interference
interference
eng
de
es
it
it
tr
 
px px px
I
I
I
I
I
I
 

px

impressum
contact
archive
facebook

 

px

 

pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 7. FESTIVAL NUOVO CINEMA FRANCESE RENDEZ-VOUS I DI GIOVANNI OTTONE I 2017

7. FESTIVAL NUOVO CINEMA FRANCESE RENDEZ-VOUS

a Roma le anteprime del 2017

 

 

DI GIOVANNI OTTONE

"Avenir", Mia Hansen-Love

Avenir Mia Hansen-Love

px
px

L'Institut Français Italia, che raggruppa i servizi culturali dell’Ambasciata di Francia in Italia, in collaborazione con Unifrance Films, ha organizzato in aprile la settima edizione del Festival Rendez Vous - Nuovo Cinema Francese, un’eccellente selezione di film di registi francesi, della stagione 2016 - 2017, con un programma itinerante di proiezioni aperte al pubblico a Roma, Bologna, Firenze Torino, Milano, Napoli e Palermo in sale cinematografiche del normale circuito commerciale e in auditoria di Musei e Istituti culturali. Si tratta di una vetrina che comprende 35 tra lungometraggi di finzione e documentari  e chepresenta un’ampia varietà di proposte e di generi e che si caratterizza per la presenza di molti autori giovani e di opere caratterizzate da forme narrative e soluzioni estetiche innovative. Tra l’altro molti dei film presentati sono anteprime, essendo in uscita nelle sale italiane nei prossimi mesi: ad esempio La mécanique de l’ombre, di Thomas Kruithof, in programmazione dal 6 aprile con il titolo  La meccanica delle ombre, Personal Shopper, distribuito dal 13 aprile, L’avenir, in programmazione dal 20 aprile con il titolo Le cose che verranno, Chez nous, distribuito dal 27 aprile e Sage femme, distribuito dall’11 maggio con il titolo Quello che so di lei.

Il programma più ampio, come numero di film e qualità degli omaggi, è quello che è stato presentato a Roma, dal 5 al 9 aprile, con proiezioni a: Cinema Fiamma; Accademia di Francia - Villa Medici; Institut Français - Centre Saint Louis. Ha compreso 23 tra lungometraggi di finzione e documentari e ha visto la presenza dei registi dei film esibiti nella maggior parte delle séances. Nel suo ambito si segnalano anche quattro Focus dedicati a eminenti personalità che si sono affermate definitivamente nell’ultimo decennio nel cinema di lingua francese e che hanno assicurato la loro presenza anche attraverso animati incontri con ognuno di loro: la regista Mia Hansen-Løve, già attrice di Olivier Assayas e critico dei Cahiers de Cinéma, che, dopo il suo esordio nel 2007 con Tout est pardonné ha realizzato finora  altri 4 lungometraggi;  l’attrice Clotilde Courau, che ha esordito con Jacques Doillon nel 1990 e ha lavorato con molti noti registi francesi; l’attore trentenne Louis Garrel, figlio del noto regista Philippe Garrel, di cui è uno degli interpreti più fedeli, ma anche presente in film di Bernardo Bertolucci e di Christophe Honoré ed esordiente alla regia nel 2015 con il lungometraggio Les Deux amis; l’attrice Diane Kruger di nazionalità tedesca, ma radicata in Francia dalla metà degli anni ’90, che ha lavorato con registi importanti quali ad esempio Luc Besson, Benoît Jacquot, Guillaume Canet, Bille August, Wolfgang Petersen e Quentin Tarantino. Analizziamo criticamente quindi alcuni dei film presentati a Roma.

