogo in loco, che dura dal crepuscolo a mezzodì del giorno successivo. Per altro, quella che dovrebbe essere una situazione di routine, nel film diventa un sottile gioco di scacchi che, man mano che gli eventi si mettono a fuoco, offre un ritratto più ampio delle persone, coinvolte nell’azione o incontrate, e dei luoghi. Una piccola carovana di automobili percorre le strade periferiche di campagna, tra colline brulle e campi di grano maturo, nei dintorni di una piccola città di provincia dell’Anatolia.

Bir zamanlar Anadolu'da

"Bir zamanlar Anadolu'da" (Once upon a time in Anatolia), Nuri Bilge Ceylan

 

Alcuni poliziotti, un giudice e un medico forense accompagnano un uomo reo confesso di omicidio alla ricerca del luogo dove ha sepolto i resti della vittima, dopo averla uccisa nel corso di una rissa. Il gruppo va da un luogo all’altro perché è evidente che l’assassino non ricorda con precisione il posto dove si trova il corpo interrato. L’inchiesta itinerante procede lentamente e si trascina registrando discorsi e comportamenti dei singoli, decisamente loquaci. Ad un certo punto nel corso della notte si recano in una cascina e consumano un pasto frugale offerto dai contadini. Nel corso della sosta i dialoghi degli abitanti, che parlano dei loro problemi personali, di problematiche sociali e dei costumi della regione, si intrecciano con quelli dei componenti del gruppo che conduce l’inchiesta. Quindi a mezzogiorno, dopo la notte trascorsa in perlustrazione, la comitiva giunge in città e riporta l’accusato in carcere, tra la curiosità e i commenti della gente.

Apparentemente non è successo nulla di rilevante né l’inchiesta è stata conclusiva, ma in realtà sono emersi tanti dettagli e tante storie e notizie che assumono un carattere più generale per identificare come si svolge la vita in quei luoghi. Il regista non nasconde il piacere di collocare i personaggi in uno spazio preciso e di farceli osservare. Evidenzia le loro piccole manie, i giudizi espressi nei confronti dell’uno o dell’altro e le forme della loro interazione, tra momenti di frustrazione, di fastidio, di dolore o anche scambiandosi battute ironiche. D’altronde i personaggi esprimono il sollievo di poter esprimere le proprie idee e di comunicare antiche esperienze positive o dolorose. Lo spettatore si trova di fronte a un interessante labirinto di eventi e di emozioni. Ceylan mette in rassegna, con parecchi interrogativi, una gamma di temi interconnessi: le preoccupazioni e i comportamenti di chi vive in provincia; le relazioni con il luogo dove si abita; l’equilibrio tra etica e pragmatismo; la necessità di restare aggrappati alle piccole cose triviali della vita quando si devono fronteggiare disgrazie, lutti, torti o assurdità. Ne emerge uno sguardo onesto, penetrante e a tratti caustico, rivolto all’essenza, non solo concreta, della vita umana e una capacità di raccontarla totalmente, senza giudicarla.

Winter sleep (2014), premiato con la Palme d’Or al miglior film al recente Festival di Cannes, costituisce un  magnifico affresco  delle relazioni umane, ma anche una disanima pluristratificata e coraggiosa delle contraddizioni nella società turca di oggi. La storia si svolge in inverno in un piccolo boutique hotel isolato, in Anatolia, nella regione turistica della Cappadocia. Aydin (Haluk Bilginer), il proprietario cinquantenne, è un intellettuale, ex attore teatrale di Istanbul, nonché editorialista del giornale locale. Sua moglie Nihal (Melisa Sozen), molto più giovane, è visibilmente frustrata e si dedica alla causa del sovvenzionamento delle scuole primarie locali. Necla (Demet Akbag), sorella di Aydin, è una donna matura, amareggiata a causa del recente divorzio. Poco a poco emerge un grave conflitto tra il protagonista e una famiglia povera di suoi locatari, in un altro stabile, che da mesi non possono pagare l'affitto.

Aydin è un “pensatore” tormentato che ama confrontarsi con la sorella sui temi dei suoi articoli: la morale, la coscienza, il buon comportamento dei religiosi musulmani. Per altro non riesce a confrontarsi con i più poveri, stigmatizza la loro rozzezza e delega la gestione delle sue proprietà, e le beghe connesse, al suo factotum, il fedele e pratico Hidayet (Ayberk Pekan). Necla discute con Nihal su quale sia il miglior comportamento per fronteggiare una violenza subita. Aydin e Nihal si scontrano perché lei soffre a causa del paternalismo e dell’arrogante misantropia del marito, mentre lui le rimprovera l’ingenuità volontaristica. Emerge un matrimonio in crisi da tempo, con sofferenza reciproca. I personaggi vivono  con disagio perché oppressi da antiche e nuove contraddizioni e interpretano in modo errato la loro collocazione sociale. Sentimenti e valori si confrontano e si complicano senza possibili mediazioni o sintesi.

 

Winter Sleep

"Kis Uykusu" (Winter Sleep), Nuri Bilge Ceylan

Il film è interamente caratterizzato da lunghi dialoghi, spesso di qualità letteraria, ma emozionanti, prevalentemente in interni, con rare note di humour. Una scrittura eccezionale che va oltre la trama per porci problematiche reali sulla vita e sulla convivenza, senza giudizi. E un meraviglioso gioco interpretativo degli attori. Visivamente è un’opera affascinante: una composizione magistrale delle immagini, inquadrature fisse con un abile gioco campo-controcampo negli huis clos, piani sequenza e saltuarie panoramiche widescreen del paesaggio con notevole profondità di campo e una  fotografia eccezionale  dai toni scuri, curata da Gökhan Tiryaki. Ceylan ha dichiarato di essere stato ispirato da alcuni racconti di Cechov, ma ha anche ammesso elementi autobiografici.  Ha negato precise implicazioni con la situazione politica contemporanea in Turchia, anche se ne sono evidenti alcuni riferimenti. Ha piuttosto precisato di voler rappresentare la natura umana, per toccare l’animo dello spettatore rouge

 

 

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NURI BILGE CEYLAN

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Uzak

Iklimler

Three Monkeys

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1995 - Cocoon

1997 - Small Town

1999 - Clouds of May

2002 - Uzak

2006 - Climates

2008 - Three Monkeys

2011 - Once Upon a Time in Anatolia

2014 - Winter Sleep

 

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