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px rouge PORTRAITS I SERGEI LOZNITSA I di GIOVANNI OTTONE I 2013

SERGEI LOZNITSA, LUCIDO INTERPRETE

Della Decadenza Dei Rapporti Umani in Russia

 

 

 

 

di GIOVANNI OTTONE

loznitsa

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Sergei Loznitsa, nato nel 1964 in Bielorussia e cresciuto in Ucraina, con un passato di matematico e traduttore dal giapponese, si è diplomato nel 1997 presso il prestigioso Istituto Statale Russo di Cinematografia (VGIK). È uno dei più importanti documentaristi contemporanei. Finora ha diretto 12 documentari, vincitori di premi in numerosi Festivals internazionali. Tra di essi ricordiamo il noto Blockade (2005) riguardante l’assedio di Leningrado da parte dell’esercito nazista, durante la Seconda Guerra Mondiale, basato su footage d’archivio e limpidamente chiaro rispetto al carattere forte del popolo russo. Dal 2001 Loznitsa vive in Germania ed è critico sulla carenza di democrazia nei Paesi ex sovietici. È autore finora di due lungometraggi da cui emerge una lucida capacità di mostrare la decadenza dei rapporti umani nelle Repubbliche nate dalla scomposizione della precedente URSS. In effetti vi si individua il percorso storico della corruzione delle coscienze e della sovversione culturale operate dal potere durante i 70 anni di governo da parte dell’oligarchia cosiddetta comunista e le sue conseguenze fino ad oggi. Forniamo quindi un commento articolato di questi due magnifici lavori.

Schastye moe (My joy) (2010), la sua opera prima di finzione presentata al Festival di Cannes, è un film drammatico inclassificabile caratterizzato da un’eccezionale qualità narrativa ed estetica. Secondo le informazioni raccolte, è stato girato in Ucraina e si basa sulle personali esperienze del regista e su storie non ufficiali che gli sono state raccontate durante i suoi viaggi nel Paese e in Russia. Si tratta di una poderosa e impressionante parabola da cui emerge l’ordinaria violenza e la sopraffazione ricorrente operata dalle gangs criminali e dai corpi dello stato preposti all’ordine pubblico, presenti nella Russia e nell’Ucraina contemporanee. Peraltro, pur essendo ambientato nel presente, ma con ampie digressioni nel passato secolo scorso, emerge che la decadenza dei rapporti umani e l’orrore vissuto dai cittadini più deboli era già presente ieri e perdura tutt’oggi.

Tokyo sonata

"Schastye Moe (My joy)", Sergei Loznitsa

La sofisticata struttura narrativa del film è solo apparentemente complessa. In realtà la collezione di episodi isolati costituisce un itinerario di discesa agli inferi il cui filo conduttore è la memoria traumatizzata di un popolo vittima del totalitarismo delinquenziale “comunista” (e dei suoi epigoni attuali). La struttura favolistica offre quindi il ritratto dello spirito e dell’anima russi, irrimediabilmente feriti e persino vittime di una propaganda che vieta un punto di vista indipendente sulla Storia (gli episodi più oscuri avvenuti durante la cosiddetta Grande Guerra Patriottica, il termine usato dai russi per indicare la Seconda Guerra Mondiale).

La vicenda si sviluppa come un road movie sui generis, un percorso ellittico in cui spazio e tempo perdono il loro significato abituale. Il protagonista è Georgy (Viktor Nemets), un camionista trentenne che parte dalla sua città natale con un carico di merce e viaggia su un’autostrada che attraversa una foresta. Dopo qualche tempo si trova coinvolto in un ingorgo. Quindi incontra una prostituta minorenne e le offre un passaggio, ma rifiuta di intrattenersi con lei. Viene fermato per un controllo della polizia stradale e poi viene sviato su una strada secondaria. Incontra alcuni individui e durante la notte viene malmenato brutalmente e abbandonato svenuto in aperta campagna. I banditi (che, scoprirà in seguito, sono d’accordo con i poliziotti) hanno rubato il suo camion. Georgy giunge quindi in un villaggio ed, essendo sofferente per il trauma cranico subito, viene ospitato da un’anziana donna che non lo tratta affatto gentilmente. Durante la sua forzata permanenza in quel luogo isolato entra in contatto con vari personaggi, tra cui un veterano di guerra e una misteriosa zingara. Da quel momento si succedono e si intrecciano varie storie (raccontate al protagonista) ambientate in epoca attuale e durante tutta l’epoca comunista (dalla Rivoluzione sovietica alla Seconda Guerra Mondiale, ecc.). Emergono truci episodi che dimostrano come una terribile violenza sia occultata sotto la superficie della vita quotidiana, tra minacce, vendette, furti e delitti di ogni genere. Fino all’apocalittica sequenza finale che si svolge quando Georgy ritorna sull’autostrada e giunge nello stesso posto di controllo della polizia stradale. L’uomo sarà testimone di una carneficina innescata per apparenti futili motivi e quindi si allontanerà a piedi solo nella notte. Loznitsa conduce lo spettatore in questo viaggio convulso nel “cuore delle tenebre”, comunicandogli un costante stato di tensione. Le potenti immagini di forza bruta e di violenza si alternano a sequenze poetiche tristi e delicate. Il film è inclassificabile, ma evita lo sperimentalismo inconcludente e offre una denuncia politica inequivocabile, ,ancora più efficace nelle sua atipicità. Vengono in mente “La Divina Commedia”, i romanzi di Franz Kafka e “Heart of darkness” di Joseph Conrad. Peraltro gli episodi in sé sono ben comprensibili e rappresentano perfettamente vari aspetti della crisi morale e sociale di quei Paesi. Infine occorre citare l’impressionante lavoro di Oleg Mutu, il direttore della fotografia e cameraman romeno che ha usato il formato scope organicamente e ha costruito immagini di qualità, costantemente utili all’informazione narrativa.