Nuovo cinema francese Rendez-vous

"Sage femme" Martin Provost

 

Il film di apertura del Festival, Sage femme,  di Martin Provost, era stato presentato in anteprima mondiale alla Berlinale dello scorso febbraio. È un’opera che propone un doppio ritratto femminile, giocato sulla contrapposizione dei corpi e dei caratteri. Una commedia drammatica intrigante e molto riuscita, in cui quotidianità ed eccezionalità si fondono per accompagnare il destino dei personaggi. Racconta la storia del nuovo incontro tra due donne forti  il cui legame risiede nella memoria di un passato interrotto. Claire (Catherine Frot) è un’ostetrica quasi cinquantenne che lavora con coscienza e totale e antica dedizione in un piccolo ospedale pubblico nella banlieu parigina. Una donna  del tutto autosufficiente e responsabile, che ha cresciuto da sola il figlio ventenne Simon (Quentin Dolmaire) che  studia Medicina. Un giorno riceve una telefonata inattesa, e non proprio gradita, da Béatrice, (Catherine Deneuve), la donna che nei lontani anni ’70 fu l’amante di suo padre, campione di nuoto scomparso prematuramente.

trailer Trailer

La stessa  che Claire, allora adolescente, aveva mal sopportato e che si era eclissata abbandonando suo padre. Nonostante tutto accetta di incontrarla, ma la diffidenza sembra prevalere. Béatrice, nonostante l’età, conserva un grande fascino e una sfrontata vitalità. È una bohémienne di lusso senza pentimenti, che ha frequentato il bel modo di Biarritz e di Montecarlo sotto le mentite spoglie di una contessa di origine polacca e che mantiene tutte le fisime e i difetti dei grandi borghesi, pur vivendo alla giornata. Non cerca compassione, ma solidarietà, essendo malata di un tumore al cervello. Claire esita, ma poi ne intuisce la malcelata fragilità, e il suo spirito umanitario prevale. Si occupa di quella donna frivola, stravagante, egocentrica, spesso inopportuna e insopportabile. Organizza per lei visite ed esami e  la convince a sottoporsi al delicato intervento neurochirurgico che la può salvare. Béatrice conduce una vita impossibile, sottoponendosi al piacere e allo stress delle bische clandestine del vecchio quartiere di Barbès dove trascorre i pomeriggi a giocare a carte insieme a personaggi equivoci, tra alcol e sigarette, debiti e colpi di fortuna. Claire accetta persino di ospitarla nel suo modesto alloggetto e di introdurla nel suo piccolo mondo in cui si è affacciato Paul (Olivier Gourmet), un camionista gentile che, dopo tanti anni, è riuscito a darle una nuova opportunità sentimentale. Poco a poco tra le due donne si stabilisce una comunicazione ai limiti della complicità.  Martin Provost conferma la sua squisita capacità di descrivere la psicologia femminile, come già nei suoi film precedenti: Le ventre de Juliette (2003), Séraphine (2008), Où va la nuit (2011) e Violette (2013). Costruisce  un intreccio convincente, che alterna irresistibili spunti ironici e genuina scansione drammatica. La mescolanza di toni, priva di forzature retoriche, la perfetta definizione dei personaggi e direzione degli attori e la dinamica fluidità narrativa, intrisa di sottile malinconia, ricordano la capacità di raccontare “le cose della vita” del suo connazionale Claude Sautet, grande regista attivo dagli anni ’60 agli anni ’90. Le due magnifiche interpreti manifestano un’intesa straordinaria, ma senza dubbio è Catherine Deneuve quella che sostiene il film, dimostrando ancora un a volta un carisma e una leggerezza eccezionali, in un ruolo molto rischioso.

L’ombre des femmes (2015), l’opera più recente di Philippe Garrel, già presentata al Festival di Cannes, è stato uno dei tre film  che hanno composto Focus dedicato all’attrice Clotilde Courau Si tratta di un eccellente film sull’amore e sul tradimento. Offre il ritratto intenso e malinconico, ma anche costellato di spunti finemente ironici, di una coppia di “intellettuali” precari quarantenni, poveri artisti del cinema indipendente, delle loro contraddizioni esistenziali e dei sentimenti contrastanti che li legano. Pierre (Stanislas Merhar), un documentarista poco affermato, vive con la moglie e collaboratrice Manon (Clotilde Courau, commovente nella sua sincerità sconcertante). La donna lo ama molto e  racconta alla madre di provare piena soddisfazione nel lavorare con il suo uomo. Quindi non pare sentirsi sminuita nel giocare un ruolo secondario, avendo rinunciato a una propria carriera. I due girano film con pochi mezzi, vivono tranquillamente una routine bohémienne e si arrangiano con piccoli lavoretti. In realtà il loro sodalizio sentimentale risulta meno stabile di quel che appare, tra gelosia, egoismi, indecisioni e dispute che avvengono nel loro appartamento piccolo e trascurato.

