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px rouge PORTRAITS I FRANCOIS OZON I di GIOVANNI OTTONE I 2015

FRANCOIS OZON

Un caso speciale nel cinema francese contemporaneo

 

 

 

 

di GIOVANNI OTTONE

Francois Ozon

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A partire dagli anni ’90 il cinema francese ha visto emergere una schiera di nuovi autori che, pur nella diversità individuale, si sono caratterizzati per un approccio più estremista, provocatorio e iconoclasta, affrontando temi quali l’identità, la sessualità, la famiglia e le relazioni interpersonali. Sono filmmakers che sperimentano soluzioni narrative ed  estetiche nuove e propongono una mescolanza di primitivismo e di sofisticazione, coniugando il crudo realismo delle immagini con approcci intellettuali ambiziosi e contraddittori. Rifiutano il “buon gusto” e gli stereotipi di quello che identificano come il classicismo del cinema della parola, realizzato dalle generazioni precedenti e da alcuni loro coetanei innovatori di quella categoria, dialogano con la quotidianità e la contemporaneità, e frequentano i generi per stravolgerli e contaminarli. Se ne possono citare alcuni: Gaspar Noé che si serve della implosione della coscienza e della violenza selvaggia per enfatizzare la sua visione pessimistica del mondo; Catherine Breillat che rappresenta in termini nuovi il desiderio femminile ed esprime la trasgressione nel modo di trattare il corpo e la sessualità;  Claire Denis interessata nella rappresentazione della alterità e alla ricerca di  individui che transitano al margine delle norme sociali; Bruno Dumont che pone al centro dei suoi film la dialettica tra il bene e il male e la rappresentazione di un misticismo atipico a confronto con una natura selvaggia; Bertrand Bonello il cui cinema ruota attorno ai temi della carnalità, della passione assoluta, dell’isolamento e del dualismo.

Si può affermare che François Ozon, oggi quasi cinquantenne, appartenga senza dubbio a questa nuova tendenza, per lo meno all’inizio della sua carriera cinematografica e fino al 2000, ovvero quando realizza i suoi sorprendenti cortometraggi, tra il 1985 il 1997, e, subito dopo, i suoi primi tre lungometraggi. Allora è stato considerato l’enfant terrible del cinema francese, amato o odiato senza mezzi termini dai critici e dal pubblico in ragione della presunta perversione presente nei suoi film. Oggi, valutando il complesso della sua ampia filmografia, può essere definito un autore ormai molto maturo che propone, con leggerezza antiretorica e con uno stile raffinato, questioni molto attuali. Resta comunque un caso speciale: i suoi estimatori ne lodano la grande audacia e il talento, mentre i suoi detrattori ne evidenziano le troppo facili provocazioni, un certo simbolismo accentuato e fastidioso, una certa superficialità nella caratterizzazione dei personaggi e la priorità data alla sperimentazione formale. Tuttavia è  incontrovertibile che si tratta di un regista che non ha rinunciato alle sue tematiche  preferite pur passando, nel corso di quasi un ventennio, da  produzioni low budget a un cinema anche mainstream e, che con i suoi ultimi film sta ottenendo attenzione e successo anche presso il grande pubblico che ne apprezza i ritratti, le storie, l’ironia e il sarcasmo che fanno riflettere sulla complessità dell’universo esistenziale contemporaneo.

FORMAZIONE E CORTOMETRAGGI

François Ozon (Parigi 1967), figlio di due insegnanti, si appassiona fin dall’adolescenza al teatro e soprattutto al cinema. Infatti tra il 1985 e il 1988 realizza una trentina di cortometraggi amatoriali in super 8, che raccontano storie domestiche grottesche e in cui  utilizza come attori membri della sua famiglia: ad esempio in Photo de famille (1988) suo fratello Guillame assassina i suoi congiunti. Si laurea in cinema presso l’Università Paris I e svolge successivi studi alla prestigiosa scuola di cinema FÉMIS, essendo allievo di Maurice Pialat, di Éric Rohmer e del critico Jean Douchet. Contemporaneamente agli studi e successivamente al diploma realizza 12 cortometraggi che lo fanno conoscere nell’ambiente professionale del cinema, ottenendo anche premi in alcuni Festival di prestigio.  In questi suoi primi film Ozon prefigura già molte tematiche che si ritrovano poi nei lungometraggi successivi. Essendo dichiaratamente gay,  rappresenta un mondo in cui il desiderio omosessuale, cosciente o meno, non è commendevole. Ma va oltre: mostra quanto i comportamenti diversi dalle norme a livello sessuale, ma anche nella famiglia e nel lavoro possono coinvolgere tutti i suoi personaggi e sono strumenti di liberazione  personale. Quasi mostrandosene ossessionato, il regista viola  apertamente e provocatoriamente alcuni tabù rispetto alla masturbazione, alla prostituzione, alla bulimia nervosa, alla maternità, all’omicidio e al parricidio. In sostanza in questi lavori, ad esempio in Victor (1993), La petite mort (1995) e nell’eccellente Une robe d’été (1996), affronta in termini innovativi i temi della sessualità, della trasgressione e della morte, in particolare nel passaggio dall’infanzia all’età adulta. Inoltre inserisce motivi horror che sono correlati alla rottura dei limiti e delle regole imposti dalla società rispetto alle dicotomie tra pulito e sporco, puro e impuro, morale e immorale. Lascia anche intravedere un legame significativo con alcune tendenze culturali e letterarie francesi, dal Marchese de Sade a Georges Bataille. Nel 1997 realizza il suo finora unico mediometraggio: Regarde la mer (1997).  Girato sulla tranquilla spiaggia sabbiosa di un’isola, racconta una storia al femminile con due personaggi: l’incontro tra una donna inglese che vive isolata in un cottage con la sua  bimba di dieci mesi e una giovane backpacker,  piuttosto antipatica, che pretende di  campeggiare nel suo giardino. Un film inizialmente insinuante nel descrivere lo sviluppo di una relazione amichevole tra le due donne dopo l’iniziale diffidenza risentita, fino ad una velata attrazione della padrona di casa verso la sua ospite. Ozon utilizza strumentalmente i temi del cibo, della contraddizione tra spazio pubblico e privato e della tensione tra luce e oscurità. Quindi costruisce, con semplicità ed eleganza, un clima di progressivo disagio, dovuto al comportamento della giovane ospite, fino a che la  vicenda diventa sottilmente terrificante. L’inaspettata eccellente combinazione di toni ironici e horror, di desiderio e di frustrazione sessuale e il suggerimento che la divisione tra simboli di vita e di morte non può  essere stabilita con facilità, che all’uscita del film suscitarono molte controversie, appaiono in debito e in sintonia con il cinema di Claude Chabrol e di Roman Polanski.

