interference
interference
eng
de
es
it
it
tr
 
px px px
I
I
I
I
I
I
 

px

impressum
contact
archive
facebook

 

px

 

pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 15. KOREA FILM FEST 2017 I A FIRENZE PARK CHAN-WOOK E L'OSPITE D'ONORE I DI GIOVANNI OTTONE I 2017

15. KOREA FILM FEST 2017
a Firenze Park Chan-wook è l’ospite d’onore

Prima retrospettiva integrale in Italia e masterclass di Park Chan-wook, autore di grande talento visionario e innovatore del cinema coreano contemporaneo

“The Wailing” di Na Hong-jin, premiato come miglior film della sezione Orizzonti Coreani

DI GIOVANNI OTTONE

"The Wailing", Na Hong-jin

Korea film festival

px
px

Il Korea Film Fest di Firenze, diretto da Riccardo Gelli della Taeguki - Toscana Korea Association, si svolge annualmente a Firenze dal 2003 ed è l’unico Festival cinematografico italiano dedicato esclusivamente al cinema della Repubblica di Corea (Corea del Sud). Si tratta di una vetrina che presenta un’ampia varietà di proposte. Da una parte è strutturato con sezioni ormai consuete  che presentano alcuni dei film più significativi realizzati nella stagione cinematografica dell’ultimo anno:Orizzonti Coreani”, dedicata registi e autori noti, con film che hanno avuto grande successo al box office coreano e / o premiati nei Festival di tutto il mondo; “Independent Korea”, che ospita lavori di giovani registi esterni alla grande distribuzione, spesso al loro esordio; la “K -Horror”, consueto appuntamento per gli amanti del genere; “Corto, Corti”, spazio dedicato ai cortometraggi. Dall’altra propone programmi dedicati a temi o generi specifici: nel corso degli ultimi anni ha presentato interessantissime retrospettive sulla commedia, sul cinema fantastico, sul cinema di guerra, ecc., con film realizzati  dagli anni ’90 ad oggi. Inoltre, quale pezzo forte di qualità, presenta ogni anno una retrospettiva dedicata a un regista - autore o un a interprete contemporaneo coreano tra i più noti. Ricordiamo i protagonisti degli omaggi degli ultimi anni: Im Sang-soo, Choi Min-sik, Ahn Sung-ki e Ryoo Seung-wan.

L’edizione di quest’anno, la quindicesima, si è svolta dal 23 al 31 marzo, presso il Cinema La Compagnia, la storica sala fiorentina del cinema e dei Festival,  progetto della Regione Toscana. Il programma ha compreso 43 film tra corti e lungometraggi.  La sezione tematica di quest’anno, intitolata “K - Woman”, ha riguardato la donna nel cinema coreano e ha compreso 5 lungometraggi. Manshin: Ten Thousand Spirits, di Park Chan-Kyong, propone l’interessante ricostruzione, fra documentario e finzione, dell’itinerario esistenziale di Kim Keum-hwa, nata nel 1931 in Corea del Nord. Una mitica figura  di donna che ha esercitato la professione di sciamano con grande spiritualità e  che ha conosciuto fasi cruciali della storia del Paese, dalla Guerra di Corea,  tra il 1950 e il 1953, fino al New Community Mouvement degli anni ’70. Misbeavior, di Kim Tae Yong, è un intenso, e poco prevedibile, melodramma passionale, con risvolti sociali.  Al centro della vicenda vi sono due donne, una più matura e l’altra più giovane, entrambe insegnanti in una scuola superiore maschile,  che si contendono le attenzioni di un affascinante studente che è anche un promettente ballerino di danza classica. Il documentario Mrs B. a North Korean Woman, di Jero Yun ricostruisce, con la vera protagonista che recita sé stessa, la vicenda di una donna nordcoreana, oggi  quarantenne. Circa 10 anni fa ha lasciato il marito e  i figli ed è immigrata illegalmente in Cina per conseguire un lavoro ben retribuito, ma è stata venduta dai  trafficanti di esseri umani a una famiglia di contadini nel sud della Cina e forzata a sposare il loro unico figlio. La protagonista è riuscita a creare un legame forte con la nuova famiglia e negli anni si è dedicata al traffico di droga e alla “mediazione” per consentire ad altre donne nordcoreane di emigrare. Anni di lavoro per aiutare il primo marito e i figli a fuggire a Seoul. Un film su una “eroina” contraddittoria, frutto  di una ricerca durata anni, in cui si ripercorrono gli itinerari dei fuggitivi  nordcoreani, tra Cina, Laos, Hong Kong e Corea del Sud. Jug-yeo-ju neun yeo-ja (The Bacchus Lady), di E J-yong, è un dramma esistenziale, malinconico e crepuscolare, ricco di dolente umanità, ambientato a Seoul. La protagonista So-young (Youn Yuh-jung, davvero eccellente) è una prostituta sessantacinquenne che mantiene una cerchia di anziani affezionati clienti conosciuti nei parchi e nei ritrovi per la terza età. È una donna sola, indurita dalla vita, ma non priva di sensibilità, che cerca fermamente di mantenersi per evitare  l’indigenza. È conosciuta perché procura ai suoi “amici” la bevanda di Bacco, un energizzante molto popolare a base di taurina, primo approccio per il sesso mercificato. Il film propone un’accurata disanima dei sentimenti e della psicologia dei personaggi e a tempo stesso offre un genuino spaccato sociale si un contesto urbano in cui gli anziani sono privi di adeguata protezione e assistenza pubblica. Uno sguardo empatico e privo di giudizi e di retorica, che si allarga anche ai temi della malattia e dell’eutanasia, con momenti emozionanti e qualche accento umoristico ben dosato.  Bimileun Eobda (The Truth Beneath), della trentenne Lee Kyoung-mi, è un dramma - thriller che racconta il disfacimento di una coppia: Jong-Chan, un politico quarantenne impegnato in una spietata campagna per essere eletto parlamentare dell’Assemblea Nazionale e Yeon-Hong, sua moglie che lo aiuta con convinzione. Ma poi un giorno la loro figlia adolescente Min.Jin viene rapita e inizia un incubo ricco di colpi di scena. La donna poco a poco inizia a dubitare del marito e con pervicace determinazione  intraprende un’inchiesta personale, stante l’inefficienza della polizia. Scopre la vita segreta e le amicizie di sua figlia. Quindi in un’escalation ritmata da un montaggio caleidoscopico giunge a svelare la tragica verità. Un film interessante che rivela similarità con il cinema di Park Chan-wook (di cui  Lee Kyong-mi è stata assistente alla regia) nello sguardo, nello stile e nella rappresentazione del dolore e della vendetta. Tuttavia la narrazione presenta non pochi momenti di confusione e di scarsa efficacia.

