La vicenda si svolge a Dublino, nell’ambiente borghese agiato. Richard Carlson (Jack Reinor) è un diciassettenne prestante, studente brillante e leader della sua squadra di rugby. La sua maturità, disponibilità e simpatia lo rendono popolare nel suo entourage di amici ed è invidiato anche perché seduce facilmente le ragazze più avvenenti. Avendo terminato l’ultimo anno della scuola superiore si sente avviato ad un brillante futuro. Quindi trascorre l’estate divertendosi con i coetanei e coinvolgendo anche i più giovani che, in cambio, gli mostrano lealtà e rispetto. Durante un week end trascorso al mare conosce Lara (Róisín Murphy) e la conquista. La relazione con la giovane sembra destinata a durare, essendosi manifestati affinità e affetto veritieri. Poi una sera, durante una festa, si lascia ottenebrare da una stupida e immotivata gelosia e da una rabbia cieca: compie un gesto avventato, con conseguenze nefaste. È buio e, forse, nessuno si è accorto di lui. Da quel momento non riesce più a gestire le sue relazioni con gli altri perché è angosciato dal rimorso e dall’incapacità di assumere la responsabilità della sua azione. Un misto di vergogna, certezza di una disastrosa caduta, improvvisa disillusione verso sé stesso, volontà di non essere vile, ma anche timore di perdere tutto. È ormai un individuo insicuro, lacerato tra il sentimento di come pensava di essere e la coscienza di quello che si è dimostrato essere. Il film è un adattamento del romanzo “Bad day in Blackrock”, di Kevin Power. Abrahamson offre una rappresentazione lucida e limpida di un microcosmo fortemente caratterizzato da comportamenti e abitudini privilegiati. La solida scrittura di Malcolm Campbell e lo sguardo acuto del regista sono sottilmente malinconici, senza tuttavia scadere mai in una ambigua empatia o nella deriva pedagogica o in inutili psicologismi. La narrazione risulta ricca di sfaccettature e accumula progressivamente motivi e dettagli. Mescola sapiente descrizione ambientale, vertigine drammatica e calma angosciante, grazie ad un abile gioco di inquadrature e di montaggio. Le relazioni tra i personaggi sono complesse, ma non artificiose. Abrahamson utilizza efficacemente alcune convenzioni di genere per costruire un’atmosfera di devastante dilemma morale con echi del cinema di Ingmar Bergman. Valorizza visivamente anche il non detto e le emozioni che non possono esprimersi liberamente a causa delle dinamiche sociali e familiari. Un ulteriore fattore di qualità del film risiede nella recitazione di tutti i giovani attori che appare in eccellente sintonia con il clima della storia.
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