UN CINEASTA MULTIFORME

Dal 1998 ad oggi François Ozon ha scritto e diretto 15 lungometraggi, una media di circa uno all’anno. Ha esplorato una straordinaria varietà di generi, forme narrative e combinazioni stilistiche. In effetti,  schematizzando, possiamo individuare le seguenti tipologie di film: l’adattamento teatrale (Gouttes d’eau sur pierres brûlantes, Potiche e Dans la maison); il dramma psicologico e intimista (Sous le sable, Le temps qui reste, Le refuge e Jeune et jolie); il melodramma musicale (8 femmes); il crime thriller (Swimming pool); il dramma  sentimentale moderno e in costume (5 x 2 e Angel); la storia fantastica (Les amants criminels); il racconto di realismo magico (Ricky); la commedia drammatica (Une nouvelle amie).  Spesso i film combinano elementi di generi diversi: soap opera, commedia, dramma e horror (Sitcom); crime thriller e fairy tale (Les amants criminels); melodramma, noir e musical (8 femmes); melodramma tragico, commedia vaudeville e thriller a sfondo sessuale (La nouvelle amie). Ozon mescola elementi di genere familiari allo spettatore con innovazioni che gli sono sconosciute e che destrutturano gli stessi generi. Ad esempio Sitcom e 8 femmes  funzionano veramente come pastiches ovvero come combinazioni di generi in cui gli elementi diversi sono individualmente distinguibili, ma modificati dal fatto di essere amalgamati insieme, proprio come un pasticcio culinario. In  gran parte dei film di Ozon la narrazione cinematografica è spesso contrassegnata da un’irruzione di  modificazioni di genere inaspettate, di destabilizzazioni visive e di digressioni emotive o sonore che funzionano anche come fattori di congiunzione. Sembra quasi che queste intersezioni avvengano in momenti decisivi  appena precedenti radicali trasformazioni dei personaggi. In ogni caso  la presenza di  elementi di genere, segnatamente horror, mediato o meno dal fantasy, musical e melodramma, marca la cesura  della convenzione narrativa e spesso interrompe le aspettative dello spettatore. In particolare Ozon combina o alterna, in alcuni dei suoi film, due tipologie di melodramma: quello che esplora crisi temporanee e che precede  il climax esplosivo; un secondo che utilizza gli eccessi emotivi per provocare la crisi della stabilità, sfruttando le tensioni. In aggiunta vi è un altro aspetto  significativo nella struttura di  alcuni film: la narrazione a ritroso. Il racconto viene distorto e funziona in termini trasgressivi rispetto alle aspettative del pubblico. Si tratta di una scelta formale che  articola tutto il film (5x2), e sorprende il pubblico rispetto alla conoscenza dei personaggi e della storia, o ne modula solo una porzione (Les amants criminels). In quest’ultimo caso segna una volontà di sperimentazione di una diversa cronologia degli eventi, attraverso una nuova opzione di montaggio avvenuta dopo un primo test con il pubblico, come dichiarato dal regista. D’altronde anche lo stile di Ozon è molto diversificato,  spaziando da un alto grado di artificiosità visionaria a un accurato e serio realismo psicologico. Inoltre  vi è spesso  un ricorso a forme di estrema stilizzazione, in termini di scenografia, costumi, fotografia, tecniche di  ripresa e colonna sonora, per fare emergere la confusione tra il vero e il falso e verità nascoste riguardanti i suoi personaggi. Ozon si è sempre dichiarato grande ammiratore di Werner Fassbinder. In generale si può affermare che la sua speciale ironia e intelligenza nella messa in scena rendono i suoi film meno emotivamente impegnati di quelli di Fassbinder e meno arzigogolati e involuti di quelli di Pedro Almodóvar. Nel suo cinema è evidente il riferimento a temi e suggestioni di altri maestri: in primis Chabrol e Buñuel, ma anche Hitchkock, Rohmer e Haneke. Nel corso degli anni ha scoperto o utilizzato una schiera di attrici e attori che ha dichiarato di aver sempre diretto conquistandone la fiducia attraverso una asserita sincerità e onestà nei loro confronti, ovvero rivelando loro sempre tutte le sue intenzioni e le esatte modalità scelte nel  filmarli. Ne citiamo alcuni: Charlotte Rampling; Ludivine Sagnier; Catherine Deneuve; Marina de Van, anche collaboratrice alle sceneggiature di Sous le sable e 8 femmes; Melvil Poupaud; Fabrice Luchini; Romain Duris.

Bir zamanlar Anadolu'da

"Jeune et Jolie", François Ozon

 

Prima di affrontare temi, rappresentazioni simboliche e miti nel cinema del regista occorre  considerare una questione fondamentale: Ozon è un cineasta che appartiene al “gay and lesbian cinema”? Lui stesso, nelle sue interviste sembra negarlo quando afferma che i suoi film contengono rifermenti alla sua sessualità, ma non sono autobiografici. Occorre quindi forse considerare  più appropriata nel suo caso la definizione anglosassone di “queer cinema” che  non contiene una connotazione  precisa di identità sessuale, ma considera piuttosto la fluidità dei processi della sessualità.  Una tipologia cinematografica che riguarda storie con personaggi che si pongono al di fuori della normalità eterosessuale, intesa in termini anche culturali e sociali, quindi con l’implicazione della famiglia tradizionale nucleare e dei valori patriarcali, e / o la sovvertono. Nei suoi film Ozon si mostra ambivalente rispetto alla norme sessuali e suggerisce che le identità sessuali  tradizionali sono ormai prive di un sicuro ancoraggio.

Asseconda le convenzioni e al tempo si ribella contro di esse, provocando reazioni nel pubblico rispetto a questioni rappresentate in modo controverso: l’amore materno; il desiderio sessuale femminile; il sangue mestruale; la soggettività gay. Peraltro non si notano mai riferimenti all’AIDS o a temi di attivismo e politicizzazione dei gay. Inoltre, pur potendo essere considerato parte di un gruppo di  filmmakers francesi contemporanei che superano i limiti della rappresentazione del sesso nel cinema mainstream e proponendo senza timore immagini di attività sessuali libere e di bizzarri accoppiamenti, Ozon non aderisce a un’estetica narcisistica nel mostrare i corpi nudi maschili e femminili. In sostanza i suoi film, non sempre con chiare connotazioni queer o trasgressive, non possono  essere collocati in una precisa categoria.

Il cinema di Ozon ruota intorno ad alcuni temi privilegiati e ricorrenti, in particolare  l’ambiguità, l’ambivalenza e le complicazioni della sessualità negli adulti e negli adolescenti, le relazioni o le non relazioni tra membri reali o immaginari della famiglia e quindi la sovversione delle norme familiari e sociali. Peraltro i suoi film non trattano solo tematiche forti come il desiderio, l’incesto, la morte, l’assassinio, il trauma psicologico e il lutto, ma anche questioni più comuni della vita ordinaria come il cibo, la famiglia e i bambini. Le sue sceneggiature insistono sull’itinerario interiore dei personaggi, specie quelli femminili, che si confrontano con le difficoltà nell’affermare i loro desideri e le loro affinità in una società normalizzata e oggettivamente repressiva. Ozon mostra una continua  predilezione per i personaggi femminili  che sono sfaccettati e determinanti nei film  in cui la storia è al femminile (Sous le sable, 8 femmes, Swimming pool, Jeune et jolie), ma anche quando la tematica omosessuale sembra prevalere (Gouttes d’eau sur pierres brûlantes, Le temps qui reste). I suoi protagonisti sono individui che si impegnano in un processo di autorealizzazione, legato a una scoperta di identità sessuale e / o di liberazione attraverso la ribellione contro il padre, figura rappresentata come silente o assente. Da un lato vi sono intense esperienze quotidiane. Dall’altro vi è la metamorfosi del personaggio, che lo fa uscire da una condizione di (auto)repressione e di passività e lo proietta su un nuovo percorso, spesso innescata da un evento fantastico. Peraltro nella rappresentazione della sessualità, nei film realizzati tra il 2000 e il 2007 (Sous le sable, Swimming pool, Le temps qui reste, che costituiscono una trilogia  dedicata al trauma e al lutto,il cortometraggio Un lever de rideau, Angel), Ozon sembra incline a un più accentuato  scetticismo, con punte di cinismo, alla rassegnazione rispetto alle possibilità di cambiamento e alla prevalenza della solitudine nell’esistenza quotidiana. In Sous le sable e in Swimming pool (in entrambi la protagonista è  una donna matura senza figli ed è interpretata da Charlotte Rampling) il regista descrive gli effetti del trauma emotivo rispetto al desiderio femminile, mentre in Le temps qui reste propone allo spettatore un maschio omosessuale traumatizzato, realizzando un  altro magistrale ritratto del lutto. In effetti anche se non in forma non del tutto esplicita, da  questi film, visivamente più eleganti e meno bizzarri, più realisti e decisamente malinconici, emerge un pessimismo politico rispetto al conservatorismo, alla mancanza di comprensione e di tolleranza nei confronti di forme di sessualità alternativa e all’ipocrisia ampiamente presenti in Francia  in una fase storica in cui si affermarono le forze politiche del centro-destra. Un altro tema che emerge prepotentemente nel cinema di Ozon è quello della relazione padrone – servo, anche con un rovesciamento dei ruoli. Il regista pone enfasi su aspetti feticistici, su figure fantasmatiche e su un immaginario sadomasochistico (Sitcom, Les amants criminels,  Gouttes d’eau sur pierres brûlantes, 8 femmes). D’altronde i personaggi dei domestici mostrano una capacità di resistenza alle trasformazioni ben  al di là della staticità della loro posizione.  Questi film mostrano  affinità con  altri di autori quali Luis Buñuel, Joseph Losey e Werner Fassbinder e lasciano anche intravedere un legame significativo con alcune tendenze culturali e letterarie francesi, dal Marchese de Sade a Georges Bataille.