Commentiamo quindi alcuni dei lungometraggi della sezione “Orizzonti Coreani”. Busanhaeng (Train to Busan), del trentenne Yeon Sang-ho, è uno zombie movie  piuttosto efficace,  con un ritmo incalzante ed esagerazioni estetiche parzialmente sorprendenti. Un horror splatter costruito rivisitando aspetti e stereotipi del cinema di George Romero. Attraverso il racconto di un assalto di morti resuscitati, ossessivamente violenti e famelici, che  invadono un treno lanciato ad alta velocità, il regista riesce a far emergere problematiche, passioni e debolezze che permeano la società coreana : l’emarginazione sociale, le differenze di classe, il cinismo e l’egoismo. Ovviamente vi è un eroico cittadino che si pone alla guida dei pochi superstiti che lottano per mettersi in salvo. Proponiamo una critica più articolata di Dangsin Jasingwa Dangsinui Geot (Yourself and Yours) (2016), del noto cinquantenne Hong Sang-soo. Si tratta di  un intrigante, ma confuso e pretenzioso esercizio di dialettica amorosa tra maschio e femmina. E si ispira, in qualche modo, a Cet obscur objet du désir (1977),  uno dei capolavori di Luis Buñuel.

Korea Film Festival

"Train to Busan" Yeon Sang-ho

 

Il protagonista è un pittore quarantenne, Young-soo (Kim Joo-hyuck), segnato dalla preoccupazione per la grave malattia di sua madre, ma anche  sconcertato a causa dei comportamenti erratici della sua giovane fidanzata Minjung.  Infatti alcuni conoscenti gli riferiscono che la donna è avvezza all’abuso di alcolici  in compagnia di altri uomini durante un’abituale peregrinazione tra bar, ristoranti e locali. Peraltro, nel corso del film, tra un confronto e l’altro tra i due amanti, a tratti teso, a tratti penosamente lamentoso, la stessa attrice (LeeYou-young) sembra interpretare diverse versioni di Minjung in compagnia di vari personaggi maschili. Poco a poco sorge il sospetto che i contrastanti atteggiamenti della donna potrebbero essere invece solo illusorie farneticazioni prodotte dall’alterazione mentale di Young-soo che non riesce a trovare un equilibrio con lei. Il film sembra voler esplorare le ossessioni romantiche e le insicurezze maschili di fronte alla multiforme sfrontatezza e allo spirito indipendente femminile, ma si  risolve in una serie di incontri e di siparietti senza una convincente articolazione drammatica.

