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pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 70. CANNES FILM FESTIVAL I Schede di approfondimento di vari film di tutte le sezioni del Festival I DI GIOVANNI OTTONE I 2017

FESTIVAL DI CANNES 2017

Schede di approfondimento di vari film di tutte le sezioni del Festival

 

 

DI GIOVANNI OTTONE

"Loveless", Andrey Zvyagintsev

Cannes 2017

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SEZIONE COMPÉTITION OFFICIELLE :
NELYBOV (LOVELESS) di Andrey Zvyagintsev (Russia)
JURY PRIZE :
KROTKAYA (A GENTLE CREATURE) di Sergei Loznitsa (Ucraina)

Vite intrappolate da un potere cinico e immutabile

La tragica decadenza dei rapporti umani, tra violenza e umiliazioni, nella Russia di oggi, viene da lontano

Il siberiano Andrey Zvyagintsev e il bielorusso - ucraino Sergei Loznitsa, entrambi cinquantatreenni, condividono, insieme ad altri filmmakers russi che hanno esordito all’inizio del nuovo millennio (in particolare Boris Khlebnikov e Aleksey Balabanov), una propensione a rappresentare lucidamente la decadenza dei rapporti umani nelle Repubbliche nate dalla scomposizione della precedente URSS, dopo il 1989. L’uno, Zvgyagintsev, con un background di formazione teatrale, propone un cinema realista in cui i drammi domestici e familiari si inquadrano nelle contraddizioni tra le classi sociali e ha costruito metafore, via via sempre più forti e graffianti, sugli aspetti universali della vita (The Return, Elena, The Banishment e Leviathan, Premio alla miglior sceneggiatura al Festival di Cannes nel 2014). L’altro, Loznitsa, è un geniale autore di documentari (Blockade, Maïdan, Sobytie – The Event, Austerlitz) con al centro la dialettica tra il popolo, il potere e la storia. I suoi due precedenti lungometraggi narrativi (My Joy e In the Fog) costituiscono impressionanti parabole, con collages di storie della gente comune nelle campagne. Lasciano emergere l’ordinaria violenza e la sopraffazione ricorrente operata dalle gangs criminali e dai corpi dello stato preposti all’ordine pubblico, presenti nella Russia e nell’Ucraina contemporanee. Un cinema il cui filo conduttore è la memoria traumatizzata di un popolo vittima prima del totalitarismo “comunista” e poi dei suoi epigoni attuali. Nei suoi film le ampie digressioni nel secolo scorso fanno emergere che l'oppressione e l’orrore vissuto dai cittadini più deboli era già presente ieri e perdura ancora attualmente.

Nelyubov (Loveless) di Andrey Zvyagintsev, ambientato a Mosca, è un eccellente e amarissimo dramma sulle relazioni personali. Propone la storia privata di una crisi familiare che assume il significato di una meditazione laica e più generale sulla condizione della cosiddetta nuova classe media. Un ritratto impietoso di personaggi emotivamente squallidi, totalmente egocentrici, frustrati, vigliacchi e perennemente ansiosi e insoddisfatti. Il matrimonio di Zhenya e Boris, entrambi appena quarantenni, si è esaurito e la coppia inizia le procedure per il divorzio. Nel frattempo litigano senza tregua manifestando un acerrimo odio reciproco e cercano di vendere l’appartamento di comune proprietà. Entrambi sono impegnati a organizzare una nuova vita. Boris, impiegato in un'impresa commerciale, ha allacciato da tempo una relazione con Masha, una giovane donna ora incinta, ma teme che il suo boss, cristiano tradizionalista, lo cacci se scopre la sua situazione familiare. Zhenya dirige un salone di bellezza e frequenta il quarantasettenne Anton, ricco imprenditore della ristretta élite protetta, affascinante e disposto a sposarla. Nessuno dei due è davvero interessato a prendersi seriamente cura di Alyosha, il figlio dodicenne, testimone sofferente delle loro dispute. Il ragazzino ascolta la madre mentre afferma di volerlo inviare in un collegio per essere più libera. Poi il ragazzo scompare e Zhenya tarda 8 ore per accorgersene. Trascorrono alcuni giorni: la polizia tergiversa e solo un'organizzazione di volontari, dedicata agli adolescenti scomparsi e miracolosamente efficiente, aiuta attivamente nelle ricerche i genitori attoniti che, comunque, continuano a preoccuparsi soprattutto di loro stessi.

Cannes 2017

"Nelyubov (Loveless) " Andrey Zvyagintsev

 

Zvyagintsev, che ha dichiarato di aver scelto un tema di attualità in Russia, la sparizione quotidiana di migliaia di persone, sviluppa una narrazione rigorosa e asettica, priva di sensazionalismo. La sua messa in scena è essenziale, molto curata e contundente per i dettagli su ambienti e personaggi. Rappresenta individui intossicati dal loro egoismo senza volerli giudicare Descrive l'illusione romantica, ipocrita e schizofrenica, dei personaggi che dichiarano il loro “amore” ai nuovi partner, ma in realtà sono del tutto dipendenti da calcoli utilitaristici, incapaci di sentimenti onesti e genuini e destinati a un futuro personale miserabile. E si muovono in una società dove il potere non garantisce i servizi pubblici di protezione e assistenza e dove dilaga la corruzione. Sullo sfondo di questo quadro deprimente di rapporti umani, al di là degli uffici high tech, delle boutiques di lusso e dei ristoranti esclusivi, vi è un paesaggio invernale desolante: casermoni anonimi, boschi deserti, capannoni industriali e scuole abbandonate e in rovina dell'epoca di Breznev.

