C’era una volta la “Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro”, ideata e fondata nel 1965 da Lino Miccichè e da Bruno Torri. Il Festival italiano più coerentemente dedicato alla valorizzazione del cinema indipendente e dei nuovi linguaggi, che ha scoperto e promosso, negli anni ’60, ’70 e ’80, il nuovo cinema dei Paesi dell’Est europeo, il Cinema Nôvo brasiliano, il cinema asiatico, non solo cinese e giapponese, registi icone, dibattiti e incontri internazionali. E, ancora, diretto da Adriano Aprà negli anni ’90, con, solo per citarne alcune, la retrospettiva sul cinema indipendente americano, quella sul cinema del Kerala indiano e la retrospettiva dedicata alle forme cinematografiche sperimentali, e da Giovanni Spagnoletti, con le retrospettive dedicate a Messico, Argentina, Sud Corea, Giappone, Israele e Cile, all’animazione, al nuovo documentario e al cinema sperimentale italiano e con le nuove sezioni dedicate al video e al mediometraggio. E infine i suoi magnifici Eventi Speciali permanenti dedicati al cinema italiano, curati per vari lustri da Vito Zagarrio, con retrospettive complete di registi quali Marco Ferreri, Carlo Lizzani, Marco Bellocchio, Nanni Moretti, di generi e di generazioni e di attori, tra cui Vittorio Gassman.
Dal 2015 il nuovo Direttore Pedro Armocida, critico de “Il Giornale”, di “Film Tv” e di “Ciak”, ha promesso un rinnovamento di idee e programmi, ma soprattutto nell’edizione di quest’anno, svoltasi dal 2 al 9 luglio, è emerso il suo indirizzo mediatorio e opportunista, lontano dal “Nuovo Cinem”a che si vede ai Festivals di Rotterdam, Berlino, Oberhausen, Telluride, South by Southwest, Daejeon, PIA F. F. di Tokyo, ecc.
Il Concorso Lungometraggi e le Proiezioni Speciali, momenti marcanti del Festival, sono ormai di basso profilo e volti ad attirare il pubblico locale, la sera, nella “sala aperta”, con grande schermo, nella piazza principale di Pesaro. In gran parte hanno presentato film improntati ai “buoni sentimenti” e allo spirito didascalico e “popolare” e quasi sempre non vi è stato spazio per il dibattito con i registi. Nelle piccole sezioni collaterali dedicate a cortometraggi, video, video-essay (ri)montaggi e remix, super 8 e produzione audiovisiva italiana a bassissimo budget, nonostante lo spazio a giovani autori hanno prevalso uno sperimentalismo di corto respiro e spesso conformistico oppure la manipolazione intellettualistica, demagogica e contraddittoria. In particolare la minisezione "Lezioni di storia. Videoteppismi: storie e forme del video di lotta", curata da Federico Rossin ha presentato tre video degli anni ’70, di autori italiani, francesi e svizzeri, dedicati a lavoratori italiani emigrati a Berlino, femministe parigine radicali e giovani fans del rock, protagonisti della guerriglia urbana a Zurigo, manipolandone i contenuti per trarne tendenziose e strumentali lezioni apologetiche di teorie e comportamenti politici estremisti cancellati dalla storia.
La retrospettiva completa dei film del tunisino cinquantenne Tariq Teguia, un autore che mescola esistenzialismo piuttosto criptico e suggestioni politiche, ha proposto i suoi tre lungometraggi, realizzati finora, Rome rather than you (2006), Gabbla (2008) e Zanj Revolution (2013), che sono stati tutti già presentati ai Festival di Venezia e di Roma, e, nel 2014, in varie città italiane. L’unica eccezione positiva è stata la sezione retrospettiva Critofilm. Cinema che pensa il cinema, curata da Adriano Aprà, dedicata a documentari, cortometraggi e video-saggi su registi (Rossellini, Pasolini, Lang, Dryer, Welles, Godard, Glauber Rocha,Antonioni, Ferreri, Visconti, Stephen Dwoskin, Bellocchio) e linguaggi cinematografici, con opere di Jean-LucGodard, André S. Labarthe, Guy Maddin, Alain Bergala, Thom Andersen, Samuel Alarcón, Mario Canale, Stefano Incerti, Giulio Macchi, Gtanfranco Mingozzi, Pasquale Misuraca e altri.
