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pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 64. SAN SEBASTIAN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL I DI GIOVANNI OTTONE I 2016

FESTIVAL DI SAN SEBASTIAN 2016

Cinema politico e di genere

Molte anteprime europee e mondiali di film d’autore e alcune opere prime di talento.
Vince “I am not Madame Bovary” del cinese Xiaogang Feng

 

DI GIOVANNI OTTONE

"Snowden" Oliver Stone

Evolution Lucile Hadzihalilovic

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"San Sebastian 64”, svoltosi dal 16 al 24 settembre, ha proposto una Sezione Ufficiale competitiva, comprendente 25 lungometraggi, di cui 3 fuori concorso, 4 proiezioni speciali e 8 anteprime mondiali. Ma ben 14 tra questi film erano stati presentati anteriormente al recente Festival di Toronto. Hanno prevalso film  rievocativi di clamorosi scandali politici, drammi esistenziali di varia fattura e opere di genere quali alcuni thriller e un paio di  favole fantastiche.

La fille de Brest Emmanuelle Bercot

"La fille de Brest, della francese Emmanuelle Bercot

 

L’opening film del Festival, La fille de Brest, della francese Emmanuelle Bercot, è un dramma  a sfondo sociale, con implicazioni di denuncia politica, ritmo e tensione incalzanti. Un film efficace, ma giocato su tinte forti, passaggi musicali roboanti e recitazione spesso forzata. Racconta la storia vera di Irène Frachon, una pneumologa  ospedaliera di Brest, in Bretagna, che scopre che un noto farmaco antidiabetico, usato da anni, causa nei pazienti gravi degenerazioni cardiache con esiti mortali. Quindi  si impegna in un’epica battaglia contro una potente casa farmaceutica, scontrandosi anche con lo scetticismo dei burocrati del Ministero della Sanità di Parigi.

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Il film di chiusura L’Odyssée, del francese Jérôme Salle, è un biopic che propone l’entusiasmante  itinerario esistenziale di Jacques Cousteau, il grande esploratore subacqueo, divulgatore cinematografico dei segreti degli abissi oceanici e del fondali dell’Antartide, frenetico businessman, sognatore,  geniale, narcisista, cinico, latin lover, ma anche, negli ultimi anni della sua vita, ecologista tenace e sincero. Salle racconta una grande avventura umana, dalla fine degli anni ’40, quando  Cousteau  inventò gli scafandri con bombole e trasformò un vecchio dragamine nel mitico Calypso, nave di appoggio per le sue spedizioni oceanografiche, agli anni delle varie imprese, dei contratti con il colosso televisivo americano NBC e del divismo mondiale, fino alla morte accidentale nel 1979 dell’amato figlio trentenne Philippe, suo collaboratore spesso molto critico. Un film non agiografico, senza censure sugli aspetti contradditori privati e pubblici del protagonista, con passaggi visivi emozionanti e sontuosi e un cast di ottimi attori, tra cui Lambert Wilson, Audrey Tatou e Pierre Niney.

 

LOdyssee Jerome Salle

"L’Odyssée" Jérôme Salle

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Citiamo le produzioni più significative, presentate in concorso, fuori concorso e nella sezione “Perlas”.

La fille de Brest Emmanuelle Bercot

"American Pastoral", Ewan McGregor

 

American Pastoral, opera prima del noto attore britannico Ewan McGregor, ambientata a Newark negli anni ’60 e ’70 e interpretata dallo stesso regista, da Jennifer Connelly e da Dakota Fanning, adatta, con lucida vena malinconica, l’omonimo romanzo di Philip Roth. Racconta la tragedia di una famiglia quasi perfetta della middle upper class, devastata dall’azione della figlia unica sedicenne che, radicalizzatasi nella protesta contro la guerra del Vietnam, compie un attentato dinamitardo e poi, sulle orme dei Weathermen, entra in clandestinità. The oath, dell’islandese Baltasar Kormákur, ambientato durante il cupo inverno di Reykiavik, è un  lacerante dramma e un vigoroso e tagliente thriller psicologico. Vi si confrontano, senza esclusione di colpi, un brillante cardiochirurgo e uno spietato spacciatore di droga che è diventato l’amante della fragile figlia ventenne del medico.