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Krotkaya (A Gentle Creature) di Sergei Loznitsa, adatta liberamente il racconto “A Gentle Creature” (1876), di Fëdor Dostoevskij, lo stesso che Robert Bresson utilizzò nel 1969 per realizzare Une femme douce. Costruisce una magnifica favola nera, che configura un viaggio agli inferi con suggestioni kafkiane e dantesche. Un affresco affollato di figure sgraziate, dai comportamenti eccessivi e anche minacciosi che si collegano ai personaggi di Gogol. Peraltro il paesaggio ambientale è del tutto realistico, perché il film è stato girato a Daugavpils in Lettonia, dove convivono bielorussi, russi, lettoni, lituani ed ebrei, che è sede di una grande prigione. Una proletaria trentenne senza nome vive in un villaggio povero e isolato. Un giorno riceve indietro una scatola, con vestiario e generi alimentari, che lei stessa aveva inviato tempo prima al marito incarcerato per un'accusa di omicidio che non ha commesso. Essendo estremamente preoccupata decide di visitarlo in carcere. Quindi compie un lungo viaggio e giunge in una remota cittadina siberiana la cui economia è strettamente legata alla presenza di un carcere gigantesco. Si presenta più volte agli uffici della prigione, ma gli addetti al controllo dei pacchi rifiutano sempre di accettarlo dichiarando, con modi bruschi e dispotici, che è contro il regolamento. Rifiutano persino di confermare che suo marito sia ancora detenuto in quella galera o che sia stato trasferito oppure deceduto. La donna si perde in una via crucis estenuante, tragica e surreale. Affronta, con stoica testardaggine, le malversazioni degli agenti carcerari, le violente minacce della polizia che le intima di andarsene e i ricatti di chi vuole approfittarsi di lei. Prima una megera le offre un alloggio, trascinandola in una stanberga dove gozzoviglia una compagnia di alcolizzati, esagitati e volgari, che la sbeffeggiano. Poi un losco intermediario la persegue con velate minacce sessuali, affermando di poter risolvere il problema del pacco, e la porta al cospetto di un mafioso che poi dichiara di non poter fare nulla per lei. Una sarabanda di personaggi disperati e incattiviti: prostitute, lenoni, matti, delinquenti protetti dalla polizia, ricattatori e spie. Ritmi lenti e intermezzi vitalistici e selvaggi, dialoghi desolanti e monologhi ipnotici a cui la protagonista assiste con rassegnata sopportazione. La struttura fiabesca del film propone il ritratto dello spirito e dell’anima del popolo russo, irrimediabilmente assuefatto a un potere immutabile, dittatoriale e corrotto. E tuttora prigioniero e vittima della mitologia comunista ingannevole della patria, della missione e degli eroi (ne sono esempi i busti di Lenin nelle piazze e le citazioni di Stalin come guida infallibile) che serve a giustificare ogni forma di sopruso, di non informazione, di sequestro dei diritti senza motivazioni e di violenza.

Loznitsa, che ha dichiarato che A Gentle Creature costituisce un dittico insieme al suo primo film narrativo My Joy, in effetti coniuga la tetraggine con i toni satirici e assurdi e sviluppa un percorso narrativo ellittico in cui spazio e tempo perdono il loro significato abituale. La sua messa in scena si nutre di una straordinaria composizione delle inquadrature, con cesellati piani fissi e piani sequenza e meravigliose, nonostante eccessi formalistici, scene di teatro da camera. In aggiunta la formidabile fotografia del suo fedele cameraman, il moldavo Oleg Mutu, che usa organicamente il formato scope e costruisce immagini costantemente utili all'informazione narrativa. Purtroppo un film ricco e quasi perfetto riserva una svolta didascalica che rischia di squilibrarlo, quantunque dichiaratamente rivendicata da Loznitsa nella sua interezza: una lunghissima parte finale di circa 25', di valenza onirica, con pesanti allegorie quasi felliniane. Un epilogo in cui tutti i personaggi brutali e volgari incontrati dalla protagonista, riuniti in un luccicante cenacolo e in alta uniforme, la sottopongono a una specie di processo. Poi una concitata sequenza, girata con camera a mano, con le immagini confuse dello stupro di cui è vittima. Fino a una battuta finale ambiguamente risolutiva.