trailer Trailer

Hong Sang-soo è solito utilizzare, nelle sue opere, ingegnosi stratagemmi narrativi, come quello  di raccontare la stessa storia due volte, inserendo piccole, ma determinanti variazioni che ne modificano significativamente il senso e l’epilogo. Ripropone  costantemente la sua nota dialettica amorosa che si regge su giochi di incomprensioni,  piccole bugie e candide aspettative, quasi sempre deluse, condite da dialoghi brillanti e situazioni teatrali. Tuttavia, in Yourself and Yours, il meccanismo, al di là dell’eleganza formale, si avvita su sé stesso, in un gioco noioso e troppo virtuosistico, tra realismo ed enigma. Anche l’apparente composizione conclusiva del contrasto interno alla relazione, con Young-soo che si mostra pentito e dichiara a Minjung di non opporsi ai suoi abusi alcolici, mentre la donna, trionfante, si addolcisce, appare un espediente, conciliatorio e liberale,  troppo intellettualistico. Gokseong ( The Wailing), di Na Hong-jin ha ottenuto il Premio al miglior film attribuito da parte della Giuria mista di critici e studenti. Si tratta di un thriller crudele e senza speranza, in cui il canovaccio di un inchiesta poliziesca è contaminato da motivi horror  e da elementi fantastici. Racconta una storia cupa, atipica e ricca di inattesi, ambigui e sconcertanti colpi di scena, che si sviluppa  attraverso un meccanismo narrativo lucido e spietato. La vicenda è ambientata in un villaggio montano in cui la vita trascorre con tranquillità. Poi, a partire da un certo momento, inizia a verificarsi una serie di morti sanguinose inesplicabili: non è chiaro se si sia di fronte a omicidi estremamente violenti o a una patologia sconosciuta. La piccola comunità rurale si interroga, tra dicerie, illazioni, sospetti e superstizioni. Quindi qualcuno inizia ad accusare uno straniero, un anziano giapponese che vaga nei boschi (Jun Kunimura), vivendo come un eremita e raccogliendo erbe. Il poliziotto Jong-gu (Kwak Do-won), a capo delle indagini, che testimonia tutte le fasi della storia, è perplesso e mostra la sua inadeguatezza. Ma poi la minaccia dell’epidemia di bramosia sanguinaria lo tocca personalmente: la sua figliola Hyo-jin (Kim Hwan-nee) inizia a comportarsi in modo  inusuale e  successivamente si ammala gravemente. L’uomo inizia a convincersi che possa essere implicato un fattore sovrannaturale. Nel frattempo alcuni abitanti si rivolgono a Il-gwang (Hwan Jeong-min), un bizzarro sciamano sopraggiunto inaspettatamente. E  contemporaneamente una ragazza senza nome (Chun Woo-hee) diventa una presenza  costante e perturbante tra le case del villaggio. Fino ad un finale, intriso di dolore, in cui non vi è una spiegazione certa, ma  prevale  la struggente scansione melodrammatica. Na Hong-jin propone un plot che cambia più volte rotta, articolandosi e distorcendosi, con continui cambi di ritmo, e sfidando le certezze dello spettatore. La sua messa in scena, quasi sempre ben controllata, è costellata da elementi di qualità: l’accurata determinazione di una tragica inquietudine e agitazione, la conturbante e disturbante potenza delle sequenze oniriche, la rappresentazione della crescente xenofobia e la cruda e paurosa dinamica dei delitti. Accumula con sottigliezza suggestioni terrificanti e sovrannaturali, umana costernazione e incombente atavica sensazione della minaccia del Male assoluto. Ma interpone anche spunti umoristici e grotteschi. Inoltre propone una lunga sequenza visivamente impressionante ed etnicamente  molto interessante in cui si dispiega un seducente e drammatico rito sciamanico.

Park Chan-wook, ospite d’onore a Firenze, è nato a Seoul nel 1963.  Già durante gli studi in Filosofia presso La Sogan University, divenne animatore del cineclub denominato “Sogang Film Community” e iniziò l’attività di critico cinematografico che continuò anche dopo l’esordio come regista che avvenne nel 1992 con il lungometraggio Daleun...haega kkuneun kkum (The Moon is… the Sun’s Dream) (1992). Raggiunge il successo internazionale con la realizzazione diGongdong Gyeongbi Gguyeok Jeieseuei  (Joint Security Area) (2000), adattamento del romanzo DMZ dello scrittore coreano Park Sang-yeon. Il film ha ottenuto buone critiche e uno strepitoso risultato al box office. Park Chan-wook è notissimo per la sua famosa “Trilogia della vendetta”: Bokhoneum Naui Geot (Sympathy for Mr. Vengeance) (2002), Oldeuboi (Oldboy) (2003) e Chin-jeol-han Geum-ja-set (Sympathy for Lady Vengence) (2005).