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Lady Macbeth, opera prima dell’inglese William Oldroyd, è un’intrigante  tragedia, carica di ambiguità morale, ambientata, nel 1865, in una residenza di campagna del County Durham nell’estremo nord est dell’Inghilterra e filmata con affascinante rigore formale. Propone il ritratto di un’eroina gotica, una diciannovenne che, costretta ad un matrimonio di convenienza con un  latifondista quarantenne che la disprezza e la tiene reclusa, instaura un focoso affaire con uno stalliere, spinta dal desiderio di libertà sessuale, in stridente contrasto con la rigida morale vittoriana. Ne deriva un’ineluttabile sequela di rottura delle regole e delle gerarchie di genere, di tradimento e di morte.

Snowden, di Oliver Stone,  propone la nota vicenda di Edward Snowden, già top  analyst della CIA e della NSA, che, nel 2013, divenne il whistleblower che rivelò al mondo, attraverso la stampa, i sofisticati programmi segreti di sorveglianza e acquisizione globale di ogni tipo di comunicazione on line, telefonica, etc., attuati dalle agenzie di intelligence governative degli USA, e che poi, per non essere arrestato, ottenne asilo nella Russia di Putin. Il film, interpretato da Joseph Gordon-Levitt, Shailene Woodley, Rhys Ifans, Melissa Leo, Tom Wilkinson e Zachary Quinto, è un ambizioso political drama, parte biopic parte thriller spionistico basato su fatti reali.  Ricostruisce, a partire dal 2004, con stile documentaristico, ottimo ritmo narrativo, suspence vibrante e approccio alla tecnologia più moderna, l’itinerario lavorativo e di “maturazione di coscienza” di Snowden.  Ma Stone lo presenta in forma unilaterale, come un sincero patriota e un eroico cavaliere della democrazia, senza considerare i molti aspetti controversi del personaggio. Ne deriva un eccesso di toni moralistici che depotenzia l’impatto dell’intricato puzzle esistenziale e politico.

 

Snowden

"Snowden" Oliver Stone

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A Monster Calls,  del catalano J. A. Bayona, è una favola gotica fantastica interpretata dal piccolo Lewis MacDougall e da Sigourney Weaver, Liam Neeson e Felicity Jones. Bayona adatta l’omonimo romanzo per l’infanzia di Patrick Ness e racconta la storia di un ragazzino turbato da sogni inquietanti e oppresso dalla malattia terminale di sua madre. Propone affascinanti elaborazioni visive ed effetti speciali e momenti di intimismo malinconico, ma non sfrutta pienamente il lato dark della vicenda.

Born to Be Blue Robert Budreau

"Born to Be Blue ", Robert Budreau

 

Born to Be Blue,  del canadese Robert Budreau, non è affatto un classico e scontato biopic. Racconta, con efficacia, creatività ed eccellente direzione dei protagonisti, Ethan Hawke (in una delle migliori performance della sua carriera), Carmen Ejogo e Callum Keith Rennie, una fase cruciale dell’esistenza di Chet Baker, il  leggendario e geniale trombettista bianco, icona del West Coast jazz, che rivaleggiava con i negri Miles Davis e Dizzy Gillespie. Ambientato alla fine degli anni ’60,  disegna il doloroso itinerario di Baker, inveterato tossicodipendente da eroina, oppresso da debiti e scandali e picchiato da creditori malavitosi,  per tornare ad esibirsi, nonostante lo scetticismo e l’iniziale mancato appoggio di quelli che erano stati il suo agente e i suoi sostenitori durante i suoi trionfi negli anni  precedenti, dopo il debutto nel 1954. Budreau osa reinterpretare l’itinerario di Baker con molte licenze, invenzioni ed esercizi di meta finzione e mescola anche fatti veri con una sequenzialità fittizia, ma vince la sfida, creando un personaggio vivo e umanamente complesso in un contesto convincente.