Ozon è affascinato dall’ artificio e dalla teatralità. Ad esempio in alcuni film (8 femmes, Swimming pool) non esita a costruire  la trama utilizzando creativamente forme convenzionali. Da un lato ilwhodunnit” (contrazione inglese che significa “chi l’ha compiuto?”), una modalità molto presente nell’età dell’oro nella letteratura inglese poliziesca tra il 1920 e il 1950 (Agata Christie, Nicholas Blake, G. K. Chesterton e altri). È una complessa forma di elaborazione del plot per vicende con un assassinio misterioso e per  le detective stories.  Consiste nell’offrire ai lettori o al pubblico, mostrandogli segni e prove, l’opportunità di compiere lo stesso processo di deduzione che deve effettuare il protagonista che investiga il crimine. In questo modo lo spettatore può identificare il colpevole prima del climax ovvero del momento in cui la storia lo rivela. Dall’altro lato il melodramma (5x2, Sous le sable, Une nouvelle amie) per sottolineare l’importanza del genere nella vicenda o per affrontare la questione del cambiamento di natura dell’identità di genere.  Peraltro il suo mondo cinematografico di Ozon è anche pieno di motivi fantastici (Les amants criminels, Ricky).  Infine il regista usa anche con molto talento la commedia per mostrare le problematiche della società contemporanea e quanto  le sue norme e le sue restrizioni  possano danneggiare le persone (Potiche). I suoi ritratti cinematografici della famiglia borghese o piccolo borghese francese ne mettono a nudo gli aspetti più occulti: feticci, brame, delusioni, crisi di identità e  fantasmi sessuali. D’altronde il suo atteggiamento non è univoco o schematico. Mentre nei suoi cortometraggi e nei suoi primi lungometraggi (Sitcom) prevale la satira e la distruzione della famiglia uccidendo il patriarca, in opere più recenti (Dans la maison) viene mostrata ironicamente una fascinazione  di un adolescente nei confronti di una famiglia del ceto medio che lui considera perfetta. Ozon sembra suggerire  il bisogno di famiglia, specie nei più giovani e, al tempo stesso, in certi casi, quello di annientarla. Nei suoi ultimi suoi tre lungometraggi (Dans la maison, Jeune et jolie, Une nouvelle amie), che hanno ottenuto un buon successo di critica e di pubblico,  Ozon non rinnega le sue scelte in termini di poetica e temi trattati, individuati anche come fattori di sovversione delle norme convenzionali a livello familiare e sociale.  Peraltro si nota una nuova maturità: una scrittura più coerente, senza complicazioni di introspezione psicologica o di deriva finalistica ma più empatica nei confronti dei personaggi; un ritmo narrativo più fluido, senza rinunciare ai colpi di scena e al gioco di apparenze e ai continui capovolgimenti di desideri e sentimenti finemente cesellati, con una perfetta combinazione di suspence e di intrattenimento, di  humour intelligente e di sottile malinconia; una costruzione visiva rigorosa ed emozionante.

RASSEGNA CRITICA DEI LUNGOMETRAGGI

Per completare la revisione critica dell’opera di François Ozon proponiamo una sintetica rassegna dei lungometraggi che il regista ha realizzato fino ad oggi. Occorre considerare che quasi tutti questi film sono stati presentati in competizione nei Festival  internazionali più prestigiosi, di categoria A, che si svolgono in Europa, precisamente a Cannes, a Berlino, a Venezia e a San Sebastian. Inoltre, nel corso degli anni, sono stati tutti distribuiti nelle sale cinematografiche italiane.

Sitcom – La famiglia è simpatica (Sitcom) (1998), lungometraggio di esordio di Ozon,  è molto irriverente, visionario, caustico e bizzarro. Propone sia una critica molto contundente alla tradizionale famiglia nucleare e alle sue convenzioni sia una descrizione vivace e disinvolta di multiformi aspetti della sessualità e di passioni trasgressive,  utilizzando un espediente molto particolare. Al centro della vicenda, che si svolge in una villetta in un tranquillo quartiere residenziale suburbano, vi è una famiglia piuttosto compassata  della buona borghesia che vive in armonia e compassata, ma che verrà investita da un’onda di corruzione morale e di perversione. All’inizio del film  tutto il clan familiare offre a Jean (François Marthouret), il padre modello, un party di compleanno. Ma in quell’atmosfera apparentemente idilliaca l’uomo avvia uno sfogo in cui lancia accuse contro tutti i congiunti.  Quindi con un lungo flashback si  risale a  molti mesi prima. Hélène (Évelyne Dandry), la madre,  perfetta casalinga  istruisce Maria ( Luisa Sanchez) la nuova cameriera spagnola.

 

Francois Ozon

"Sitcom" François Ozon

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Poi il padre arriva a casa portando in regalo un topolino in una gabbietta. I due figli, Sophie (Marina de Van) e Nicolas (Adrien de Van) sono felici, ma la padrona di casa è invece contrariata. In effetti il roditore, trattato come animale da compagnia,  diventa il catalizzatore di una rapida catena di eventi radicali. Nicolas, il figlio minore, scopre di essere omosessuale, compie l’outing e organizza festini nella sua camera da letto. Sophie tenta il suicidio gettandosi dalla finestra, sopravvive ed è ridotta su una sedia a rotelle, ma inizia a manifestare tendenze sado - masochistiche. La stessa domestica Maria, pur sposata con l’esotico Abdu (Jules-Emmanuel Eyoum Deido), che peraltro diventa amante di Nicolas, si rivela molto libertina. E Hélène vive un risveglio sessuale proprio con Maria. Comunque il percorso sorprendente che accompagna la rivoluzione sessuale dei personaggi si conclude con l’annientamento del patriarca. Il film offre reminiscenze delle commedie scatenate di John Waters e inanella una serie di situazioni strambe ed esilaranti. Non mancano anche i riferimenti al cinema di Luis Buñuel, Pier Paolo Pasolini, Pedro Almodóvar e David Cronenberg. Il film risulta forse troppo esagerato nell’accumulo di battute ed esibizioni e squilibrato nella circolarità narrativa, ma rivela già molti aspetti di un cinema  iconoclasta e originale. Non mancano anche i riferimenti al cinema di Luis Buñuel, Pier Paolo Pasolini, Pedro Almodóvar e David Cronenberg. Il film ottenne subito il favore di molti critici e suscitò un discreto interesse nel pubblico (200.000 spettatori nelle sale francesi), considerato la sua natura produttiva di opera low budget, di tipologia cosiddetta art and essai).