 

Nuovo cinema francese Rendez-vous

"L’ombre des femmes" Philippe Garrel

Trailer

trailer

Poi Pierre incontra Elisabeth (Lena Paugam), una trentenne che lavora come stagista nell’archivio pellicole di una cineteca, e  la donna diventa la sua amante pur sapendo che è sposato. Ma Pierre non vuole lasciare Manon per Elisabeth, preferendo mantenere entrambi i rapporti, anche se dopo un’iniziale euforia, si sente intrappolato in entrambi. Un giorno Elisabeth scopre che anche Manon intrattiene una relazione con un altro uomo e lo rivela a Pierre, il quale prova disprezzo nei confronti della moglie. Quindi strapazza Manon accusandola di infedeltà, ma non ammette la propria. Tuttavia Garrel evita assolutamente la deriva tragica. La relazione triangolare tra Pierre, Manon ed Elisabeth, dominata da un’apatia rassegnata, rimane un gioco morbido e crudele, ossessivo, ma quasi noioso. Per amare, come per vivere, si deve essenzialmente resistere e sopravvivere, accettando anche di essere insinceri e “inventati”. E così Pierre e Manon mentono reciprocamente, si amano, ma sono pronti a tradirsi a vicenda, soffrendo. L’ombre des femmes rappresenta una nuova rivisitazione del tema dell’amore e del disamore e senza dubbio fa riferimento alla stessa esistenza di Garrel, filmmaker povero negli anni ‘70.  Propone una squisita rappresentazione, schietta e solo apparentemente lineare, delle correnti drammatiche del desiderio, della gelosia e del risentimento. Configura una  dinamica tenera, ma anche vagamente cinica, di affetto e di sofferenza, tra marito, moglie e maîtresse. Il regista sembra concentrarsi sulla sgradevole figura maschile e sul suo ego deludente, narcisista e vacuo, ma il suo sguardo si sposta dall’uomo per evidenziare appunto “l’ombre des femmes” svelata sullo sfondo rispetto all’universo maschilista. Ne risulta una storia intima di psicologia dei sentimenti, girata come un thriller dell’anima, anche perché l’amore fisico è volutamente quasi occultato. Ancora una volta, come in tutta la sua filmografia, l’emozione è al cuore del dispositivo cinematografico di Garrel. L’estetica e la scrittura servono solo a trascrivere nel modo più esatto sullo schermo, e a trasmettere nel modo più vero allo spettatore, la precisione delle impressioni originali, l’acutezza dei sentimenti e le variazioni incessanti dei fremiti della vita affettiva. La sceneggiatura, a cura dello stesso Garrel, insieme a Caroline Deruas-Garrel, Arlette Langmann e Jean-Claude Carrière, pur scritta con molta precisione, si sviluppa con una leggerezza e una semplicità narrativa che non nascondono la ricchezza dei personaggi. Inoltre lascia emergere una  riflessione amara, ma disincantata, sulla morale liberata da ogni forma di conformismo e anche da quella dell’anticonformismo, ma palesa anche una sincera vena autoironica. È un film low budget, con una messa in scena concisa e spoglia che si concentra sui tre protagonisti, con ben poco attorno. Infatti le vie e i luoghi di Parigi appaiono quasi sempre deserti. La scelta del bianco e nero, vibrante, crudo e modulato al tempo stesso, è coerente con la tradizione del regista e molto efficace. Inoltre è da segnalare la bellissima fotografia curata da Renato Berta.