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Florence Foster Jenkins, di Stephen Frears, è un brillante, arguto, creativo e generoso biopic. Offre il ritratto di una figura femminile realmente esistita, tragica,  bizzarra e pateticamente dignitosa, ma anche infaticabile, nonostante la debilità fisica, nel perseguire una passione genuina per la musica. Ambientato a New York negli anni ’40, rielabora la traiettoria della Jenkins (Meryl Streep al colmo di un irresistibile virtuosismo), ereditiera e gran dama patrona delle arti e della musica,  circondata da una corte di adulatori, abituata al formalismo sfarzoso e convinta di essere un soprano di talento,  nonostante fosse incredibilmente stonata. Sostenuta e protetta teneramente da St Calair Bayfield (Hugh Grant assolutamente magnifico, tra mimica facciale perfetta e strabiliante talento come bonario viveur e ballerino), un inglese, elegante attore Shakeaspeariano  fallito, divenuto suo secondo marito, la donna giunse ad esibirsi al Carnegie Hall in una serata memorabile in cui il pubblico, pur sconvolto dalla sua improbabile performance canora, seppe applaudire ironicamente la sua limpida e grottesca “grandezza”. Frears mostra una  sottile empatia e una vena di indulgente malinconia che traspaiono oltre il perfetto dispositivo comico che delizia e intrattiene il pubblico.

 

Florence Foster Jenkins

"Florence Foster Jenkins " Stephen Frears

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Born to Be Blue Robert Budreau

"I am not Madam Bovary ", Feng Xiaogang

 

La Concha de Oro al miglior film è stata attribuita a I am not Madam Bovary, del regista cinese Feng Xiaogang. Alla protagonista del film Fan Bingbing, attrice, cantante pop e produttrice famosissima, è stata assegnata la Concha de Plata alla miglior attrice.  Al centro  della  satira sociale e politica vi è Li Xuelian, la proprietaria di un piccolo ristorante di provincia che ingaggia un  tenace confronto decennale con la burocrazia governativa e del Partito Comunista, a livello locale e a Beijing, con proteste clamorose, per ottenere la revisione giudiziaria del divorzio fittizio, contratto con il marito, autotrasportatore, per poter ottenere un secondo alloggio più spazioso, rivelatosi a suo danno quando l’uomo si era risposato non con lei, come era stato convenuto tra loro, ma con un’altra donna con cui ha poi occupato la nuova residenza. La furbesca parabola di questa “eroina” proletaria, con aspettative borghesi, sembra voler denunciare e ridicolizzare il regime cinese, in particolare gli inetti e misogini funzionari maschili, ma si rivela invece una grossolana operazione per propagandare presunte possibilità di petizione  individuale  di giustizia e contro i soprusi dello Stato nella Cina di oggi che in realtà, come si sa, sono del tutto  chimeriche o irrealizzabili. 

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Un’opera bozzettistica, che alterna comicità di corto respiro e toni drammatici convenzionali, senza mai risultare credibile né nei suoi termini narrativi più epici, né a livello di bizzarre ed “esotiche” soluzioni estetiche che alternano screen ratio ridotta circolare con tipologia “tunnelvision” e format rettangolare verticale tipo rotolo pittorico della tradizione classica cinese.

El invierno, opera prima dell’argentino Emiliano Torres, presentato in anteprima mondiale, ha ottenuto sia Il Premio Speciale della Giuria ex aequo, sia il Premio della Giuria alla miglior fotografia assegnato a Ramiro Civita. Si tratta di un convincente dramma – thriller, con tonalità western, ma senza tentazioni di genere, ambientato in una estancia di allevamento di pecore in un’area desolata della Patagonia, nella provincia di Santa Cruz. Racconta il confronto progressivamente ostile, tra curiosità e  muti pregiudizi, tra il vecchio capataz Evans (il cileno Alejandro Sieveking), un uomo solo e amareggiato, e Jara (Cristian Salguero), il nuovo giovane lavorante di origine guaranì, taciturno, disciplinato, abile e intelligente. Alla fine della stagione il vecchio viene destituito per decisione dei proprietari e  al suo posto viene assunto Jara. Evans non si rassegna: parte, ma poi torna in incognito, si acquatta in un rifugio in montagna e mette in atto una sequela di provocazioni e  di minacce latenti contro Jara per intimorirlo, fino allo show down finale.