Francois Ozon

"Les amants criminels" François Ozon

 

Amanti criminali (Les amants criminels) (1999) è un dramma passionale con connotazioni di thriller criminale, sordido e senza senso, ma con uno sviluppo straniante e non prevedibile  legato a inserzioni che fanno pensare a un fairy tale dei fratelli Grimm e a spunti psicoanalitici. La protagonista è Alice (Natasha Régnier), una studentessa liceale molto attiva sessualmente, di indole dispettosa e malvagia. Il film inizia con una sequenza di  omicidio molto sanguinolenta, di forte impatto emotivo.  Un ragazzo e una ragazza pugnalano un altro giovane mentre si trova nella doccia. Solo in seguito lo spettatore apprende l’arcano. Alice ha convinto il fidanzato Luc (Jérémie Renier) ad aiutarla a uccidere Saïd (Salim Kechiouche), un  loro compagno di classe che l’avrebbe violentata insieme ad altri. Luc, ancora vergine e quindi ferito nell’orgoglio, si lascia facilmente  persuadere. Ma da alcuni flashbacks si insinua la possibilità che Alice sia una persona  poco limpida. Avvenuto il delitto, durante la notte, i due amanti seppelliscono il corpo di Saïd in un bosco.

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Ma, essendosi persi,  vengono  catturati da un misterioso eremita - orco, cacciatore di conigli (Miki Manojlovic), che li rinchiude insieme al cadavere nella cantina della sua casupola e rivela loro che ha deciso di mangiarli. Quindi offre a Luc la possibilità di salvarsi insieme ad Alice se accetta di    subire un rapporto sessuale. Il giovane finisce per  acconsentire e  i due vengono liberati. Usciti dalla foresta incontrano la polizia che ha scoperto il delitto che hanno commesso. Il film è ricco di sorprese e contiene spunti di humour sardonico. Ozon vi mostra la sua inclinazione per il  complesso intrigo sessuale e per la giustapposizione di motivi perversi, atipici e sconcertanti. Il film ricevette molte stroncature  da parte della critica.

Gocce d’acqua su pietre roventi (Gouttes d’eau sur pierres brûlantes) (2000) è un melodramma da camera  venato da uno humour particolare: è  complesso, contraddittorio e tragico. È basato su una pièce teatrale scritta da Rainer Werner Fassbinder all’età di 19 anni e mai messa in scena. L’azione, ambientata in Germania negli anni ’70, è sostanzialmente confinata  in un appartamento dove si ritrovano quattro personaggi. Mentre attende la propria fidanzata  lo studente diciannovenne Franz (Malik Zidi) si imbatte in Lèopold (Bernard Giraudeau), un  assicuratore cinquantenne, e accetta  l’invito a seguirlo a casa. Quando si trovano nell’appartamento Léopold mostra apertamente la sua indole omosessuale e riesce a sedurre il giovane. Sei mesi più tardi la storia d’amore tra i due si è trasformata in un tranquillo ménage coniugale, ma si evidenziano piccole incrinature dovute alle differenze caratteriali. Sentendosi a disagio, dopo una disputa Franz minaccia di andarsene. Durante un’assenza del compagno il giovane riceve la visita di Anna (Ludivine Sagnier), la sua precedente fidanzata, e la loro passione  si riaccende.

 

Francois Ozon

"Gouttes d'eau sur pierres brûlantes" François Ozon

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Nel frattempo è tornato Léopold. L’uomo affascina Anna e riesce a convincere i due giovani amanti a rimanere con lui, componendo una relazione triangolare decisamente problematica. Poi all’improvviso nell’appartamento giunge Vera (Anna Thomson), il transessuale già compagno del padrone di casa. A questo punto le due coppie compongono un unico ménage in cui si sperimentano giochi sessuali e di ruolo, ma il finale è tragico. Il film è strutturato teatralmente in  quattro atti e registra minuziosamente  le modificazioni comportamentali e le relazioni di potere tra i quattro protagonisti. Ozon compie un omaggio a Fassbinder, proponendo una reinterpretazione  del tema eros e thanatos  e una complessa rappresentazione del desiderio, ma ponendosi anche in sintonia con lo humour corrosivo, ma sotto traccia, del grande regista tedesco. Esplora l’ampio range dell’espressività sessuale umana (eterosessualità, omosessualità, bisessualità, transessualità), i ruoli gender e i termini della manipolazione da parte di un amante nei confronti del partner. Nel complesso il film propone una visione piuttosto deprimente della sessualità e pare contemplare il potere distruttivo delle relazioni. Il tutto   è accentuato dallo svolgimento tutto indoor con molte sequenze quasi in penombra. Peraltro, sfruttando con perizia lo huis clos,spazio claustrofobico, e le doti interpretative degli attori, Ozon si affida a dialoghi prolungati e incalzanti e propone momenti intriganti e motivi surreali, tra cui una breve digressione in cui gli attori eseguono un ensemble danzante in stile musical.

Francois Ozon

"Sous le sable" François Ozon

 

Sotto la sabbia (Sous le sable) (2000) è affascinante e intrigante. È un thriller a basso voltaggio che riguarda una vicenda privata e intima dove la forza del dramma si stempera nell’incertezza rispetto alla razionalità dei fatti. È una storia di perdita, di dolore e di rifiuto, ma anche di dinamiche del piacere femminile. Racconta una coppia borghese di cinquantenni raffinati e tranquilli, sposati da 25 anni: Marie (Charlotte Rampling), insegnante di letteratura inglese in un’università della capitale, e Jean (Bruno Cremer). Come negli anni precedenti, durante le vacanze estive, si trasferiscono da Parigi alla regione di Les Landes sulla costa atlantica meridionale, dove posseggono una seconda casa. L’uomo appare inquieto e malinconico. Il giorno successivo all’arrivo si recano in spiaggia, una lunga fascia di sabbia. Jean propone un bagno, ma Marie, che dormicchia, rifiuta. Quando si risveglia non lo vede. Trascorrono le ore e Jean non torna. D’altronde nessun testimone l’ha visto entrare  in acqua. Marie torna a casa inquieta e avvisa la guardia costiera, ma le ricerche sono vane e neppure il corpo senza vita viene ritrovato.

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Dopo una notte tormentata, la donna torna a Parigi ove apparentemente si comporta con grande disinvoltura. In realtà, la sua vita trascorre con l’impressione che Jean sia presente. Marie si confida con un’amica: pensa che Jean si sia suicidato con certi farmaci. Ma il suo disorientamento emotivo la spinge a negarlo. Successivamente incontra un uomo, lo invita a cena e fa l’amore con lui, ma dalla porta della stanza le sembra di vedere il marito. La suocera le fa intendere che forse Jean se ne è andato essendo stanco di lei. Infine, avvisata dalla polizia, deve tornare a Les Landes per identificare il corpo di un uomo trovato in mare. Nonostante l’avanzato stato di decomposizione, varie prove e reperti medico-legali confermano che il morto è Jean, ma Marie nega l’evidenza, affermando che l’orologio del morto non è quello del marito. Nell’ultima scena, quando sono trascorsi alcuni mesi, Marie si trova sulla stessa spiaggia e piange disperata. Ma poi vede un uomo sulla riva del mare e gli corre incontro. Ozon riesce a descrivere con grande efficacia la reazione psicologica di una donna, gravemente ferita nell’intimo, che lotta per evitare la depressione. Al tempo stesso, con perfidia, gioca sull’intersezione tra realtà e apparenza, palesando ambiguità e seminando dubbi nello spettatore, assecondato dalla grande qualità dell’interpretazione di Charlotte Rampling, la cui carriera venne rilanciata. Ne deriva un’atmosfera di vera suspence ancorché trattenuta. Il film ottenne un ampio riconoscimento da parte della critica e ottenne anche un sorprendente successo di pubblico (700.000 spettatori nelle sale francesi).