 

Park Chan-wook

Park Chan-wook

Al centro del suo cinema vi è proprio il tema della vendetta che nasce da un insopportabile dolore, più specificamente del più debole nei confronti dello strapotere dei più forti, con frequenti e spiazzanti cambi di ruolo. I film di Park Chan-wook combinano straordinari generi diversi: il melodramma crudo e malinconico, ma anche la black comedy che si trasforma in psicodramma - thriller, mescolando in modo creativo ed imprevedibile humour nero e risvolti tragici e horror. Contengono alcuni elementi basilari: il talento visionario e l’espressività affidata a suoni e immagini peculiari; l’approccio antisentimentale e la contemplazione distante e non compiaciuta della violenza fisica punitiva più estrema; lo sguardo spinto al limite in un gioco crudele e disturbante, ma controllato da una logica aliena da esagerazioni gratuite e, all’occorrenza, suffragata dal fuoricampo; la tensione agghiacciante delle situazioni estreme; l’indole alla sperimentazione visiva con sapienti motivi grotteschi e pop; la violenza pulp degli scontri e la ritualità delle torture; la determinazione dei personaggi. Park ha sempre rivendicato una grande ammirazione nei confronti di Alfred Hitchcock, rivelando in più occasioni che la visione di Vertigo (1958), il capolavoro del maestro inglese, film a cui è ossessivamente legato, lo ha indotto a passare dalla critica al filmmaking. Nel maggio del 2004, intervistato da Hollywood Reporter, ha anche citato i pensatori e i letterati che lo hanno maggiormente influenzato nel corso della sua carriera: Sofocle, William Shakespeare, Franz Kafka, Fëdor Dostoevskij, Honoré de Balzc e lo scrittore statunitense Kurt Vonnegut. Alcuni noti attori coreani sono stati scelti ripetutamente da Park per interpretare i suoi film: Song Kang-ho e Shin Ha-kyun in Joint Security Area, Sympathy for Mr. Vengeance, Sympathy for Lady Vengence e Thirst; Choi Min-sik e Yoo Ji-tae in Oldboy e Sympathy for Lady Vengence; Lee Young-ae in Joint Security Area e Sympathy for Lady Vengence; Kim Byeong-ok e Oh Dal-su in Oldboy, Sympathy for Lady Vengence e I’m a Cyborg, but That’s OK.
 
Il Florence Korea Film Fest ha presentato una retrospettiva completa dei lungometraggi e dei cortometraggi diretti da Park Chan-wook, ad eccezione dei primi due suoi lungometraggi, The Moon is… the Sun’s Dream (1992), una gangster story che ruota intorno a una relazione impossibilee, e Threesome (1997), dramma tragicomico che si dipana da una rapina in banca, che ottennero ben scarso successo. In effetti il regista non li ricorda mai volentieri.  Nel corso del suo soggiorno al Festival, sabato 25 marzo, Park ha tenuto una masterclass, raccontando, con grande disponibilità dettagli e scelte della sua carriera e rispondendo alle domande del critico Marco Luceri, curatore della  retrospettiva e di  alcuni presenti tra il nutrito pubblico. Ha rievocato la sua infanzia quando, anche stimolato dai genitori, ha iniziato ad appassionarsi ai film realizzati a Hollywood, ma anche ad alcuni film europei e italiani,  programmati dalla televisione. Quindi ha  raccontato le difficoltà vissute nel corso degli anni ’90, all’inizio della sua carriera di regista, e la scelta, anche necessaria per motivi di sussistenza, di dedicarsi per molti anni alla critica cinematografica. Poi ha confermato la sua predilezione per Hitchcock, ma  ha anche riconosciuto di essere stato influenzato da Luchino Visconti. Rispetto alla sua ispirazione ha  affermato che trae vantaggio da  varie fonti: lettura di romanzi, manga e fumetti, ma anche notizie apprese dai notiziari televisivi e dai giornali. E rispetto all’adattamento di opere letterarie ha rivelato che per lui la maggiore sfida risiede nel rappresentare le emozioni interiori dei personaggi.  Per quanto riguarda il tema della vendetta, fattore cruciale della sua poetica, Park ritiene che sia un sentimento provato da molti uomini e da molte donne e che i personaggi dei suoi film lottino contro il male che incontrano  nell’ambiente esterno, ma soprattutto conto il male che provano loro stessi e contro le pulsioni oscure che provano.  Con riferimento al proprio metodo di lavoro ha affermato che per lui lo storyboard, che  illustra le immagini  della storia narrata nel film, inquadratura dopo inquadratura, è essenziale e  che  determina pienamente il montaggio finale. Inoltre ha rivelato la sua preferenza per attori perspicaci e recettivi, ma distaccati e che sanno usare il linguaggio del corpo a cui, peraltro, secondo lui, si accoppia il valore determinante degli abiti e dei costumi indossati che sono da intendersi come un’estensione del fisico. In generale non ripone molta aspettativa nell’improvvisazione  e stima che questo elemento riguardi nei suoi film solo un 10% del lavoro. Proponiamo quindi un’analisi critica  di alcuni dei film di Park Chan-wook.