 

Cannes 2017

"A Gentle Creature", Sergei Loznitsa

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L’AMANT DOUBLE, François Ozon (Francia)
Doppia identità, bugie e incubi

Un thriller erotico, teso, cupo e sarcastico, che disseziona l’ambivalenza della sessualità Il fascino dei film di François Ozon risiede nella compresenza di contenuti forti come il desiderio, la morte, l’assassinio, il trauma psicologico e il lutto, ma anche di questioni più comuni della vita ordinaria come il cibo, la famiglia e i bambini. Il suo cinema ruota intorno ad alcuni temi privilegiati e ricorrenti: l’ambiguità, l’ambivalenza e le complicazioni della sessualità negli adulti e negli adolescenti; le relazioni o le non relazioni tra membri reali o immaginari della famiglia e quindi la sovversione delle norme familiari e sociali. L’amant double è un dramma - thriller erotico, sensuale e inquietante, ma anche divertente. Ozon adatta liberamente il romanzo "Lives of the Twins" (1987), di Joyce Carol Oates. Al centro della complessa vicenda vi è una donna, come in molti altri suoi film (Sous le sable, 8 femmes, Swimming pool, Jeune et jolie) che privilegiano personaggi femminili sfaccettati e determinati. Chloé (Marine Vacth, già in Jeune et jolie) è una venticinquenne che fin dall’adolescenza soffre a causa di ricorrenti forti dolori addominali fin dall'adolescenza, fragile, depressa e frigida. Avendo escluso patologie organiche, i medici le consigliano di tentare la psicoterapia comportamentale. Si affida quindi a Paul (Jérémie Renier, già in Les amants criminels e in Potiche, qui in un doppio ruolo), uno psichiatra trentenne affascinante ed enigmatico. Tra i due nasce un sottile gioco di reciprocità e Chloé si innamora del terapeuta che alla fine non nasconde di corrisponderle. Dopo qualche mese vanno a vivere insieme. Tuttavia ben presto la donna sospetta che Paul le nasconda un lato oscuro e sorprendente della sua vita. Ne nasce un confronto ad alta tensione erotica che conduce a un intreccio ansiogeno tra realtà e sogni e a un vortice di provocazioni. L’amant double racconta l’itinerario interiore di Chloé che affronta una escalation controversa nell’affermare i suoi desideri e nel liberare la sessualità di fronte a un amante che appare sdoppiato in due individui opposti. Ozon mostra un’autorialità che si rinnova brillantemente, confermando di essere “l’enfant terrible” del cinema francese contemporaneo. Porta alle estreme conseguenze alcuni suoi topoi: il fascino nei confronti dell'artificio e della teatralità; la relazione dominatore - dominato anche con un rovesciamento di ruoli; il feticismo, le figure fantasmatiche e l'immaginario sado-masochistico; la narrazione a ritroso; la sperimentazione formale con l’irruzione di modificazioni di genere inaspettate, di destabilizzazioni visive e di digressioni emotive o sonore che funzionano anche come fattori di congiunzione. In ogni caso è noto che la presenza di elementi di genere, segnatamente horror, mediata o meno dal fantasy, dal musical e dal melodramma, marca la cesura della convenzione narrativa nei suoi film.

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"Amant Double" François Ozon

 

L'amant double conferma quindi la sua poetica, ma la innova anche radicalmente, con l'incubo del doppio che è in ognuno di noi. Inoltre risulta evidente l’intelligente manipolazione della storia, con spunti provocatori, iperbolici e, in qualche caso, geniali e la satira nei confronti della psicoanalisi, delle frustrazioni e delle perversioni sessuali dei borghesi e della coppia nucleare. Ozon stesso ha ammesso le referenze a Hitchcock, a De Palma e a Dead Ringers (Inseparabili) (1988) di Cronenberg. Possiamo aggiungere le citazioni di Chabrol, di Buñuel, di Polanski, di Verhoven e di Fassbinder e le suggestioni letterarie dal Marchese de Sade e da Georges Bataille. Ma il tutto è mediato da un ritmo narrativo progressivamente incalzante, con eccessi grotteschi e toni sarcastici, che destrutturano il genere. Da segnalare il felice sodalizio con il direttore della fotografia Manu Dacosse che ha prodotto una costruzione visiva studiatissima ed emozionante con le immagini cesellate e sezionate chirurgicamente che Ozon aveva richiesto.

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GEU - HU (THE DAY AFTER) Hong Sang-soo (Sud Corea)
Una nuova commedia drammatica del prolifico Hong Sang-soo, ricca di humour intelligente e di empatia verso i personaggi fragili e moralmente contraddittori. Un dramma da camera bilanciato con cura, giocato sulla parola, con referenze al cinema francese di Rohmer e di Lelouch, ma saldamente ancorato a contingenze specificamente coreane, e sui temi, ricorrenti nel cinema di Hong Sang-soo, della verità e delle aspettative deluse. Il cinquantenne Bongwan, critico di successo e proprietario di una piccola casa editrice, è un donnaiolo impenitente, da sempre sospettato da sua moglie. Un giorno la ventenne Areum inizia a lavorare nel suo ufficio, come sostituta della sua amante che ha interrotto la loro relazione essendo stanca della codarda indecisione dell'uomo. Bongwan intrattiene la nuova venuta flirtando con lei. Ma sua moglie, giunta all'improvviso, dopo aver trovato la prova scritta dell'infedeltà del coniuge, identifica invece Areum come l'amante del coniuge.