8 donne e un mistero (8 femmes) (2002) è un film atipico. Si svolge in un’unica location e combina melodramma da camera, thriller e musical. È ispirato  a un testo teatrale di Robert Thomas scritto negli anni ’60 e ambientato negli anni ’50.  L’azione si svolge in una villa isolata della campagna francese, dove durante le vacanze natalizie si tiene  la riunione di un clan familiare. Dopo le prime battute si scopre che  Marcel, il capofamiglia è stato assassinato. L’omicidio può essere stato commesso solo da una delle otto donne presenti, tutte  molto vicine al defunto in virtù di specifici legami: Mamy (Danielle Darrieux), la suocera su una sedia a rotelle; la moglie Gaby (Catherine Deneuve), sofisticata e volitiva e sua cognata, sorella del defunto, la libertina Pierette (Fanny Ardant), che la detesta; Augustine (Isabelle Huppert),  la sorella di Gaby, zitella amara, sarcastica e taccagna; Suzon e Catherine (Virginie Ledoyen e Ludivine Sagnier), le figlie di  Marcel e di Gaby che assumono il ruolo di detective; le due domestiche, l’una insolente e l’altra apparentemente leale (Emmanuelle Béart e Firmine Richard). Nei  presenti cresce progressivamente un intenso stato di agitazione, con comportamenti isterici e la manifestazione di rivalità esacerbate e di una mescolanza di rancori, passioni e sospetti.

 

Francois Ozon

"8 Femmes" François Ozon

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Ma  avvengono anche curiosi intermezzi in cui a turno le otto donne  si esibiscono cantando ciascuna una canzone pop francese che in qualche modo funziona per la loro accusa o difesa o prospetta un tema specifico. Sono momenti in cui l’azione si interrompe, ma sono anche il motore  della storia. Nel corso della serata si moltiplicano situazioni comiche o grottesche e vengono rivelati oscuri segreti di famiglia. Ne emerge un sottile gioco di seduzione reciproca e di tradimenti incrociati. Le otto protagoniste fanno emergere  gran parte dell’universo esistenziale, psicologico e comportamentale femminile. Ognuna custodisce un segreto e ognuna è una potenziale  colpevole del misterioso delitto. Ozon articola un gioco affascinante, intelligente e sensuale, dirigendo al meglio le sue splendide attrici. Confeziona un’opera  che combina  derisione e suspence, un’atmosfera da melodramma degli anni ’50 e temi contemporanei, con una messa in scena ardita e vigorosa di grande  impatto cinematografico,  superando la valenza teatrale. Il film ottenne un unanime successo presso la critica e una formidabile adesione da parte del pubblico (3.500.000 spettatori nelle sale francesi).

Francois Ozon

"Swimming pool" François Ozon

 

Swimming pool (2003) è un dramma esistenziale sofisticato e imprevedibile. La sessantenne Sarah Morton (Charlotte Rampling) è una famosa scrittrice di romanzi polizieschi di successo. Stanca dell’ambiente londinese accetta l’offerta di un soggiorno fuori stagione nella casa di campagna del suo editore a Luberon, nel sud della Francia, con l’obiettivo di rilassarsi e di iniziare a concepire un nuovo libro. Dopo qualche giorno di tranquilla solitudine allietata dai piaceri della campagna, una notte viene turbata dall’arrivo  inaspettato e intrusivo di Julie (Ludivine Sagnier), la figlia del padrone di casa. L’adolescente si rivela indolente, incauta, sconsiderata e voluttuosa. Al contrario la donna matura appare fredda, scettica e in preda a una malcelata tristezza.. Nonostante una formale cortesia emerge chiaramente la loro incompatibilità reciproca in termini di mentalità, educazione e stili di vita. La provocatoria mancanza di pudore e le  avventure sessuali notturne della giovane infastidiscono Sarah, ma al tempo stesso la incuriosiscono .La donna inizia a spiarla e, poco a poco, accarezza l’idea di trarre spunto dai comportamenti di Julie per farne materia del suo nuovo romanzo.

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Il punto focale della vicenda è la piscina della villa, il luogo dove si palesano tensioni ed erotismo, esibito dalla giovane e represso da Sarah. L’interazione tra le due donne produce una serie di eventi sempre più contraddittori e apparentemente predittivi di un’eventualità fatale. Ozon  ripropone un universo femminile  in cui  la sessualità,  affiancata dal voyeurismo e dal sospetto, assume aspetti conturbanti e misteriosi. Al tempo stesso il film può anche essere letto come un saggio sulle ombre del processo creativo. L’equilibrio narrativo tra realtà vera e presunta, fantasia e finzione letteraria in fieri, pur controllato, appare parzialmente problematico, ma la suggestione visiva e la qualità interpretativa delle due attrici sono notevoli. Non del tutto convincente è invece il finale a sorpresa, che non risolve comunque alcuni dubbi e ambiguità. Secondo alcuni critici il film può essere considerato una rilettura di La piscine (1969), di Jacques Deray, ma ne sono ben evidenti le differenze. In ogni caso ottenne un  notevole successo di pubblico (680.000 spettatori nelle sale francesi).

CinquePerDue – Frammenti di vita amorosa (5 x 2) (2004) racconta lo sgretolamento della relazione di coppia fra due trentenni. Un processo che avviene con una modalità progressiva e credibile, sostanzialmente tranquilla, segno di rassegnazione, ma anche di presa di posizione. Gilles (Sthéphane Freiss)  e Marion (Valeria Bruni-Tedeschi) si conoscono, si piacciono, si mettono insieme, si sposano, hanno un figlio e divorziano. Peraltro la narrazione procede a ritroso e produce un sottile effetto devastante, generando inquietudine ed emozioni controverse. La struttura del film si articola in cinque  momenti decisivi che raccontano una vita in due. Completata la pratica di divorzio, con assegnazione della custodia del bambino di quattro anni alla madre e diritto di visitarlo al padre, i due protagonisti si recano in un hotel. Nella stanza d’albergo consumano un ultimo rapporto sessuale: una lunga sequenza intensa e brutale, senza alcun segno di affetto e d’amore. Una sera, quando la relazione è già è in forte crisi,  ospitano a cena Christophe (Antoine Chappey), il fratello omosessuale di Gilles, con Mathieu (Marc Ruchmann), il suo giovane partner, e proprio in quel momento emerge un caso di tradimento.

 

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"5 x 2" François Ozon

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Marion vive una gravidanza difficile e il parto di Nicolas, il loro bambino nato prematuro, avviene quando Gilles è assente. Il giorno del loro matrimonio Marion commette adulterio con un ospite sconosciuto dell’hotel  in cui si svolge la festa nuziale. Si incontrano in un resort turistico italiano e iniziano la loro relazione. La  rottura definitiva che è il risultato della crisi della relazione tra i due, e nel film è collocata all’inizio, deriva da uno scollamento tra desideri, pensieri e azioni, ma nessun momento di per sé suggerisce l’inevitabilità della soluzione finale. Ozon descrive con sobrietà, lucidità e precisione la crisi di un legame istituzionalizzato, che si è conservato per istinto di sopravvivenza, ma che è diventato fattore di autodistruzione e generatore di pulsioni mortali. Ne deriva un film aspro, ma sottilmente dettagliato nella rappresentazione dei comportamenti umani.  Un ritratto vagamente malinconico, privo di tinte forti e di un vero climax, ma mai noioso, né opaco. Vi si mescolano cose piacevoli, gioia, ansia, dubbi e solitudine. Il film ottenne un discreto successo di pubblico (510.000 spettatori nelle sale francesi).

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"Le temps qui reste" François Ozon

 

Il tempo che resta (Le temps qui reste) (2005) è un dramma esistenziale che affronta il tema della coscienza della morte imminente, della preparazione all’evento e dell’evocazione della vita precedente. Il film segue un viaggio personale interiore, ma anche effettivo e materiale,. È un’opera meditativa, concisa, visivamente incisiva e in sapiente equilibrio: evita accuratamente il melodramma e i toni prosaici, ma non promana affatto insensibilità o cinismo. Romain (Melvil Poupaud) è un fotografo di moda trentenne omosessuale a cui viene diagnosticato un cancro in stadio molto avanzato, con la prospettiva di pochi mesi di vita residua. Rifiuta di sottoporsi a cure che produrrebbero grave debilitazione ed effetti collaterali e accetta il decorso ineluttabile della malattia. Abbandona la professione, il proprio compagno Sasha (Christian Sengewald) e gli affetti familiari. Ad  tutti loro nasconde la verità e si rinchiude in solitudine nel suo appartamento parigino. L’isolamento affettivo è interrotto soltanto dalla visita all'anziana nonna Laura (Jeanne Moreau), con rievocazione di memorie infantili, e dall'incontro casuale con una coppia sterile che si conclude con la donazione del suo sperma.