Korea film festival

"Sympathy for Mr. Vengeance", Park Chan-Wook

 

Bokhoneum Naui Geot (Sympathy for Mr. Vengeance) (2002), presentato alla Berlinale, è un dramma caratterizzato da una cupa violenza perseguita, con terribile decisione, per una vendetta che nasce da un’intollerabile afflizione. La vicenda è quella di un facoltoso self-made man, Park Dong-jin (Sony Kang-ho), divorziato  dopo essere stato incolpato dalla moglie per non essersi dedicato abbastanza alla famiglia. Un giorno, inaspettatamente, deve fronteggiare il rapimento dell’unica figlia bambina. Il rapitore, Ryu (Shin Ha-kyun), è un giovane sordomuto che ha perso il lavoro e che deve trovare il denaro perché sua sorella, gravemente malata e sottoposta alla dialisi, possa essere sottoposta ad un trapianto renale.  Il rapimento è stato proposto e architettato dalla fidanzata di Ryu, un’attivista anarchica legata a un gruppo terrorista. Ma la bambina rapita muore annegata accidentalmente e il padre, al termine di una caccia implacabile e febbrile, elimina i rapitori uccidendoli  dopo aver loro inflitto indicibili sofferenze. Ma la violenza non ha termina perché continua in un finale a sorpresa. Park Chan-Wook ha definito questa sua opera come un omaggio al film Vengeance is mine (1979) del noto regista giapponese Shoei Imamura.

trailer Trailer

In Sympathy for Mr. Vengeance dimostra notevoli doti narrative, spiccato senso cinematografico dell’azione e intelligenza nella direzione degli attori. L’approccio è distaccato e la violenza fisica più estrema è accuratamente mostrata e distillata con una straordinaria sperimentazione formale e visiva, ma senza segni di condiscendenza. In sostanza si tratta di una black comedy che si trasforma in psicodramma nichilista e tenebroso, mescolando in modo creativo ed imprevedibile humour nero, risvolti da tragedia classica greca e un continuo scambio di ruoli tra giustiziere e vittima.

Oldeuboi (Oldboy) (2003), ha ottenuto il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. È un melodramma forte ed emozionante. Derivato da un manga giapponese, è molto raffinato a livello stilistico, tra intensi close ups e inquadrature deformate. È  caratterizzato da alcuni elementi basilari: la visionarietà degli ambienti; la suspence delle situazioni al limite; la violenza pulp; la caparbia determinazione dei personaggi; l’iperrealismo, le distorsioni mentali indotte dall’ipnosi e le ammalianti contraddizioni logiche del plot. La trama è complicata e la narrazione procede con un meccanismo di rivelazione progressiva. La vicenda nasce dal rapimento di un tranquillo capofamiglia Oh Dae-su (Choi Min-sik, che propone una perfetta recitazione espressionista) nel 1988. Viene detenuto in uno squallido alloggio - prigione e torturato fisicamente e psicologicamente: il cibo quotidiano viene spinto attraverso uno sportellino nella parte posteriore della porta di accesso e nessuno gli fornisce mai una spiegazione sul perché si trovi ad essere prigioniero. 

 

Nuovo cinema francese Rendez-vous

"Oldboy", Park Chan-wook

Trailer

trailer

Guardando la televisione sempre accesa, assiste ad un programma televisivo da cui apprende che sua moglie è stata brutalmente assassinata e che il sospetto dell’omicidio sarebbe lui stesso. Nel 2003, dopo quindici anni, viene liberato e messo sulle tracce del suo carceriere perché scopra l’enigma. L’iter successivo, ricco di colpi di scena e di sequenze cult caratterizzate da una fervida creatività estetica, rivela un intreccio di estrema ossessione e di inestinguibile dolore in cui passato e presente si mescolano in un unico incubo.