V tumane (In the fog) (2012), il suo film successivo, ha ottenuto il Premio della Giuria della FIPRESCI quale miglior film ed è stato, senza dubbio, il miglior film presentato al Festival di Cannes dello scorso anno. Il nostro giudizio deriva dalla devastante significatività di contenuti, dall’originalità narrativa e dalla qualità estetica. Secondo le informazioni raccolte, il film, come nel caso del precedente Schastye moe (My joy), si basa su storie non ufficiali che sono state raccontate al regista durante i suoi viaggi nei Paesi della ex Confederazione delle Repubbliche Sovietiche (in effetti Loznitsa vive da alcuni anni in Germania ed è critico sulla carenza di democrazia nei Paesi ex sovietici).

La storia si svolge nel 1942 in Bielorussia. La regione è occupata dai nazisti e i partigiani russi combattono una strenua resistenza. In seguito a un sabotaggio da cui risulta il deragliamento di un treno, Souchénia (Vladimir Svirski), un operaio delle ferrovie, che vive nel villaggio vicino, viene arrestato dai militari tedeschi insieme a tre membri del gruppo che ha compiuto l’azione. Mentre gli altri vengono giustiziati dai nazisti, l’uomo viene lasciato libero. In breve si diffonde la voce secondo cui Souchénia sarebbe un traditore. Due partigiani comunisti, Bourov (Vlad Abashin) e il commissario politico Voïtik (Sergeï Kolesov), vengono inviati dal loro comando per arrestare ed eliminare il presunto delatore. Sebbene quest’ultimo si dichiari innocente, lo trascinano nella foresta.

in the fog

"V Tumane (In the Fog)", Sergei Loznitsa

Durante la marcia verso il luogo dell’esecuzione si imbattono in una pattuglia di tedeschi. Nel corso del brevissimo scontro Voïtik muore e Bourov è ferito, ma, con l’aiuto di Souchénia, riescono a seminare gli inseguitori. I due uomini procedono lentamente e devono spesso sostare. Alcuni flashbacks, composti da eleganti carrellate, consentono di capire che i tre russi si conoscevano fin dall’infanzia e mostrano i loro diversi atteggiamenti durante l’occupazione. Souchénia potrebbe fuggire perché Bourov si sta aggravando, pur rimanendo lucido. Pur sapendo che alla fine sarà ucciso, continua a portare a spalla il ferito. Per lui è importante difendere il suo onore e preservare la sua famiglia da successive ritorsioni da parte dei partigiani. Quindi compie un atto estremo. Il film propone un’impressionante rappresentazione di un conflitto tra due concezioni della vita e dei valori umani. Da un lato vi sono due individui che sono succubi dell’ideologia del sospetto tipica del comunismo stalinista sovietico e della necessità di obbedire alle direttive gerarchiche dei capi militari e del Partito sacrificando ogni dubbio. Dall’altro vi è un uomo che è incerto perché pensa alla sua famiglia (moglie e figlia), ma che proclama strenuamente la sua integrità e che, in un supremo atto di testimonianza, afferma la sua libertà e la sua dignità. Emerge con chiarezza la decadenza dei rapporti umani, e l’orrore vissuto dai cittadini più deboli, durante la Grande Guerra Patriottica, il termine usato dai russi per indicare la Seconda Guerra Mondiale. Una storia di minacce, vendette, sopraffazioni e delitti di ogni genere, perpetrati nei confronti di fratelli e amici, iniziata già alla fine degli anni ’20 e non ancora terminata. La sofisticata struttura narrativa del film è solo apparentemente complessa. Loznitsa opta per un approccio osservazionale molto semplice, ai limiti della contemplazione, un percorso ellittico in cui spazio e tempo perdono il loro significato abituale. La cornice esclusiva della vicenda è un vasto bosco naturale, ripreso con intensa fisicità. Non è un film di guerra, nonostante ricostruisca una situazione bellica, perché pone in primo piano una composta indagine sulle emozioni dei personaggi, assolutamente scevra di retorica. Le azioni militari restano sullo sfondo, un eco importante, ma superato dal confronto morale e dall’anelito spirituale della vittima designata. I prolungati piani-sequenza contribuiscono a costruire un costante senso di costrizione e di attesa. I dialoghi sono scarsi e le poche parole sono spesso sommesse. Vengono in mente “La Divina Commedia”, i romanzi di Franz Kafka e “Heart of darkness” di Joseph Conrad. Come nel caso del precedente film di Loznitsa, occorre citare l’impressionante lavoro di Oleg Mutu, il direttore della fotografia e cameraman romeno che ha usato il formato scope organicamente e ha costruito immagini di qualità, costantemente utili all’informazione narrativa. E ancora, un’estrema attenzione ai dettagli che garantisce un credibile tono realista d’epoca. Inoltre un raffinato lavoro di valorizzazione dei rumori naturali da parte di Vladimir Golovnitskirouge

 

 

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