Nuovo cinema francese Rendez-vous

"La mécanique de l’ombre", Thomas Kruithof

 

"La mécanique de l’ombre", opera prima di Thomas Kruithof, è una  thriller claustrofobico a sfondo politico che costruisce con cura la suspence, ma, purtroppo, mostra limiti di credibilità narrativa e drammatica. Propone una variante della tematica dell’uomo qualunque che si trova suo malgrado intrappolato in un’oscura macchinazione, già magistralmente al centro di molti romanzi di John Le Carré e  di alcuni capolavori di Alfred Hitchcock. Il protagonista Duval (François Cluzet), vive a Parigi. È un sessantenne ancora giovanile, metodico e ponderato,  apolitico e riguardoso,  attento a non mettersi mai in evidenza. Il classico impiegato preciso e dedicato al lavoro, nonostante il vizio dell’alcolismo. Sono trascorsi due anni da quando è stato licenziato dopo essere stato vittima di un esaurimento nervoso e frequenta stabilmente un gruppo di alcolisti anonimi, ma ha bisogno di soldi e di ristabilire una sua identità. Dopo mesi di infruttuosa ricerca di un nuovo lavoro, una sera riceve una misteriosa telefonata e viene convocato per un colloquio li giorno successivo, sabato, ad un indirizzo del centro direzionale de La Défense. 