Saam gaang yi (Three... Extremes) (2004), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia è un horror splatter composto da tre episodi diretti da Park Chan-wook, Takashi Miike e Fruit Chan, tre registi cult del cinema del Far East asiatico. Il secondo cortometraggio inserito nel film, Monseuteu (Cut), dello stesso Park Chan-wook, ripropone i temi e la violenza punitiva estrema cari a questo autore. Racconta il sequestro e la terribile tortura, durante una lunga notte, di un noto regista (Lee Byung-hun) e  di sua moglie, famosa pianista, da parte di un  figurante frustrato e psicopatico (Im Won-hee) che era comparso in cinque dei suoi film. In effetti il motivo del rapimento viene ricondotto al fatto che l’attore fallito nutre un’insana gelosia nei confronti del regista non solo perché ha successo ed è bello. Un vero e proprio odio paranoico per la posizione sociale di colui che considera un privilegiato. Poi la sua rabbia furiosa aumenta perché il rapito non vorrebbe  accettare il sadico gioco che gli viene imposto. Un gioco al massacro senza limiti, tragico e sanguinoso.

Chin-jeol-han Geum-ja-set (Sympathy for Lady Vengence) (2005), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e ultimo capitolo della trilogia sulla vendetta, è un thriller con sapore di mélo in cui la dura e dirompente rappresentazione formale della violenza è messa a distanza da sapienti elementi estetici. Descrive il gelido percorso di una trentenne,  Lee Geum-ja (Lee Young-ae),  accusata ingiustamente di un crimine orribile: il rapimento e l’uccisione di un bambino di cinque anni. Solo successivamente sarà svelato che La donna accetta la condanna e la pena detentiva comminata dal tribunale anche per  preservare la sua bambina. Dopo tredici anni di reclusione, segnata da soprusi e violenze, ritrova le tracce di un professore, Mr. Baek (Choi Min-sik), che l’aveva coinvolta con l’inganno  nel rapimento del minore, e si rende conto che lui è il vero colpevole di quel crimine e di molti altri seriali con sevizie di minori. Progetta e prepara con fredda determinazione, tassello per tassello, la sua vendetta e la attua  in nome di un interesse collettivo. Infatti riunisce, in una vecchia scuola abbandonata, i genitori e i parenti dei bambini seviziati ed uccisi dall’uomo e insieme lo giudicano e lo torturano a turno, fino al sanguinoso colpo finale. La narrazione, un poco prolissa, ma emozionante, compie un sistematico e continuo andirivieni temporale per costruire una sorta di regia della vendetta. Il film dimostra l’abilità di Park Chan-wook nel trasformare la violenza in messa in scena cinematografica, in cui il movimento, le luci e i colori, in primis il rosso, sono elementi fondamentali.

Bak-jwi (Thirst) (2009), ha ottenuto  il Premio della Giuria ex aequo al Festival di Cannes. È un film debordante, baroccheggiante e prolisso, ma pieno di idee e caratterizzato da un ritmo frenetico.  È ricco di inquadrature sapienti e caratterizzato dauna fotografia che utilizza  magistralmente i colori, in primis il bianco abbacinante, con significati metaforici, ma anche i verdi , i rossi desaturati e i filtri blu. Park Chan-Wook mescola e ricompone ogni declinazione del mélo, sulla base di una rivisitazione del genere vampiresco volutamente irriverente, dissacrante e polemico nei confronti della religione cristiana. Un affresco ironico, grottesco e romanticamente triste che  racconta la passione sessuale in una love story autodistruttiva e la meschinità dell’ordinaria esistenza quotidiana deformandole. Ma nasconde anche suggestioni semplificate  relative al senso di colpa e  al libero arbitrio. In effetti il regista ha dichiarato di essere stato ispirato da due ragioni: la frequentazione durante l’infanzia della Chiesa cattolica e la fascinazione per il rito dell’eucarestia con l’atto di bere il vino e la  predilezione per il noto romanzo “Teresa Raqin” (1867) di Émile Zola. Il protagonista è Sang-hyun (Song Kang-ho), un sacerdote cattolico trentenne, amato ed ammirato dai suoi parrocchiani e dalla gerarchia ecclesiastica. L’uomo, fortemente animato da spirito caritatevole e altruista, ma anche da narcisismo individualista, parte per l’Africa dove accetta di sperimentare volontariamente su  sé stesso un vaccino destinato a combattere una malattia infettiva mortale. Nel corso dell’esperimento viene contaminato dal virus e viene salvato in extremis da una trasfusione sanguigna. La notizia della sua guarigione miracolosa attira centinaia di pellegrini che vogliono conoscerlo. Tra questi vi è anche un suo amico di infanzia con la propria consorte, Tae-ju (Kim Ok-bin). Sang-hyun, che nel frattempo ha scoperto che solo bevendo sangue umano può controllare le recidive della malattia, è irrimediabilmente attratto dalla donna che, essendo di umili origini, è oppressa e vessata dal  consorte e dalla suocera.. Dopo aver eliminato il marito di Tae-ju, i due diventano amanti e,  dopo alterne vicende, si trasformano in moderni vampiri. Quindi inizia una girandola di avvenimenti in cui si mescolano elementi grotteschi, fantastici, gore e malinconicamente sentimentali. Fino allo struggente finale in cui i due amanti maledetti, seduti sulla sommità di una scogliera ed esposti alla luce livida dell’alba, attendono il fatidico raggio di sole che li incenerirà.