 

El invierno

"El invierno" Emiliano Torres

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La regia di Torres, solida e austera, si basa su dialoghi scarsi, piani fissi, sfruttamento pieno della profondità di campo, lentezza naturale  nel ritmo narrativo e sul rigore quasi pittorico di una fotografia che privilegia la luce e l’oscurità naturale ed evita la contemplazione estetizzante di un paesaggio protagonista, aspro e spettacolare. Riesce quindi a catturare perfettamente, in termini multistratificati, spesso solo suggeriti, il duro contesto ambientale naturale e umano della storia (che ricorda quello di Alambrado, esordio di Marco Bechis nel 1991). Proponendo senza retorica molte suggestioni, lo sfruttamento dei lavoratori stagionali, l’isolamento, la contraddizione tra il legame  con la terra e quello degli affetti familiari, le differenze di classe e generazionali e la violenza repressa, sviluppa gradualmente una saga emozionante di  uomini che lottano per la sopravvivenza, ma sono comunque perdenti in un mondo alla deriva.

The Giant

"The Giant ", Johannes Nyholm

 

Anche The Giant, opera prima dello svedese Johannes Nyholm, ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria ex aequo. Si tratta di un  film in cui si fondono  il realismo di un docudrama fittizio e una deriva fantasy, senza mai configurare un vero melodramma. Il protagonista è Rikard (l’attore Christian Andrén trasfigurato dal make up), un  piccolo individuo macrocefalo e con una deformazione facciale mostruosa che determina la presenza di un unico occhio e una bocca contratta, autistico e incapace di discorsi coerenti, ma vero campione di una squadra di lavoratori che compete nel gioco delle bocce. Un ometto che sembra un bambino e che è animato da una fervida fantasia e da sogni ad occhi aperti che lo portano a credere di essere un poderoso gigante che si aggira liberamente in un paesaggio fantastico e pittoresco che è l’immagine di alcuni quadri pastorali kitsch del  XVIII secolo.Solo sua madre e il suo miglior amico riescono a capire l’eloquio stentato e limitato di Rikard che trascorre la maggior parte del tempo in un centro specialistico insieme a individui Down e ad altri portatori di handicap, interpretati da veri pazienti.

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Nyholm  esplora, con toni minimalisti, naturalisti ed espressionisti, a tratti toccanti, con note di comicità surreale e con molti clichés, la tensione tra l’individuo “diverso” e la comunità, rivelando similitudini formali sia con Mask (1985) di Peter Bogdanovich, sia con The Elephant Man (1980) di David Lynch, pur senza raggiungere la qualità di quei film.

La Concha de Plata al miglior regista è andata al coreano Hong Sang-soo per il suo film Yourself and Yours, un intrigante, ma confuso e pretenzioso esercizio di dialettica amorosa  tra maschio e femmina che  si ispira, in qualche modo, al Cet obscur objet du désir (1977),  uno dei capolavori di Luis Buñuel. Il protagonista è un pittore quarantenne, Young-soo (Kim Joo-hyuck), segnato dalla preoccupazione per la grave malattia di sua madre, ma anche  sconcertato a causa dei comportamenti erratici della sua giovane fidanzata Minjung, di cui gli viene riferito l’abuso di alcolici  in compagnia di altri uomini durante un’abituale peregrinazione tra bar, ristoranti e locali. Tuttavia, nel corso del film, tra un confronto e l’altro tra i due amanti, a tratti teso, a tratti penosamente lamentoso, la stessa attrice (LeeYou-young) sembra interpretare diverse versioni di Minjung in compagnia di vari personaggi maschili. Peraltro poco a poco sorge il sospetto che i contrastanti atteggiamenti della donna potrebbero essere invece solo illusorie farneticazioni prodotte dall’alterazione mentale di Young-soo che non riesce a trovare un equilibrio con lei.