trailer Trailer

In un grande ufficio deserto e spoglio si trova di fronte Clément (Denis Podalydès), un cinquantenne gelido, mellifluo e sottilmente intimidatorio, che palesa un’aria da burocrate, afferma di essere il titolare di un’agenzia privata addetta a controlli di sicurezza e dimostra di sapere tutto su di lui. Gli viene offerto un  impiego ben retribuito ancorché insolito, ma definito vitale per la sicurezza nazionale, con la condizione di un rispetto assoluto delle istruzioni e di regole di segretezza. Ogni giorno puntualmente, alle 9, Duval entra in un appartamento vuoto in un tranquillo caseggiato borghese. Si siede all’unica scrivania e trascrive fedelmente a macchina il contenuto di alcune audiocassette registrate dopo averle sbobinate una ad una. Impila diligentemente i fogli dattiloscritti, durante una breve pausa mangia il suo panino e non esce mai dall’appartamento. Poi, alle 18, lascia l’appartamento. Clément  comunica con lui lasciandogli brevi messaggi dattiloscritti sulla scrivania e le buste con il salario settimanale. Ascoltando i nastri, Duval si rende conto che si tratta di  intercettazioni telefoniche di conversazioni di politici, funzionari governativi e agenti dei servizi segreti francesi e anche di un faccendiere libico che afferma di avere contatti con i terroristi che  tengono in ostaggio tre tecnici francesi in un Paese dell’Africa centrale. Sullo sfondo vi sono le imminenti elezioni presidenziali francesi e il candidato della destra Philippe Chalamont che propone un aggressivo programma identitario e nazionalista, avendo necessità di enfatizzare il pericolo dei nemici esterni. Peraltro il protagonista si adatta a questa strana routine e non si pone troppe domande sul suo ruolo marginale in quello che appare un affaire di spionaggio illegale. Nel frattempo ha conosciuto Sara (Alba Rohrwacher), una trentenne alcolista che gli è stata affidata nell’ambito del gruppo che frequenta. Una donna fragile e restia a smettere di bere, che svolge l’attività di infermiera volontaria in un ospedale. Finché un giorno Duval ascolta una conversazione bruscamente interrotta dal rumore di una colluttazione e la stessa sera apprende  da un notiziario televisivo che l’uomo d’affari libico è stato ucciso e che i suoi diari segreti sono ora custoditi da un avvocato. Il  mattino seguente, mentre sta lavorando, riceve la visita inaspettata di Gerfaut (Simon Abkarian), un cinquantenne che si presenta come emissario di Clément e che controlla  i dattiloscritti. Duval chiede di essere messo in contatto con Clément perché vuole dimettersi e Gerfaut lo sconsiglia, pur assicurando il suo interessamento. Ma poi una sera costringe con la forza lo stesso Duval ad accompagnarlo in un incursione notturna illegale nello studio dell’avvocato del faccendiere assassinato. Un’azione fallimentare che non solo non porta al ritrovamento di alcun documento, ma che si conclude con l’omicidio di un addetto alle pulizie che li aveva sorpresi, perpetrato dal losco Gerfaut. Quindi Duval viene “scortato” al cospetto di Clément che gli mostra Gerfaut legato e torturato, facendogli capire che quest’ultimo ha agito a sua insaputa per ricattarlo con documenti compromettenti e poi gli impone di continuare il lavoro. Ma ben presto il protagonista, sempre più interdetto e turbato, viene arrestato dagli uomini del Maggiore Labarthe (Sami Boujila), un ufficiale dei servizi segreti che, dopo avergli mostrato il video dell’incursione notturna e dell’omicidio nello studio dell’avvocato, lo costringe a collaborare facendo il doppio gioco, con la promessa di proteggerlo. Poi la situazione precipita: Duval si accorge della pericolosità di Clément  quando scopre che intercetta persino il cellulare di Labarthe e quando apprende che, nel frattempo, ha preso in ostaggio Sara per minacciarlo. L’uomo capisce che non esiste alcuna certezza in un gioco perverso e a lui incomprensibile in cui nemici e alleati si fronteggiano, ma possono scambiarsi repentinamente i ruoli. Si rende conto di trovarsi in una situazione di gravissimo pericolo  e  di dover giocare il tutto per tutto. Il noir spionistico di Thomas Kruithof ha indubbiamente il merito di proporre un plot molto attuale. Da un lato propone un punto di partenza realistico e ben riconoscibile: il percorso di Duval, la sua difficoltà a ricollocarsi e a risalire la china in ragione dell’età e del fallimento precedente che è diventato senso di colpa. Dall’altro si riferisce a una realtà contemporanea ben nota: il groviglio di cospirazioni esistenti nei momenti cruciali della vita politica in molti Paesi del mondo. Traiettorie e giochi  di manipolazione cinici e contorti, con sviluppi controproducenti, inaspettati e misteriosi, rivelati solo parzialmente dopo anni da quando sono accaduti. E lo squilibrio ben delineato tra l’uomo qualunque e l’apparato dei servizi segreti o dei corpi separati, deviati o clandestini, è un’efficace metafora  dell’attuale distanza tra la vita reale e la vita delle alte sfere  della cosiddetta classe dirigente.  Il regista costruisce un’escalation parzialmente verosimile di paranoia e di pericolo letale, non priva di momenti avvincenti, con un buon controllo dei meccanismi narrativi, un ritmo  variegato e adeguato alle situazioni e un montaggio brillante. Tra l’altro si notano i sapienti riferimenti a film significativi: ad esempio The Conversation (1974), di Francis Ford Coppola e The life of Others (2006) di Florian Henckel von Donnersmarck. Sfrutta pienamente il talento interpretativo e la fisicità di François Cluzet, molto credibile, tra riservatezza, straniamento, stanchezza e asservimento fatalistico, fino a quando rappresenta l’individuo medio che è cosciente dei suoi limiti e che, trovandosi invischiato suo malgrado in un intreccio kafkiano di poteri oscuri e implacabili, è guidato da un istinto di non compromissione. Tuttavia il film presenta due elementi di debolezza cruciali. Il personaggio superfluo di Sara, interpretato da Alba Rohrwacher con la consueta  retorica sentimentale e pochezza comunicativa, risulta essere un mero e inutile espediente per accentuare la poco plausibile metamorfosi di Duval che, messo alle strette, si trasforma in uomo d’azione più astuto e spavaldo che disperato. In secondo luogo il felice clima del film, minimalista e claustrofobico al tempo stesso, si indebolisce progressivamente per approdare a un epilogo affrettato, pasticciato e inverosimile.