Nuovo cinema francese Rendez-vous

"Stoker" Park Chan-wook

 

Stoker (2013), presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival, segna l’esordio in lingua inglese di Park Chan-wook, con produzione statunitense, del geniale regista coreano. È un thriller psicologico - sessuale, con elementi horror. Configura un morboso dramma familiare, una “favola gotica” di delitti e tradimenti, con al centro  il coming-of-age o meglio “la maturazione” di una giovane dark lady, solitaria, amletica e vendicativa. Il titolo fa riferimento a Bram Stoker, lo scrittore autore di Dracula, ma il film presenta piuttosto echi del noto thriller Shadow of a Doubt (1943), di Alfred Hithcock, autore cult per  Park Chan-wook. La vicenda si svolge nel sud degli Stati Uniti e avviene in gran parte in una magnifica villa. Inizia con il funerale di Richard Stoker (Dermot Mulroney), un ricco possidente deceduto in seguito a un misterioso incidente di auto avvenuto lontano da casa, in un altro stato. Evelyn (Nicole Kidman), la sofisticata vedova, non sembra molto turbata, mentre India (Mia Wasikowska, molto efficace), la pallida figlia diciottenne, molto legata al padre, è chiusa in un muto dolore. Ha persoil genitore nello stesso giorno del suo compleanno.

trailer Trailer

L’improvvisa comparsa di Charles (Matthew Goode), il fratello quarantenne del defunto, assente da anni, suscita sorpresa, anche perché, dopo le esequie, si stabilisce nella grande casa. L’uomo è un dandy quarantenne, affascinante, accattivante e sempre stranamente calmo. Racconta di aver girato il mondo per anni e inizia a corteggiare Evelyn, senza trascurare le attenzioni nei confronti di India. Un triangolo carico di tensione, tra sguardi, sottintesi e rimandi visivi, anche perché la vedova non nasconde la gelosia nei confronti della figlia. Poi la giovane donna scopre alcuni sconvolgenti segreti di famiglia. Peraltro, da quel momento, nipote e zio sembrano mostrare affinità e peculiarità similari. Fino ad un finale sardonico e non politicamente corretto, efficace anche se non proprio sorprendente. Stoker è un film raffinato. La cura dei dettagli scenografici (oggetti decorativi e colori) operata personalmente dal regista, coadiuvato dalla production designer Thérèse DePrez, è estrema. Alcune immagini sono iconiche: un ragno sorpreso a camminare sulla gamba di India; i capelli di Evelyn, pettinati dalla figlia, che si trasformano negli steli dei campi di granturco mossi dal vento; gli schizzi di sangue sulle foglie e sull’erba. I close ups del cameraman Chung Chung-hoon configurano stranianti effetti pittorici. Per altro la sceneggiatura di Wentworth Miller risulta drammaticamente poco coinvolgente e troppo sovraccarica di grossolani motivi psicoanalitici freudiani: il contrasto madre - figlia; lo zio come sostituto paterno. Park Chan-wook ha dichiarato di averne apprezzato la concisione dei dialoghi che gli avrebbe permesso la sua nota espressività affidata a suoni e immagini peculiari. Tuttavia  il film risulta privo di molti degli ingredienti tematici basilari del cinema di Park Chan-wook. Non presenta una suspence convincente, affidandosi spesso a banali espedienti sonori e onirici o indulgendo in uno humour nero scontato e inoffensivo. In effetti la messa in scena risulta troppo controllata e stilizzata e il  talento visionario del regista si esprime quasi solamente nell’epilogo.