Hong Sang-soo continua a offrirci uno sguardo ironico ed amaro, ma comprensivo, sull’irrazionalità dei sentimenti nella Corea di oggi. Ripropone ancora una volta la sua nota dialettica amorosa basata su storie semplici, che si reggono su giochi di incomprensioni, piccole bugie e candide aspettative, condite da spunti tragicomici deliziosi, dialoghi brillanti e situazioni teatrali. L’architettura narrativa di The Day after propone fatti apparentemente casuali generati da strani incidenti in cui pare che la realtà si vendichi di fronte alle omissioni e alle menzogne ipocrite dei protagonisti. E presenta un ritmo fluido pur essendo disposta rigorosamente. Ne risulta un film forse meno efficace, articolato e sardonico rispetto ad altri precedenti e del tutto riusciti di Hong Sang-soo (Woman on the beach, Oki’s movie, Hahaha, The day he arrives e Our Sunhi), ma indubbiamente migliore di Yourself and Yours (2016), un’opera intrigante, ma confusa e pretenziosa, che si avvita su sé stesso, in un gioco noioso e troppo virtuosistico, tra realismo ed enigma.

 

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"The day after", Hong Sang-soo

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OKJA, Bong Joon-ho, (Sud Corea)
Un fantasy "drammatico" incalzante, tra suggestioni di scontro tra Davide e Golia e farsa divertente, ma non graffiante e piuttosto semplicistica. Il cattivo è una multinazionale dell'alimentazione, con sede a New York e guidata dalla narcisista, perfida e demagogica Lucy Mirando (Tilda Swinton eccellente in un doppio ruolo). Nel 2007 la Mirando, con grande lancio pubblicitario, affida 28 giganteschi super-maiali ad allevatori tradizionali di altrettanti Paesi. In Corea il simpatico maialone Okja è l'inseparabile amico, della piccola e combattiva Mija, orfana cresciuta dal nonno che è responsabile del suino. Nel 2017 la stessa Mirando preleva l'animale con la scusa di un megaconcorso a New York.

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"Okja", Bong Joon-ho

 

Ma un gruppo folkloristico di terroristi animalisti si inserisce per rivelare l'allevamento segreto di maiali transgenici, con agghiaccianti esperimenti, e i loschi piani di mercato della multinazionale che specula sul bisogno alimentare. E la dodicenne Mija, arrivata negli USA, ingaggia una lotta disperata per salvare dal macello il suo Okja e per riportarlo in Corea. Bong Joon-ho ha realizzato notevoli film di genere, intensi thriller melodrammatici (Memories of Murder e Mother) e riusciti blockbusters (il catastrofico monster movie, di caratura splatter, The Host e l'ispirato e ambizioso post-apocalittico Snowpiercer). In Okja la lotta contro un nemico potentissimo, subdolo e spietato, ma ridicolo, è il motivo per un carosello di scene d'azione non indimenticabili, con massiccio uso della computer graphic I personaggi stereotipati ricordano vagamente i film di Wes Anderson, ma le vere emozioni sono assenti. Il film, essendo prodotto da Netflix, non sarà distribuito nelle sale cinematografiche europee.

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SEZIONE HORS COMPÉTITION ET SÉANCES SPECIALES

MUGEN NO J?NIN (BLADE OF THE IMMORTAL), Takashi Miike (Giappone)
Una saga rutilante e malinconica che sovverte il dramma epico classico di samurai, pur conservandone, con grande eleganza, tratti estetici e ambientazione. Un racconto leggendario di immortalità subita, codici di onore infranti, vendetta e amore crepuscolare.

Nell'epoca dello Shogunato, Manji, un samurai trentenne di alto rango, convertito in giustiziere, è maledetto con un sortilegio per cui le sue ferite mortali si reintegrano sempre: deve uccidere 1000 uomini per ritrovare la sua anima. 50 anni dopo, essendo rimasto fisicamente lo stesso, incontra Rin, una giovane che cerca la vendetta contro una setta, guidata dal sadico e impietoso Anotsu, che ha sterminato la sua famiglia e tutti i componenti della scuola di samurai che suo padre gestiva. Manji le promette di aiutarla. Takashi Miike, al suo film n° 100, realizza un altro jidaigeki riuscito e ritmato, struggente e sarcastico. La sua attualizzazione di un’epoca fondamentale della storia giapponese costituisce una rappresentazione atipica e amara della sofferenza umana. Orchestra innumerevoli e spettacolari duelli con tutti i tipi di lame, con sangue e mutilazioni. Da segnalare anche la meravigliosa fotografia di Nabuyasu Kita, collaboratore di Miike anche nel precedente Ichimei (2011), altro magnifico jidaigeki, il prezioso e creativo set decoration di Hiroshi Kiwanami e l’ottima colonna sonora di Kôji Endô.

 

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"Balade of Immortal", Takashi Miike

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"Ak - Nyeo" Jung Byung-gil

 

