Fanni (Johanna Orsini – Rosenberg) è una quarantenne che vive a Vienna. La sua identità sociale è sfuggente: non è ben chiaro se sia una businesswoman di successo o una ricca divorziata o l’erede di una facoltosa famiglia. Sta di fatto che conduce una vita apparentemente agiata tra shopping in costose boutiques, lunghe sedute in esclusivi saloni di bellezza, visite ad amiche dell’alta società e impegno durante le lezioni di takwondo. Dimostra di conoscere perfettamente il bon ton, ma il suo atteggiamento oscilla tra il languore, il disinteresse e il fastidio-rifiuto verso le ordinarie convenzioni. Spende disinvoltamente molto denaro e pare dedicarsi a rischiose speculazioni finanziarie. Finché un giorno riceve la visita di due fiduciari della proprietà dello splendido appartamento in cui abita che le intimano di andarsene in breve, essendo morosa nel pagamento dell’affitto da ben tre anni. Fanni li irride, ma il giorno stesso, al ritorno a casa, scopre che la serratura è stata cambiata. Sfoggiando sempre la stessa espressione ermetica, ma placida e sicura, non mostra di curarsi della perdita dei suoi beni ed effetti personali. Preleva un ingente somma di denaro presso un fondo a cui ha accesso, compra un auto e si dirige in una zona montuosa rurale. Abbandona l’auto e brucia tutte le mazzette di banconote rimaste. Poi inizia a camminare nelle pinete e dorme all’aperto. Esausta, dopo giorni di vagabondaggio, viene soccorsa da una famiglia di allevatori di vacche e maiali. Da quel momento accetta di lavorare nella rustica fattoria. Qui conosce un’altra salariata, assunta prima di lei: Anna (Christina Reichsthaler), una trentenne avvenente ed enigmatica. Poco a poco tra le due donne si sviluppa una relazione di interesse reciproco, simpatia e solidarietà. Un giorno lasciano la fattoria insieme in cerca di nuovi orizzonti di libertà. Daniel Heist, fotografo ed artista, è stato assistente di Ulrich Seidl nella realizzazione della recente trilogia Paradise, che descrive tre ritratti di donne e tre forme di ricerca: dell’amore, della fede e della speranza. In questo suo film di esordio si nota una comunanza di approccio con l’altro regista anch’esso austriaco: inclinazione all’iperrealismo, atmosfere asettiche, ritratto crudo e dissacrante della solitudine individuale, delle miserie esistenziali e delle debolezze di un’umanità in crisi di identità, descrizione di comportamenti irrazionali e anarchici.
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Anche Hoesl osserva, non giudica, né condanna. Per altro il suo sguardo, pur freddo e sarcastico, è meno malinconico e provocatorio, più viscerale e venato di sottile ironia. Alterna scene stravaganti e, diversamente, momenti di smarrimento e di tenerezza. Combina abilmente elementi dis-narrativi e documentaristici e mostra un utilizzo molto personale delle pause, mettendo a fuoco l’inazione dei personaggi. Privilegia le inquadrature fisse e statiche, con volti e corpi che costituiscono intriganti tableax vivants. Il suo stile, al tempo stesso formalistico, rigoroso e seducente, è di notevole impatto visivo 
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