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Quindi si congeda dal mondo davanti al mare. In campo lungo tramonta il sole mentre in primissimo piano si spegne un’esistenza. In questo film Ozon opta per  un’esperienza e un orizzonte maschili e propone un meccanismo narrativo a ritroso similare a quello del suo precedente lungometraggio: procede fino all’infanzia del protagonista e privilegia i primi piani. La morte prossima è contemplata con un approccio poetico ed enigmatico, sentimentale e freddo al tempo stesso, ed è rappresentata come un fatto privato. Quindi prevalgono gesti carichi di emotività, perché sono gli ultimi e perché  sono in contrasto con l’egocentrismo e con la sostanziale anaffettività di Romain: la carezza al padre, l'abbandono  tra le braccia della nonna, le foto scattate di nascosto alla sorella

Angel – La vita, il romanzo (Angel) (2007) è un melodramma d’epoca che, in ragione della ricchezza del set, della scenografia e dei costumi fa pensare ai grandi film di Douglas Sirk e di Vicent Minnelli nella Hollywood degli anni ’40 e ’50. Ozon adatta il bestseller omonimo di Elizabeth Taylor, ispirato dalla vicenda esistenziale della scrittrice Marie Corelli. Ambientata in Inghilterra, la  storia inizia nel 1905 e descrive l’esplosiva, ma tragica carriera di Angel Deverell (Romola Garai), giovanissima figlia di una piccola negoziante. La giovane, pur vivendo in uno sperduto villaggio, è animata dall’ambizione letteraria: è una grafomane incallita, ricca di fantasia romantica. Scoperta dall’editore londinese Théo Gilbright (Sam Neill), diventa in breve tempo un’icona della letteratura popolare e, al tempo stesso, una beniamina dell’alta società. Carica di fama e di ricchezze, acquista la principesca villa “Paradise House”, scenario dei suoi sogni infantili, quando vi passava davanti e la spiava dal cancello. Successivamente sposa Esmé (Michael Fassbender), un artista bohèmien, tormentato, semialcolizzato e fedifrago. Nel frattempo scoppia la Prima Guerra Mondiale e l’uomo si arruola.

 

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"Angel" François Ozon

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Consumata da dolori e fantasmi, si spegnerà lentamente, prigioniera del personaggio delirante che si sentiva di dover interpretare. Il film si caratterizza per una dose di raffinata ironia. Ozon dimostra grande maestria nella direzione degli attori e nella rappresentazione di costumi e mentalità dell’epoca. Tuttavia, pur essendo un film molto significativo sul tema della ricerca della felicità  non mancano alcune cadute narrative e si nota un eccesso di toni caricaturali. Il film, girato in inglese, fu stroncato da gran parte della critica e  fu un flop anche al box office.

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"Ricky" François Ozon

 

Ricky – Una storia d’amore e libertà (Ricky)  (2009) racconta una storia curiosa, in cui il realismo scivola in una fiaba surreale e fantastica. Ispirato da una short story della britannica Rose Tremain, è una commedia divertente, e a tratti sorprendente, ma il fatto di sottendere anche un melodramma con implicazioni sociali probabilmente ne depotenzia la caratura. In effetti, nella prima parte del film, in cui si assiste alla formazione di una nuova famiglia, Ozon sembra insistere sul realismo del mondo dei salariati. Katie (Alexandra Lamy),  madre single, vive  nella balie parigina con la figlia Lisa di sette anni ed è impiegata in un laboratorio chimico. Quando  inizia a frequentare Paco (Sergi Lopez), un suo collega spagnolo, tra i due si accende un’intensa passione. L’uomo si trasferisce nel piccolo appartamento della compagna, e si dimostra perfettamente a suo agio perché sollevato da ogni responsabilità di gestione pratica del ménage familiare. Nel frattempo Katie resta incinta e nasce il piccolo Ricky, un bebé sorridente e  tranquillo. Poi un giorno, mentre è affidato al padre, sul dorso del neonato compaiono segni rossi che sembrano lividi.

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La donna comincia a dubitare di Paco e alla fine, dopo litigi e incomprensioni, l’uomo abbandona il loro domicilio. Tuttavia il vero coup de théâtre  si produce quando sulla schiena di Ricky un giorno spuntano due alette  di volatile che in breve tempo si sviluppano notevolmente. Dopo l’iniziale sconcerto, soprattutto quando il bimbo viene trovato sopra un armadio, segue il tentativo di madre e sorella di assecondare i  suoi voletti. La situazione, pur altamente grottesca, appare divertente finché le esibizioni si svolgono nell’appartamento. Ma quando Ricky si libra in volo all’aria aperto il clamore travolge chi vi assiste. La sceneggiatura gioca con i concetti di tolleranza, di perdita e di allontanamento per poi concentrarsi, nella seconda parte del film, su un fatto disturbante. La metafora di Ozon, attraverso la comparsa di una specie di freak alieno, nasconde un tema molto serio: la drammaticità di una crisi di coppia  che deflagra dopo la nascita di un figlio. Pur essendo ardita e misteriosa, funziona perfettamente in termini umoristici, e in parte visionari, ma risulta troppo sterile in termini concettuali  e di caratterizzazione psicologica dei personaggi e non è sufficientemente dark. Il film ricevette critiche controverse e fu un flop al box office.

Il rifugio (Le refuge) (2009) è un dramma con al centro i temi della maternità e della marginalità rispetto alla al contesto sociale. Descrive il percorso violento e doloroso di una ventenne incinta, raccontandolo con sottintesa empatia. La vicenda è emblematica e solo apparentemente paradossale. È il film che conclude la trilogia dedicata alla morte e all’elaborazione del lutto. Mousse (Isabelle Carré) e Louis (Melvil Poupaud) sono due ventenni belli, ricchi e innamorati, ma tossicodipendenti da eroina. Nelle scene iniziali del film si assiste alla loro parossistica routine di sballo continuo, con immagini sconvolgenti per il crudo realismo. Ridottisi a  bivaccare in uno squallido appartamento devastato, un giorno, mentre giacciono l’uno accanto all’altra, sono vittime di una overdose. Alla fine solo  Mousse sopravvive. Poco dopo scopre di essere incinta. Stordita dal dolore e dalla paura, e incapace di affrontare  i familiari e le contingenze della vita,  rifiuta di abortire. Si allontana da Parigi e si rifugia in una residenza estiva appartenente alla famiglia del suo compagno scomparso, una grande casa in una località balneare sulla costa atlantica.