AK - NYEO (THE VILLAINESS), Jung Byung-gil ( Sud Corea)
Un thriller poliziesco che configura una tragica saga. Una giovane killer addestrata in Cina fin dall'infanzia all'efficiente spietatezza e tornata in Corea per vendicare l'assassinio del padre, boss della malavita, trova una dolorosa traiettoria di riscatto. Nel corso del vigoroso e roboante incipit del film Sook-hee compie un gigantesco massacro in un covo di trafficanti di droga. Arrestata dalla polizia, viene reclutata da Madame Kwon dei servizi segreti, ottenendo di evitare il carcere se per un periodo di dieci anni accetta di diventare un killer al servizio dello stato in operazioni coperte. Si troverà di fronte due uomini, Jung Sang, il primo ad addestrarla, divenuto ora un nemico, e Hyun Soo, un poliziotto che la controlla. Jung Byung-gil realizza un action movie pieno di energia, con forti momenti melodrammatici, sulle tracce di Nikita (1990) di Luc Besson
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BULHANDANG (THE MERCILESS), Byun Sung-hyun (Sud Corea)
Un convincente gangster movie intrecciato con un prison film mediante un armonioso gioco di piani temporali. Una lotta senza sosta per la supremazia, con strategie, tradimenti ed episodi di spietata violenza. Il quarantenne Han Jae-ho è il numero due di una potente gang criminale di trafficanti di droga in affari con le mafie russe. Mentre sconta una pena in carcere incontra Jo Hyun-su, un giovane detenuto, coraggioso e astuto, che conquista la sua fiducia salvandogli la vita. Ma in realtà quet'ultimo è un infiltrato di Cheon, una determinata ispettrice della polizia. Poi Han scopre che il suo boss vuole eliminarlo. Byun Sung-hyun fonde action elegante e melodramma tutto al maschile, sulle tracce dei film di Scorsese, Tarantino, Andrew Lau e Johnnie To.

 

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"Bulhandang", Byun Sung-hyun

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"They" Anahita Ghazvinizadeh

 

THEY, Anahita Ghazvinizadeh (USA)
They, esordio dell'iraniana Anahita Ghazvinizadeh, radicata negli USA, offre un ritratto familiare non privo di interesse, ma piuttosto irrisolto e poco incisivo. J., un quattordicenne transgender, timido e gentile, si fa chiamare "They" e da due anni sta sottoponendosi a una cura ormonale per ritardare la pubertà. Ora è venuto il momento di decidere l'eventuale iter per il cambio di sesso. La sua famiglia della classe media vive in una bella palazzina in un sobborgo residenziale di Chicago. Mentre i genitori sono in Europa, arrivano Lauren, la sorella di J., ventenne e artista, e il fidanzato Araz, un giovane iraniano. I due stanno preparando le loro nozze. Un giorno, in occasione di un pranzo, la casa accoglie i tanti parenti borghesi di Araz, emigrati in USA. Lunghe discussioni e confronti tra culture, tolleranza e piccoli screzi. Ma i personaggi sono appena abbozzati, i riferimenti al regime di Teheran sono fugacissimi e le vere problematiche di J. restano sconosciute.

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SEZIONE UN CERTAIN REGARD

LERD (AMAN OF INTEGRITY), Mohammad Rasoulof (Iran), Best Film Prize - Un Certain Regard

Un capolavoro drammatico, lucido e amarissimo. Il racconto, senza retorica, di una lacerante verità: la fatica di vivere sottomessi all'oppressione violenta e ottusa e alla corruzione del regime teocratico iraniano al potere da quasi un quarantennio. Il trentenne Reza, già espulso dall'Università a Teheran in gioventù a causa delle sue battaglie democratiche, si è installato, con la moglie Hadis e il figlioletto, in una cittadina del nord. Ma il suo allevamento di pesci è boicottato da Hassan, capataz di una onnipotente compagnia locale legata ai religiosi che vuole la sua terra. Tra minacce, arresti, multe e violenze che provocano la moria dei pesci e l'incendio della sua casa, la gang delinquenziale vuole distruggere Reza, perché non accetta di pagare le tangenti. Tuttavia l'uomo lotta con astuzia. Rasoulouf è autore di magnifici drammi realistici, pessimisti ed emozionanti: Goodbye (2011) e Manuscripts don't burn (2013). Con A Man of Integrity continua un percorso di qualità e di denuncia della insopportabile dittatura e della diffusa ipocrisia, nonostante i processi e le proibizioni degli ayatollah che vogliono spegnere la sua voce limpidamente umanista.

 

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"Lerd", Mohammad Rasoulof

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"Walking past the futur", Li Ruijun

 

LU GUO WEI LAI (WALKING PAST THE FUTURE), Li Ruijun (Cina)
Un melodramma ben confezionato, ma senza acuti, che offre il ritratto del deprimente contesto sociale e dei nuovi valori nella Cina di oggi. L'altra faccia del miracolo economico nelle grandi città del sud, dove gli sforzi per acquisire il benessere si pagano a caro prezzo. Due operai quasi sessantenni, emigrati da anni nella metropoli Shenzen, vengono entrambi licenziati e tornano nell'originaria provincia di Gansu, nel nord, con la figlia minore sedicenne. Yaoting, la figlia maggiore ventenne, rimasta a Shenzen, oltre al lavoro in una fabbrica di elettronica, ne svolge altri per poter comprare un appartamento e far tornare i genitori. Ma, avendo già subito un trapianto di fegato anni prima, si ammala di nuovo. Li Ruijun, il cui cinema da sempre racconta i soprusi subiti dai contadini poveri nel nord della Cina (The Old Donkey, Fly with the Crane e River Road), si concentra per la prima volta sui figli che vivono in città, tra amore per i genitori e fragili sogni spezzati dalla dura realtà economica. Da segnalare alcune magnifiche scene notturne nello street food market di Shenzen, con armoniosi e seducenti piani sequenza, che ricordano alcuni film di Hou Hsiao-hsien, e l’eccellente fotografia di Weihua Wang.