Park Chan-wook ripropone i temi dell’erotismo e della tentazione al femminile nel suo più recente lungometraggio, Agassi (The Handmaiden) (2016), presentato al Festival di Cannes. È di nuovo un film con cast e produzione coreani. Ambientato in Corea durante l’occupazione giapponese negli anni ’30, pur essendo stato girato a Nagoya in Giappone, è ispirato dal romanzo “Fingersmith” (2002) della scrittrice gallese Sarah Waters, ambientato in epoca vittoriana e già adattato nel 2005 in una miniserie televisiva della BBC. Racconta la storia, molto elaborata e divisa in tre parti, di un complotto criminale ai danni di Hideko (Kim Min-hee), una nobile e algida ereditiera giapponese ventenne, che vive in una magnifica magione al centro di una grande proprietà. La giovane si trova sotto lo stretto controllo di suo zio Kouzuki (Cho Jin-woong), un bibliofilo lascivo e autoritario che gestisce l'immenso patrimonio della nipote rimasta orfana. Un imbroglione, che  si presenta come il conte giapponese Fujiwara (Ha Jung-woo), intende sedurre, quindi derubare e infine relegare in un manicomio la vittima designata. L’uomo si serve della collaborazione della giovane e attraente coreana Sook-hee (Kim Tae-ri), una ladruncola che ha fatto assumere come cameriera personale di Hideko.  Tuttavia in breve tempo la domestica manifesta una sottile empatia  verso la sua padrona. E in seguito, attraverso un’intensa e crescente dinamica di sguardi, primi contatti e amplessi sempre più coinvolgenti, tra le due donne si sviluppa una liason non solo sessuale, ma anche sentimentale. Ma questa è solo la prima parte del film: la storia continua capovolgendo i ruoli e sviluppando un sottile e imprevedibile gioco di specchi tra i tre protagonisti. Park Chan-wook ha dichiarato che, insieme al suo fidato sceneggiatore Jeong Seo-gyeong, hanno significativamente calibrato l’intreccio rispetto al romanzo della Waters, configurando essenzialmente le relazioni ambigue tra due donne e tra loro e un uomo. Considerato che in quel periodo storico una relazione lesbica era considerata un amore proibito, il regista ha attestato che il suo interesse principale è stato quello di esplorare e descrivere  i desideri sessuali. Ha anche dichiarato che, essendo interessato allo studio della natura umana, la vicenda riguarda soprattutto la gioia dell’erotismo, vissuto o immaginato, e la liberazione dal senso di colpa, questione che lo ha sempre affascinato essendo connessa alle sue esperienze giovanili di impegno politico a favore della democrazia in Corea.

Anche in The Handmaiden, come in tutti i suoi film, Park ripropone il suo squisito talento visionario e i suoi temi abituali, il tradimento, le menzogne, le passioni contrastanti, la vendetta e la violenza sadica, la relazione tra eros e thanatos, e gioca con i dilemmi morali perché il racconto è controverso e i personaggi sono ambigui. Ma aggiunge la rappresentazione elegante e sfrontata  dei meccanismi della seduzione e della sopraffazione.  E ancora una volta dimostra notevoli doti narrative di rivelazione progressiva, spiccato senso cinematografico dell’azione e intelligenza nella direzione degli attori. La pregevole messa in scena, molto curata, conferma il suo stile e fonde e scompone, con virtuosi movimenti di macchina e con il montaggio serrato, il movimento, le luci e i colori. Emerge anche un raffinato tono ironico, perfettamente fuso con i motivi melodrammatici e thriller. E ancora, si notano le referenze al romanticismo inglese e ai romanzi di Emily Bronte, reinterpretate in modo molto personale. La cura dei dettagli scenografici operata personalmente dal regista, coadiuvato dalla production designer Ryu Seong-hie, è estrema. Le inquadrature del direttore della fotografia e cameraman  Chung Chung-hoon, abituale collaboratore di Park, configurano effetti pittorici assolutamente deliziosi ed eleganti rouge

 

Korea film festival

"The Handmaiden", Park Chan-wook

Trailer

trailer

 


 

 

 

px

px

15. KOREA FILM FEST 2017

info

22 - 31 / 03 / 2017

Korea film Festival

Korea film Festival

Korea film Festival

Korea film Festival

Korea film Festival

Korea film Festival

Korea film Festival

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

link
Nuovo cinema francese
px
Home Festival Reviews Film Reviews Festival Pearls Short Reviews Interviews Portraits Essays Archives Impressum Contact
    Film Directors Festival Pearls Short Directors           Newsletter
    Film Original Titles Festival Pearl Short Film Original Titles           FaceBook
    Film English Titles Festival Pearl Short Film English Titles           Blog
                   
                   
Interference - 18, rue Budé - 75004 Paris - France - Tel : +33 (0) 1 40 46 92 25 - +33 (0) 6 84 40 84 38 -