 

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"Le refuge" François Ozon

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Inizia una cura a base di metadone e cerca di non farsi sopraffare dall’angoscia, mostrando un’inusitata vitalità che la porta ad esplorare i dintorni. Non mette in ombra la sua sessualità e si concede persino una fugace relazione sessuale con un uomo sposato. Dopo alcuni mesi in quella casa arriva all’improvviso Paul (Louis-Ronan Choisy), il fratello di Louis, che è omosessuale. I due non si sono mai incontrati in precedenza e non hanno motivi per restare insieme. Non riescono a comunicare compiutamente, ma cercano faticosamente di acquisire una nuova identità individuale e di aprirsi al mondo. Poi, poco a poco, tra loro si stabilisce una strana convivenza. Gestiscono congiuntamente le piccole faccende casalinghe quotidiane, iniziano ad aiutarsi reciprocamente e anche a confidarsi. Finché scatta una certa attrazione anche sessuale nonostante le loro grandi contraddizioni e differenze. Quando sembra che per loro si apra una prospettiva futura comune, Mousse si allontana. Il suo è un atto inatteso, ma determinato: non si sente pronta ad assumersi altra responsabilità se non quella materna e non vuole essere giudicata. Il film presenta una costruzione visiva fredda, essendo girato in HD, e  gioca molto su un realismo  non aggressivo e sulle emozioni trattenute o negate. Ozon ha dichiarato che rappresenta la storia di un  itinerario contraddittorio, raccontato con gentilezza. Ha sottolineato che si tratta di un ritratto quasi documentaristico di una giovane donna incinta: in effetti  Isabelle Carré durante le riprese era al sesto mese di gravidanza. Ha anche affermato di aver voluto mostrare la complessità delle relazioni umane e gli ostacoli che le minano.

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"Potiche" François Ozon

 

Potiche – La bella statuina (Potiche) (2010) è una commedia brillante che mette alla berlina la borghesia della provincia francese e propone una variante originale dell’ottica femminista. Ispirato genericamente all’opera teatrale omonima di Pierre Barillet e di Jean-Pierre Grédy, il film, ambientato in una cittadina nel 1977, offre una scenografia e un’estetica coloratissime e palesemente kitsch, perfettamente consone all’epoca. Suzanne (Catherine Deneuve), attraente cinquantenne squisitamente borghese, è  sposata da un trentennio con Robert Pujol (Fabrice Luchini), amministratore di un’importante fabbrica di ombrelli, ereditata dal suocero. La donna è madre di due  figli ormai adulti e si dedica alla grande villa in cui abita la famiglia. Appare soddisfatta del suo ruolo di moglie mite e remissiva e di efficiente casalinga e si realizza facendo jogging e scrivendo poesie. Il marito è un uomo presuntuoso, viscerale e sostanzialmente arrogante, tirannico, maschilista e classista, insopportabile in  casa, dove non considera  minimante rilevanti  i giudizi della moglie, che considera “una bella statuina” (in effetti Potiche significa vaso decorativo o soprammobile), e impopolare tra i suoi operai.

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Quando la fabbrica viene investita dagli scioperi Robert rifiuta  qualsiasi forma di dialogo e trattativa con i lavoratori. La durezza dello scontro determina il suo sequestro da parte degli operai. Robert viene infine  rilasciato grazie all’intervento  di Maurice Babin ( Gérard Depardieu), deputato comunista ed  ex amante in gioventù di Suzanne, che ne ha chiesto l’intercessione. Nel frattempo l’uomo, molto provato, subisce un infarto e deve lasciare le redini dell’azienda alla moglie. Inizialmente riluttante e un po’ spaesata, Suzanne prende rapidamente coscienza delle proprie potenzialità, scopre gli errori del consorte e persino il suo tradimento, ovvero la relazione adulterina con Nadège Dumoulin (Karin Viard), la segretaria, che comunque non viene cacciata. Aiutata da Babin, ancora infatuato di lei, ricompone la vertenza sindacale e si rivela imprenditrice abile e competente al punto di smentire anche la diffidenza dei figli che chiama a collaborare con lei. Suzanne avvia nuove linee di produzione e registra ottimi risultati, imponendo uno stile proprio. La vicenda si complica, con vari colpi di scena, quando Robert, ristabilitosi, pretende di riprendere il posto di comando in fabbrica, mentre la moglie non intende cederglielo. Ozon realizza un’opera destinata al grande pubblico, rielaborando criticamente i canoni classici e i clichés del genere, ma  non rinuncia a mettere in scena una satira tagliente e intelligente, ripiena di detours anarchici, pulsioni stranianti, istinti che prevalgono sulla ragione, gestualità e magnifici dialoghi con battute fulminanti. Da un lato propone un’atmosfera vitale, ma stilizzata, con echi del cinema di Jacques Demy, dall’altro mostra una tempistica e un ritmo quasi perfetti e utilizza con molto acume il carisma di attori di peso, in particolare la Deneuve, Luchini e Depardieu, disciplinandone l’indole e la verve. Il film fu apprezzato dalla critica e ottenne un ottimo successo di pubblico (2.230.000 spettatori nelle sale francesi).

Nella casa (Dans la maison) (2012) è una commedia drammatica, seducente e sarcastica, che si sviluppa come un thriller con risvolti dark più che inquietanti. Scritta  da Ozon con uno stile incisivo e con dialoghi taglienti, adatta brillantemente “El chico de la última fila”, una pièce teatrale del drammaturgo spagnolo Juan Mayorga. Il cinquantenne Germain (Fabrice Luchini) è professore di letteratura presso il Liceo Flaubert in una cittadina francese. È un docente competente, ma è anche uno scrittore mancato perché carente di talento. Jeanne (Kristin Scott Thomas), sua moglie, gestisce una galleria di arte moderna. All’inizio dell’anno scolastico Germain viene favorevolmente impressionato dalla qualità dell’elaborato del sedicenne Claude (Ernst Umhauer), un bel ragazzo di umili origini, che sembra timido. Il testo, fluido e sottilmente sarcastico, racconta l’amicizia con Rapha (Bastien Ughetto), un compagno di classe che ha suscitato il suo interesse perché appartiene a una famiglia piccolo borghese, apparentemente “perfetta”. Ciò che intriga Germain è la chiosa finale del tema: ‘continua’.

 

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"Dans la maison" François Ozon

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Affascinato dallo spirito di osservazione dello studente, Germain lo stimola a continuare a scrivere. Claude si insinua abilmente in seno alla famiglia del compagno, e diventa un habitué nella bella villetta. Quindi, settimanalmente, consegna a Germain le puntate di un’avvincente cronaca voyeuristica  in cui descrive i dettagli “sorprendenti” di quel contesto. Dagli episodi narrati, e mostrati visivamente allo spettatore, emergono i problemi lavorativi del padre di Rapha (Denis Ménochet), un impiegato entusiasta della Cina e amante del basket, che pratica con il figlio, ma anche l’attrazione di Claude nei confronti di Esther, la madre dell’amico (Emmanuelle Seigner), una donna molto attraente, interessata unicamente alla decorazione di interni. I racconti di quella intimità “normale”, e le imprevedibili svolte del plot, appassionano Germain che sviluppa una stretta relazione con l’allievo che, a sua volta, ne è lusingato. Il professore corregge la prosa dello studente, ma lo consiglia anche su come agire praticamente e ne diventa complice di intrighi, affinché la storia narrata continui. Una vicenda che si articola in un meraviglioso (dis)equilibrio  tra realtà, finzione e manipolazione reciproca tra  il professore e  lo studente, scandita da un ritmo teso e seducente fino al magnifico finale. Ozon ripropone la sua abilità nel far emergere aspetti infausti da situazioni apparentemente ordinarie. All’inizio del film realtà e finzione appaiono ben distinte, ma poi, progressivamente, tutto si mescola e si confonde, in un gioco di apparenze e di macchinazioni divertenti e sinistre, con una perfetta combinazione di suspence e intrattenimento. In realtà Ozon riflette sul processo di immaginazione e di creazione narrativa. Il rapporto fra Germain e Claude evoca la manipolazione dello scrittore nei confronti del lettore o quella (reciproca?) dell’editore verso l’autore o del produttore verso il regista. In effetti il regista ha dichiarato di aver voluto sfruttare una chance per affrontare indirettamente le problematiche del suo lavoro, collocando lo spettatore all’interno del processo artistico. Il film ottenne ottime critiche, la Concha de Oro al miglior film al Festival di San Sebastian e un notevole successo di pubblico (circa 1.200.000 spettatori nelle sale francesi).