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SANPO SURU SHINRYAKUSHA (BEFORE WE VANISH), Kiyoshi Kurosawa (Giappone)
Un thriller surreale e apocalittico, grottesco e a tratti struggente, che nasconde la metafora della società attuale vittima di ansia permanente e di condizionamenti. A Tokyo, in un quartiere al limite di una base americana, vi è una coppia in crisi. Shinji scompare improvvisamente e quando torna dalla moglie Narumi è cambiato. Le chiede di guidarlo per apprendere di nuovo a comportarsi nella vita. Quindi le rivela di essere un extraterrestre che si è impossessato del corpo di Shinji rubandogli la nozione di sé.

Ma non è solo: altri due extraterrestri con sembianze umane sottraggono alle persone i concetti basilari personali e sociali, perché preparano l'invasione degli alieni. Poi il nuovo Shinji apprende cosa significano l'amore e l'altruismo. Kiyoshi Kurosawa è un autore ben noto per la sua cultura underground e per i suoi film in cui l’identità dei personaggi è controversa sia per i loro dilemmi esistenziali e morali sia per le vicende apocalittiche e/o enigmatiche in cui sono coinvolti. In Before we wanish adatta l’omonima pièce teatrale di successo di Tomohiro Maekawa, proponendo una parodia della fantascienza degli anni '50 che si sposa con il suo cinema popolato da presenze fantasmatiche e segnato dalla distorsione della realtà. Ripropone alcune delle sue ossessioni, in particolare la fusione contraddittoria tra mondo reale e universo ultraterreno. Appare meno pessimista, ma anche meno emozionante rispetto ad alcuni suoi film precedenti, ad esempio il magnifico Kishibe no tabi (Journey to the Shore) (2015). La messa in scena, come sempre nei suoi film, è molto curata, con elaborati movimenti di macchina sempre funzionali alla narrazione: dalle affascinanti panoramiche dall’alto ai sapienti piani sequenza, agli arditi close up

 

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"Before we vanish", Kiyoshi Kurosawa

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"Directions", Stephan Komandarev

 

POSOKI (DIRECTIONS), Stephan Komandarev (Bulgaria)
Un ritratto senza speranza della gente di Sofia in un Paese dominato dalla corruzione, dove sembra che le leggi proteggano solo le spietate élites del potere e della finanza. Un collages di storie e di drammatici incontri notturni tra antichi persecutori e vittime, ma anche adulteri, prostitute e professionisti pronti ad emigrare. L'espediente è quello di far interagire cinque taxisti e i loro passeggeri, con il sottofondo delle voci degli ascoltatori di una radio che commentano lo scandalo del giorno. Un fatto che costituisce la sconvolgente apertura del film: il proprietario di una piccola azienda, ricattato da un banchiere che gli chiede una tangente e minaccia di distruggere lui e la sua famiglia, lo uccide e poi tenta il suicidio finendo in coma. Un approccio forte e uno stile realista, sulle tracce dei romeni Cristian Mungiu e Cristi Puiu, che purtroppo scadono progressivamente in toni pietistici e moralistici.

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SEZIONE QUINZAINE DES RÉALISATEURS

L’AMANT D’UN JOUR (LOVER FOR A DAY), Philippe Garrel ( Francia)
SACD Award ex-aequo Philippe Garrel elabora da 50 anni un cinema di interiorità poetica, scandagliando affetti (im)possibili, disagi, solitudini, passioni frustrate ed emozioni rivelate. L’amore fra l’uomo e la donna, tormentato, insicuro e aleatorio, è il tema ricorrente e ossessivo dei suoi film, da cui emerge da sempre l’idolatria del femminino. L'amant d'un jour ripropone insieme due tra i suoi temi usuali: la passione amorosa incostante e il rapporto tra un padre e la sua prole. La fragile Jeanne (Esther Garrel) è una ventitreenne reduce dal doloroso e improvviso fallimento della sua storia con Matteo (Paul Toucang). Trova ospitalità nell'alloggio di suo padre Gilles (Eric Caravaca), un docente universitario di filosofia, cinquantenne e bohémien. Ma ecco la sorpresa: il genitore da alcuni mesi è legato ad Ariane (Louise Chevillotte), una sua studentessa, forse innamorata, ma piuttosto indipendente e spesso disponibile nei confronti di nuove conoscenze. Inizia una convivenza a tre e tra le due donne, che sono coetanee, i rapporti sono controversi, tra empatia, solidarietà e rivalità, mentre tra Gilles e l'amante compaiono i soliti tradimenti e i vani tentativi di occultarli.

Un gioco naïf e “bonario” che, dopo dispute e sofferenze, si risolve in due eventi contrapposti: una separazione e una riconciliazione.Il film costituisce il capitolo conclusivo di una trilogia che comprende La jalousie (2013) e L’ombre des femmes (2015): film esteticamente simili, brevi (tutti inferiori a 80 minuti) e realizzati ognuno in soli 21 giorni. Il tema ricorrente nelle tre storie è la passione amorosa in precario equilibrio tra desiderio e incapacità / impossibilità di gestire e di comprendere i sentimenti e le rispettive pulsioni ed esigenze individuali, con compresenza anche di gelosia e infedeltà. Garrel presenta nuovamente un triangolo sentimentale, dopo il precedente L’ombre des femmes (2015), ritratto di coppia intenso e malinconico, tra amore e sentimenti contrastanti. Tuttavia L’amant d’un jour propone, con leggerezza e sottile ironia, anche la disanima del rapporto irrisolto di Jeanne con suo padre. La scrittura distillata ed efficace e la scelta estetica, tipica per Garrel, di un magnifico bianco e nero trasmettono nel modo più vero le variazioni incessanti della vita affettiva.