 

Yourself and Yours

"Yourself and Yours" Hong Sang-soo

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Il film sembra voler esplorare le ossessioni romantiche e le insicurezze maschili di fronte alla multiforme sfrontatezza e allo spirito indipendente femminile, ma si  risolve in una serie di incontri e di siparietti senza convincente articolazione drammatica. Hong Sang-soo è solito utilizzare nelle sue opere stratagemmi narrativi, come quello  di raccontare la stessa storia due volte, inserendo piccole, ma determinanti variazioni che ne modificano significativamente il senso e l’epilogo. Ripropone  costantemente la sua nota dialettica amorosa che si regge su giochi di incomprensioni,  piccole bugie e candide aspettative, quasi sempre deluse, condite da dialoghi brillanti e situazioni teatrali.  Tuttavia, in questo caso, il meccanismo, al di là dell’eleganza formale, si avvita su sé stesso, in un gioco noioso e troppo virtuosistico, tra realismo ed enigma. Anche l’apparente composizione conclusiva del contrasto interno alla relazione, con Young-soo che si mostra pentito e dichiara a Minjung di non opporsi ai suoi abusi alcolici, mentre la donna, trionfante, si addolcisce, appare un espediente, conciliatorio e liberale,  troppo intellettualistico.

El hombre de las mil caras

"El hombre de las mil caras", Alberto Rodríguez

 

La Concha de Plata al miglior attore è stata attribuita a  Eduard Fernández, protagonista di El hombre de las mil caras, dello spagnolo Alberto Rodríguez, un thriller politico che ricostruisce uno degli scandali più turpi e controversi della democrazia spagnola negli ultimi 25 anni, traendo spunto dal libro inchiesta di Manuel Cerdán e mescolando documentazione di fatti veri e noti, credibile ambientazione d’epoca e brillanti atmosfere e soluzioni finzionali. Il caso è quello di Luis Roldán (Carlos Santos), ex Direttore Generale della Guardia Civil, implicato nella “guerra sporca” del GAL contro la ETA e destituito per corruzione nel 1993 dopo aver  sottratto  fondi statali per un valore di 1500 milioni di pesetas. Ma il vero protagonista del film è Francisco Paesa (Eduard Fernández perfettamente  nella parte), ex agente segreto del governo spagnolo, operatore finanziario fallito, trafficante di armi, ambasciatore a Ginevra dello statarello africano São Tome e Príncipe, doppiogiochista, abile, cinico e spericolato simulatore.

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L’uomo che, prima, nel 1994, ottenuta la sua fiducia, organizzò, con un piano rischioso, la fuga dalla Spagna e  la latitanza di Roldán  a Parigi per 10 mesi e poi lo vendette allo stato spagnolo, concordando la sua resa, con false garanzie, a Bangkok nel 1995. Lo stesso Paesa che successivamente scomparve, avendo sottratto a Roldán  il tesoro nascosto di fondi pubblici rubati e di mazzette incassate.  La narrazione è agile ed efficace,  intreccia con sicurezza i tanti fili e i colpi di scena della storia, non si perde in sterili compiacimenti o in eccessi emotivi e propone dialoghi taglienti e sarcastici, tra suspence trattenuta e sottile ironia. Rodríguez non mostra velleità di inchiesta critica e non vuole dare spazio a spunti oscuri o a riflessioni su quanto è tuttora indecifrabile, né cerca l’enfasi melodrammatica. In effetti non  manifesta lo spessore del cinema politico e civile di Elio Petri o di Damiano Damiani, né il senso di grandiosità di Martin Scorsese o la geniale vena pop e grottesca di Paolo Sorrentino o l’eccentricità graffiante di David O. Russell. Tuttavia intrattiene intelligentemente il pubblico, scegliendo una versione compiuta della vicenda, configurando incisivamente i personaggi principali e secondari, dirigendo al meglio il suo cast e costruendo ogni scena con accuratezza visiva. Ne deriva la storia di una grande ed elaborata truffa attuata da un  piccolo trafficante scaltro in uno scenario che è quello di ieri, ma che sembra la replica di tante vicende di oggi, di corruzione e di scandali nei meandri della politica e del sottobosco che tuttora prospera  a causa delle deficienze dello stato, in Spagna e in Italia rouge

 

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64. SAN SEBASTIAN INT. FILM FESTIVAL

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16 - 24 / 09 / 2016

San Sebastian International Fim Festival

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