L’avenir, quinto lungometraggio della francese  Mia Hansen-Løve, già presentato alla Berlinale del 2016, è un magnifico dramma esistenziale. La protagonista è Nathalie (Isabelle Huppert, molto empatica verso il personaggio), un’insegnante di filosofia cinquantenne in un liceo parigino, molto energica e giovanile. Un’intellettuale progressista, ma non fanatica. Scrive e pubblica i suoi scritti per una piccola casa editrice. Ama il suo lavoro e la sua materia. Con il marito sessantenne Heinz (André Marcon), anch’egli insegnante di filosofia in un altro prestigioso liceo, e con il figlio e la figlia, ormai indipendenti, conduce una tranquilla esistenza. Ma una serie di eventi inaspettati modifica repentinamente il contesto esistenziale di Nathalie. Il marito la lascia improvvisamente per andare a convivere con un’altra donna con cui ha iniziato una relazione e  la donna è obbligata a reinventarsi una vita. È la storia di una caduta e di una resurrezione come in tutti i precedenti film di Mia Hansen-Løve. Un film compulsivo, senza pause, con ellissi a volte anche di lunghi periodi.

 

Nuovo cinema francese Rendez-vous

"L'Avenir", Mia Hansen-Løve

Trailer

trailer

La fluttuazione della vita, che  comporta però che ogni china possa essere risalita. Tuttavia a una serenità ritrovata sembra ci si arrivi non tanto con  la filosofia, il ragionamento logico o l’autoanalisi, ma con la riscoperta dei piaceri genuini, delle piccole cose e degli affetti dei figli e  per il nipotino di pochi mesi.

Nuovo cinema francese Rendez-vous

"Personal Shopper" Olivier Assayas

 

Personal Shopper,  di Olivier Assayas, Premio alla miglior regia ex aequo all’ultimo Festival di Cannes è un contorto thriller parapsicologico. Il regista punta a coniugare una riflessione mal riuscita sull’identità e sull’apparire, nel mondo dello spettacolo e dell’alta moda, con motivi di cinema di genere rappresentati in forma grossolana e grottesca e con una banalissima “sorpresa” finale. Il film si sviluppa sulle tracce del suo precedente Sils Maria (2014), pure deludente e irrisolto, ma almeno non privo di qualità drammatica, giocata sul confronto tra due donne nei ruoli di “serva” e “padrona”, in ambito artistico e in epoca contemporanea. Personal Shopper racconta la vicenda  della trentenne Maureen (Kristen Stewart), alle dipendenze, come addetta alla scelta e all’acquisto  di vestiti e gioielli, di una miliardaria, capricciosa ed eccentrica, attiva nel mondo della moda e dello spettacolo e filantropa, che non si vede mai  perché sempre presa da eventi in giro per il mondo.