 

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"Amant d'un jour", Philippe Garrel

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"West of the Jordan River", Amos Gitai

 

WEST OF THE JORDAN RIVER, AMOS GITAI (Israele)
Un onesto e lucido excursus dei tentativi di porre fine al sanguinoso secolare conflitto tra israeliani e palestinesi. Una disanima della ricerca della pace tra due momenti: il 1994, con un intervista a Rabin, il premier che voleva l'accordo, assassinato da un fanatico ebreo e il 2016, quando nella West Bank si è vicini al punto di non ritorno, con un rischio fatale per la democrazia e l'essenza stessa dello stato di Israele. Amos Gitai torna in Cisgiordania 35 anni dopo il suo documentario Fiel Diary (1982). Incontra politici israeliani del governo di destra e dell'opposizione, giornalisti, esponenti di organizzazioni non governative come Breaking the Silence, ex soldati che testimoniano le violazioni dei diritti umani e civili dei palestinesi, Ta'ayush, B'Tslem e il Forum delle famiglie delle vittime della violenza, dove solidarizzano madri israeliani e palestinesi a cui il conflitto ha ucciso i figli, ma anche coloni ebrei ortodossi. Non giudica, ma cerca una luce di realistica speranza e un ponte tra atavici nemici e ci fa capire quanto oggi manchi un erede politico di Yitzhak Rabin, a cui aveva dedicato il suo bellissimo documentario Rabin, the Last Day (2015).

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FROST, Sharuna Bartas (Lituania)
Un road movie fatalista ai confini orientali dell'Europa, durante un rigido inverno nevoso in cui anche i sentimenti sono congelati in un clima di disorientamento e di incerta comunicazione. Rokas e Inga sono una coppia di ventenni di Vilnius, ingaggiati da un'organizzazione umanitaria lituana. Intraprendono un viaggio a bordo di un van per portare scarpe e vestiti alla popolazione vittima della guerra in Donbass, un sanguinoso conflitto tra esercito dell'Ucrania e separatisti russi iniziato nell’aprile 2014. Forse si amano, ma non sono davvero legati. Giunti in prima linea, vagano alla deriva. Sharuna Bartas descrive amaramente un mondo dove i problemi cruciali restano irrisolti. Ripropone il suo cinema di percezione che indaga introspettivamente sulla coppia e conferma il suo talento documentarista, ma il film è tanto pretenzioso quanto largamente criptico e, a tratti, del tutto inverosimile.

 

Cannes 2017

"Frost", Sharuna Bartas

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Cannes 2017

"La defensa del Dragon" Natalia Santa

 

LA DEFENSA DEL DRAGON, Natalia Santa (Colombia)
Una commedia urbana minimalista, tra ossessioni, disagi, fatalismo e incapacità a fronteggiare i propri fallimenti. Il vecchio centro di Bogotà, con i caffè tradizionali, i clubs e le case da gioco, mete abituali di tre amici, ormai anziani. Samuel, ancora cinquantenne e divorziato, sopravvive dando lezioni private di matematica e giocando a scacchi per soldi. Joaquin, orgoglioso orologiaio di vecchio stampo, oberato di debiti, sta per perdere il negozietto ereditato dal padre. Marcos, omeopata, è un giocatore incallito di poker e consuma droghe. Purtroppo l’opera prima della colombiana Natalia Santa non ha sufficiente spessore drammatico e il suo bozzettismo costumbrista non emoziona mai.

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MARLINA SI PAMBUNUH DALAM EMPAT BABAK (MARLINA, THE MURDERERIN FOUR ACTS), Mouly Surya (Indonesia)
Una saga rurale in 4 capitoli che è anche un road movie, con tinte western e vagamente horror. Marlina, vedova giovane e attraente, vive nell'arida isola di Sumba, in una casupola isolata, insieme al corpo imbalsamato del marito defunto. Un giorno alcuni banditi invadono la sua dimora e rubano i maiali e la vacca. Poi tornano e cercano di violentarla. La donna riesce a sgozzarli con una spada mentre dormono dopo essersi ubriacati. Quindi inizia un viaggio per ottenere giustizia dalla polizia, ma un fantasma la insegue. L’indonesiana Mouly Surya mostra creatività e sovverte i canoni dei generi, mescolando cultura tradizionale e motivi pop sulle tracce di Tarantino.  