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"Jeune et jolie" François Ozon

 

Giovane e bella (Jeune et jolie) (2013) è un dramma che offre il ritratto intimo di una teenager e della sua controversa emancipazione sessuale. Isabelle (Marine Vacth) è una studentessa diciassettenne parigina di famiglia agiata, con genitori professionalmente affermati. È alta e flessuosa, con una bellezza raffinata e sensuale, benché ancora parzialmente  acerba. Una giovane riservata e vagamente algida. Durante le vacanze estive al mare si lascia sedurre da un ragazzo tedesco appena conosciuto e perde la verginità. Tuttavia quel primo rapporto sessuale, accettato con un sentimento misto di noncuranza e necessità, le risulta del tutto insoddisfacente. Tornata nella capitale, dove vive con la madre (Géraldine Pailhas), il patrigno (Frédéric Pierrot) e il fratello minore (Fantin Ravat) che la adora, pubblica un profilo invitante su un sito internet di incontri particolari. In breve ottiene risposte e decide coscientemente di vendere il proprio corpo, diventando una prostituta indipendente con lo pseudonimo di Léa. Continua a frequentare il prestigioso Liceo Henri IV a cui è iscritta e fissa i suoi incontri in una camera d’albergo solo nei pomeriggi e mai durante i week end.

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I suoi clienti sono rispettabili signori anziani disposti a versare da 300 a 500 euro per un’ora d’amore. Isabelle, gentile e professionale, mostra sempre un palese coinvolgimento fisico durante i rapporti, ma mantiene un’espressione enigmatica indefinibile. Poco a poco si abitua a quel rituale segreto e sembra anestetizzata (come Catherine Deneuve in Belle de jour di Luis Buñuel), ma mostra sempre calma e sangue freddo. Nel frattempo in famiglia assume una maschera di costante serenità, senza alcuno spirito di ribellione. Poi un giorno, durante un incontro con uno dei suoi clienti abituali, accade un fatto che potrebbe cambiare inesorabilmente la sua vita. Fino all’incontro inaspettato e cruciale con la moglie di quel suo ultimo cliente (Charlotte Rampling). Il film è suddiviso in quattro capitoli, che scandiscono le stagioni di un anno, da un estate alla successiva primavera, e sono accompagnati da quattro brani di Françoise Hardy che compongono una melodia agro-dolce. Ozon prosegue la sua rappresentazione di complessi ritratti di giovani e propone una sorprendente storia di radicale scoperta della propria sessualità da parte di un’adolescente. Un itinerario scritto con coerenza e raccontato con onestà e volontà di illustrazione, senza complicazioni di introspezione psicologica, né intenti provocatori, né chiavi di lettura sociologiche, né giudizi morali. Ozon riesce a mantenere la distanza e offre una costruzione visiva rigorosa ed emozionante, con magnifiche inquadrature e un uso eccezionale della luce. Valorizza comportamenti e gestualità della sua protagonista, di cui si avverte la progressiva perdita delle illusioni, ma anche gli sguardi degli altri su  di lei. Le motivazioni di Isabelle restano misteriose, forse è solo spinta dal cambiamento del suo corpo e dalla necessità di esplorarlo e conoscerlo meglio, ma certamente è aperta e senza morale. Oltre la sua apparente indifferenza si intuisce un mondo interiore malinconico e doloroso, ma non può essere aiutata né dai genitori né dallo psicoanalista a cui è stata costretta a rivolgersi. E solo nell’ultimissima inquadratura si sorprende a scoprire la propria immagine in uno specchio.  Il film ottenne un  notevole riscontro da parte della critica e un discreto successo di pubblico (710.000 spettatori nelle sale francesi).

Una nuova amica (Une nouvelle amie) (2014), l’ultimo lungometraggio di Ozon, è audace, sottilmente spiritoso e persino tenero. Configura una curiosa mescolanza di melodramma tragico, commedia vaudeville e thriller a sfondo sessuale. Ozon adatta l’omonima short story del 1985 della nota scrittrice inglese Ruth Rendell, ma la rende meno aspra. Offre una nuova variante dei suoi ritratti cinematografici della borghesia  e della sessualità, tuttavia si spinge ben oltre, approdando a effetti sofferti, piacevoli, e vagamente dark. Sintetica carrellata iniziale di immagini: due trentenni borghesi, la timida Claire (Anaïs Demoustier) e l’affascinante e intraprendente Laura (Isild Le Besco), abitano in una cittadina francese e sono migliori amiche fin dall’infanzia. Dopo l’improvvisa malattia e morte di Laura, l’amica si ripromette di occuparsi di Lucie, la figlia di pochi mesi della defunta. Quindi un giorno si reca a far visita a David (Romain Duris), il vedovo di Laura e, inaspettatamente, si trova di fronte un’elegante sconosciuta. Claire è triste e depressa, essendo anche trascurata dal marito.

 

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"Une nouvelle amie" François Ozon

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David non è gay, ma ama talmente le donne al punto da sentirsi da molto tempo più a suo agio in abiti femminili. Adora lingerie, vestiti vistosi, make up, parrucche e ogni genere di glamour. All’inizio la donna è in preda a uno shock e resiste all’idea di avere una nuova “amica”, così particolare, che chiamerà Virginia. Poi, sedotta da quell’eccitante segreto, diventa complice e guida di David nella trasgressione femminile, provando l’ebbrezza di ardite escursioni insieme in pubblico, tra shopping, cinema e intrattenimenti vari. Un ritorno alla vita per entrambi: deprivati affettivamente, acquistano sicurezza accettandosi, in un equilibrio instabile e intercambiabile di potere e femminilità. Finché tutto si mescola in un tourbillon di sentimenti e pulsioni, tra confusione e sensi di colpa. Il film descrive con empatia il processo progressivo che accompagna i due protagonisti: scoperta di affinità e dirompente sovversione della noiosa cappa della normalità e delle convenzioni, comunicazione sentimentale e poi vera attrazione sessuale reciproca. È un affresco, punteggiato da gustose rappresentazioni delle dinamiche di genere, di classe sociale e del consumismo. Procede con un ritmo fluido, tra colpi di scena e continui capovolgimenti di desideri e sentimenti finemente cesellati, con una perfetta combinazione di  humour intelligente e di sottile malinconia. Ozon, che si rivolge dichiaratamente al grande pubblico, realizza un magnifico amalgama, intimo e grandioso, senza mai scadere nella satira grottesca, coadiuvato dalle magnifiche interpretazioni in sintonia di Romain Duris e Anaïs Demoustier. Si richiama al sontuoso cinema di Douglas Sirk e di George Cukor, ma anche alla scrittura tagliente di Christopher Isherwood. E, nel suo fine gioco di dialettica transgender, anche a Pedro Almodovar, ma in forma meno involuta e ben  più autentica.   Il film ha ottenuto  buoni consensi da parte della critica, ma solo un discreto successo di pubblico (570.000 spettatori  nelle sale francesi) rouge

 

 

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FRANCOIS OZON

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Longs métrages

1998 : Sitcom

1999 : Les Amants criminels

2000 : Gouttes d'eau sur pierres brûlantes

2000 : Sous le sable

2001 : Huit femmes

2003 : Swimming Pool

2004 : 5×2

2005 : Le Temps qui reste

2006 : Angel

2009 : Ricky

2010 : Le Refuge

2010 : Potiche

2012 : Dans la maison

2013 : Jeune et Jolie

2014 : Une nouvelle amie

 Court métrages

1988 : Photo de famille

1988 : Les Doigts dans le ventre

1990 : Mes parents un jour d'été

1991 : Une goutte de sang

1991 : Peau contre peau (les risques inutiles)

1991 : Le Trou madame

1991 : Deux plus un

1992 : Thomas reconstitué

1993 : Victor

1994 : Une rose entre nous

1994 : Action vérité

1995 : La Petite Mort

1996 : Une robe d'été

1997 : Scènes de lit

1997 : Regarde la mer

1998 : X2000

2006 : Un lever de rideau

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