trailer Trailer

La giovane, che è convinta di poter  percepire messaggi extrasensoriali, si divide tra Parigi e una grande casa in campagna disabitata, in attesa di essere venduta, dove suo fratello gemello è morto in seguito ai postumi della disfunzione cardiaca congenita di cui lei stessa è portatrice, e dove lei avverte oscure presenze. Vittima di minacciosi e beffardi fantasmi e di uno sconosciuto mittente che dimostra di conoscere ogni sua mossa, e che intrattiene con lei  una viziosa e pericolosa connessione continua basata su un  ossessivo scambio di SMS, Maureen vive un cortocircuito emotivo, tra crisi di identità e pulsioni divergenti, speranze e timori, ossessioni e visioni. Olivier Assayas è indubbiamente un autore tra i più interessanti a livello internazionale per la dimostrata, nel passato, profondità dello sguardo, sensibilità  poetica nella messa in scena e capacità di analisi psicologica e generazionale. Citiamo solo il suo straordinario esordio Désordre (1986), poi L’eau froide (1994) e il recente Après mai (2012), emozionante affresco della generazione di giovani francesi che vive il complicato periodo storico e politico del post ’68, ovvero dei primi anni ’70, un film di rara qualità per la limpidezza narrativa, per la creatività e l’intelligenza della messa in scena e per le scelte estetiche molto efficaci. In ogni caso Assayas finora si  era sempre collocato ben lontano sia dal cinema sperimentale e fortemente autoreferenziale, sia soprattutto dall’autocompiacimento pieno di citazioni cinematografiche e dal velleitarismo pseudo poetico e politically correct, mediato da spunti di psicoanalisi freudiana rimasticata. Al contrario, purtroppo con Personal Shopper costruisce un film molto deludente e pretenzioso. Cerca di ottenere intensità e pathos con una messa in scena molto studiata, ma il film, evidentemente costruito su misura per l’attrice protagonista, l’americana Kristen Stewart, che pure si impegna, finisce per avvitarsi su sé stesso, tra simbologie criptiche e parallelismi sottotraccia e una commistione ardita e imperfetta di linguaggi artistici. Ci si perde tra intellettualismo criptico e suggestioni soprannaturali, che appaiono ben discordanti rispetto alla  filmografia di Assayas.

Chez nous, decimo lungometraggio del belga vallone Lucas Belvaux, è un’opera di pressante attualità. Si tratta del film  che, senza sottintesi e mediazioni, propone una disanima schietta del contesto in cui è drammaticamente cresciuta la popolarità del Front National, il partito identitario, nazionalista, populista e razzista dell’estrema destra francese, guidato da Marine Le Pen, candidata con  chances di successo alle elezioni per  la Presidenza della Repubblica del prossimo fine aprile -  inizio maggio. La scelta di Belvaux è quella di raccontare un fenomeno politico di grande rilevanza con lo scopo, evidentemente di parte, di farne emergere la vera natura e le contraddizioni, attraverso  un dispositivo narrativo che  punta sulla verosimiglianza, essendo ambientato in un piccolo comune tra Lens e Lille, nel dipartimento Pas-de-Calais, nella regione nordorientale Hauts-de-France, un’area dove il Front National raggiunge percentuali di voto elevate. Una zona economicamente in crisi dopo la chiusura di molte fabbriche, con un tasso di disoccupazione pari al 30% - 40% della forza lavoro attiva.

 