 

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"Marlina the Murdererin four acts", Mouly Surya

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LA SEZIONE SEMAINE DE LA CRITIQUE

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"Los Perros", Marcela Said

 

LOS PERROS, Marcela Said (Cile)
Il fosco ritratto dell'alta borghesia cilena che ha sostenuto Pinochet e che oggi, salda negli affari e nei privilegi, è impunita e rinnega senza imbarazzo gli sgherri che l'hanno servita dopo il golpe. Mariana (Antonia Zegers) ha 42 anni ed è figlia unica di Francisco (Alejandro Sieveking), un potente proprietario terriero, che la tratta con totale accondiscendenza, e moglie insoddisfatta di Pedro (Rafael Spregelburd), un indaffarato avvocato argentino sottomesso per convenienza allo suocero. È una donna vulnerabile, ma curiosa e insofferente dell'ipocrisia. Attratta dal sessantenne Juan ((Alfredo Castro), il suo professore di equitazione, continua a frequentarlo, sfidando genitore e coniuge, anche quando scopre che è un ex colonnello dell’esercito processato con l'accusa di partecipazione ai crimini della dittatura. Juan, un uomo ambiguamente fiero dei suoi valori, oggettivamente autoritario e isolato, finisce per accettare le attenzioni di Mariana, ma è reticente sul suo passato.

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La loro relazione impossibile è marcata dalla frustrazione. Alla fine Mariana scopre che suo padre vuole evitare Juan, ma che durante la dittatura lo ha frequentato attivamente e che ha collaborato con gli arresti e l’eliminazione degli oppositori. Marcela Said ha concentrato il suo interesse nella rappresentazione delle contraddizioni della democrazia cilena attuale, indagando storie e microcosmi, con il notevole documentario El mocito (2011) e con la sua opera prima di finzione, parzialmente incerta e irrisolta, El verano de los peces volatore (2013). La sua convincente opera seconda, pur imperfetta e spesso troppo imitativa dei film dell’argentina Lucrecia Martel, continua con coerenza un interessante percorso di rappresentazione di un'élite sociale ipocrita e subdolamente priva di scrupoli che in Cile è intoccabile.

TEHERAN TABOO, Ali Soozandeh (Iran)
Un eccellente esordio che offre il ritratto senza veli della tragica schizofrenia della vita quotidiana in Iran. Gli abitanti di Teheran sono obbligati a nascondere comportamenti e azioni e ad accettare atroci ricatti per sopravvivere ai rigidi divieti del regime teocratico rispetto alla sessualità e alla libertà personale, pena il carcere o la continua persecuzione. L’iraniano Ali Soozandeh, che vive in Germania e quindi può mostrare verità che sarebbero certamente censurate dal regime se il film fosse stato prodotto in Iran, ha potuto proporre un film d'animazione amarissimo e sconvolgente. Ha utilizzato la suggestiva tecnica rotoscopica, prima filmando attori veri e poi convertendoli in volti disegnati inseriti nel paesaggio animato. Racconta le vicende intrecciate di tre donne e di un giovane musicista. Prostituzione, adulterio e uso di droghe esistono a tutti i livelli nonostante le leggi religiose, grazie alla diffusa doppia morale, alle menzogne e al pagamento di tangenti ad ayatollah corrotti che sono magistrati e a ricattatori vari. Con esiti drammatici e tragici per la vita delle donne.

 

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"Teheran Taboo", Ali Soozandeh

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"Gabriel e Montanha", Fellipe Barbosa

 

GABRIEL E A MONTANHA, Fellipe Barbosa
Révélation France 4 Award
Fondation Gan Award
Un viaggio di formazione intorno al mondo prima di entrare in una prestigiosa Università a Los Angeles, tra entusiasmo naif, idealismo contraddittorio e arroganza. La ricostruzione degli ultimi due mesi della vita di Gabriel Buchmann, un ventenne della classe media di Rio de Janeiro, morto da solo, per esaurimento fisico, su una montagna del Malawi nel 2009. Gabriel viaggia, sempre di corsa, per due mesi, attraverso Kenia, Tanzania, Zanzibar e Zambia, illudendosi di non essere un turista perché vive nelle casupole di amici africani che incontra in strada e si veste come i Masai. Ma, nel periodo in cui lo raggiunge la fidanzata, si paga un safari fotografico. Il brasiliano Fellipe Barbosa rievoca sinceramente il suo amico, tra finzione e interviste agli africani che lo hanno incrociato, ma propone troppi clichés poco verosimili e sposa acriticamente la confusa ideologia dei borghesi “progressisti” brasiliani.

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OH LUCY!, Atsuko Hirayanagi (Giappone)
Un esordio che è un piccolo capolavoro. Una commedia drammatica, scritta benissimo, che propone un indimenticabile itinerario femminile di rottura con il conformismo e di ricerca di un'estrema chance di amore. Setsuko (l'eccellente Shinobu Terajima, attrice del teatro kabuki), single ben oltre i 40 anni e classica impiegata in un ufficio di Tokyo, conosce John (Josh Hartnett), insegnante di un bizzarro corso di inglese, che la ribattezza Lucy, e se ne innamora. Ma, all'improvviso, l'uomo torna in California insieme a Mika (Shiori Kutsuna), la giovane nipote di Setsuko. La protagonista li raggiunge, ma trova amare sorprese, che affronta senza ipocrisia. Atsuko Hiraynagi costruisce un delizioso confronto tra due culture all'opposto, la riservatezza versus l'esternazione, con perfetta scansione dei registri comici e “tragici” rouge

 

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"Oh Lucy!", Atsuko Hirayanagi

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70. CANNES FILM FESTIVAL 2017

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17 - 28 / 05 / 2017

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