Nuovo cinema francese Rendez-vous

"Chez nous", Lucas Belvaux

Trailer

trailer

La protagonista è Pauline (Émilie Dequenne), una trentenne che vive sola con i suoi due bambini e che si dedica con passione e impegno al lavoro di infermiera domiciliare. È una figura limpida, sempre disponibile e gradevole, che gode la fiducia di molte persone nel territorio. Oltre a correre qua e là tutto il giorno per assistere i suoi pazienti, si occupa di Jacques (Patrick Descamps), suo padre sessantenne, ex operaio metallurgico in pensione, già attivista sindacale e comunista, debilitato da vari malanni. La donna ricorda sempre che l’anziano e agiato  Dr. Philippe Berthier (André Dussolier) ha assicurato cure assidue e sostegno umano a sua madre deceduta di cancro quando lei era ancora adolescente. Quindi quando il  medico inaspettatamente le propone di candidarsi alla carica di sindaco in una lista sostenuta dal “Bloc Patriotique” (un movimento populista di destra  con le stesse caratteristiche del vero Front National) resta sconcertata e all’inizio rifiuta. Tuttavia Pauline, nata negli anni ’80, è refrattaria alle ideologie, appartenendo a una generazione che ha  perso il concetto di destra e sinistra e si è convinta che i partiti, più o meno, alla fine sono la stessa cosa. Nonostante l’indignazione di suo padre, e  le dicerie sul passato estremista fascistoide di Berthier, cede alle lusinghe del medico che le ripete il ritornello "tu sai di cosa ha veramente bisogno il popolo e rappresenti un’alternativa ai corrotti professionisti della politica  potendo fare le cose che servono alla gente" e alla fine accetta pensando di poter essere utile alla propria comunità. Le viene  presentata anche la carismatica  presidente nazionale del partito, nonché candidata forte della lista municipale, la cinquantenne Agnès Dorgelle (Catherine Jacob, abbastanza somigliante alla vera Marine Le Pen), che la impressiona con la sua retorica sul patriottismo tradito e a favore dei ceti disagiati e dei “veri francesi” e che la rassicura sul fatto che il Bloc si occupa pienamente della campagna elettorale e del programma politico. Nel frattempo Pauline ha  incontrato nuovamente un suo amore giovanile, Stéphane, detto Stanko (Guillaume Gouix), e ha riallacciato una relazione con lui. La voglia di benessere e di essere amata le fanno ignorare i tatuaggi  con simboli fascisti sul torace di Stéphane che nasconde un passato di terrorista di destra e che continua tuttora a effettuare spedizioni clandestine notturne a capo di un manipolo di delinquenti estremisti per picchiare gli immigrati extracomunitari. Un uomo che si sente tradito da Berthier, antico mentore e complice, e che non capisce che il cambio di strategia degli ex fascisti non prevede spazio per uno come lui. Ma  nel corso delle settimane successive, mentre la campagna elettorale si infiamma, Pauline capirà che è stata manipolata da Berthier e da Dorgelle, che l’hanno usata come simbolo ideale per veicolare il loro messaggio revanchista, e alla fine scoprirà anche la verità su Stéphane. Chez nous, ottimo titolo che riecheggia uno degli slogan sottilmente razzista più utilizzati  dal Front National, propone una parabola politica frontale, diretta, efficace e ben riconoscibile, limitando o manipolando felicemente certi stereotipi antropologici. Belvaux  inventa una protagonista che manifesta una notevole complessità emotiva e descrive con accuratezza il contesto ambientale e sociale. Offre un’ articolata rappresentazione dei metodi di propaganda politica, delle strategie per conquistare il consenso,  e anche del backstage, ovvero delle logiche brutali e  dell’ideologia dittatoriale, del Bloc. E si nota l’assenza della sinistra per sottolineare l’incapacità di contrapporsi per chi dovrebbe essere avversario politico del Front National. Certamente il regista è lontano dagli accenti politicamente corretti e dalle sterili derive didascaliche molto presenti nei film di Ken Loach che spesso accumulano figurine di un teatrino manicheo e parabole esemplari che diventano manipolazione artificiosa che stritola la narrazione, lasciando prevalere l’arida logica del goffo messaggio politico di indignazione. Tuttavia il suo dramma è troppo calcolato, abbastanza prevedibile e costruito strumentalmente. In fondo è piuttosto grossolano anche in ragione di una scrittura troppo sintetica e semplificata, quasi che Belvaux. per evitare i vizi dell’intellettualismo e del moralismo, abbia scelto un registro “di pancia” in cui si stemperano intuizioni e sfumature caratteriali dei personaggi rouge


 

 

 

px

px

7. FESTIVAL NUOVO CINEMA FRANCESE

info

5 - 9 / 04 / 2017

Rendez vous Nuovo Cinema Francese

Rendez vous Nuovo Cinema Francese

Rendez vous Nuovo Cinema Francese

Rendez vous Nuovo Cinema Francese

Rendez vous Nuovo Cinema Francese

Rendez vous Nuovo Cinema Francese

Rendez vous Nuovo Cinema Francese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

link
Nuovo cinema francese
px
Home Festival Reviews Film Reviews Festival Pearls Short Reviews Interviews Portraits Essays Archives Impressum Contact
    Film Directors Festival Pearls Short Directors           Newsletter
    Film Original Titles Festival Pearl Short Film Original Titles           FaceBook
    Film English Titles Festival Pearl Short Film English Titles           Blog
                   
                   
Interference - 18, rue Budé - 75004 Paris - France - Tel : +33 (0) 1 40 46 92 25 - +33 (0) 6 84 40 84 38 -