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Tariq Teguia
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Il Concorso Internazionale “Pesaro Nuovo Cinema - Premio Lino Micciché” ha presentato 8 lungometraggi, opere prime o seconde, valutati da una Giuria di studenti di Università e Scuole di Cinema italiane. Il Premio al Miglior film, e anche il Premio del Pubblico, sono andati a Les ogres, della francese Léa Fehner, che, partendo da una dichiarata matrice autobiografica, sposa il cinema sensazionalista, come ad esempio i film di Susanne Bier e i due più recenti di Jacques Audiard: strumentalizza le situazioni raccontate e punta a suscitare facili “emozioni forti” nello spettatore. È il ritratto drammatico, concitato, “gridato” e pieno di clichés emotivi, di una piccola e povera compagnia itinerante di teatranti circensi, tra contrasti dolorosi, passioni laceranti, liti alcoliche furiose, mito artistico e scene madri di pentimenti e riconciliazioni. Sono state assegnate anche due Menzioni Speciali. La prima a Per un figlio, del cingalese, radicato in Italia, Suranga Deshapriya Katugampala, che propone la relazione tra una madre cingalese immigrata che lavora duramente come badante e un figlio sedicenne che finge di andare a scuola, è indifferente, opportunista e sgarbato. Un film ambientato nella provincia veneta, imbarazzante, molto falso, strumentale e del tutto artigianale nella messa in scena, nella scenografia e nella direzione e interpretazione degli attori. La seconda a David, del ceco Jan Tesitel.
Un dramma grossolano e ricattatorio su un adolescente con ritardo mentale che fugge da casa perché si sente poco amato e approda a Praga, dove precipita in un vortice infernale di soprusi e malversazioni violente. Pure da citare in negativo altri due film. The Ocean of Helena Lee, dell’americano Jim Akin, propone il ritratto estivo ben poco credibile di una dodicenne che vive a Venice Beach, a Los Angeles, e che si strugge ricordando la madre morta anni prima, tra dissolvenze e svariati finali retorici. A cidade onde envelheço, della brasiliana Marília Rocha, offre un doppio ritratto di due giovani donne portoghesi trasferite a Belo Horizonte in Brasile, con approccio bozzettistico, superficiale e pieno di clichés, a tratti grotteschi. Il solo film interessante è stato In the last day of the city, dell’egiziano Tamer El Said, acuto e poetico dramma esistenziale e affascinante mix di finzione e documentario, in cui un filmmaker trentenne, nel 2010, nei mesi precedenti la rivoluzione che determinò la caduta di Mubarak, vive contraddizioni personali e percepisce il disagio politico e sociale. |
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"Les Ogres" Léa Fehner
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Trailer |
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Hanno fatto eccezione due interessanti documentari, fuori concorso, di registi italiani: Frammento 53, di Federico Lodoli e Carlo Gabriele Tribbioli, dedicato alla guerra civile del 2003 – 2004 nello stato africano della Liberia, con efficaci interviste recenti a ex combattenti e reduci; Covered with the blood of Jesus, di Tommaso Cotronei, incisivo ritratto della popolazione che vive in Nigeria, nel territorio del delta del grande fiume Niger, devastato dallo sfruttamento dei giacimenti da parte delle compagnie petrolifere internazionali.
Il consueto Evento Speciale dedicato al cinema italiano, denominato “Romanzo popolare. Narrazione, pubblico e storie del cinema italiano degli anni Duemila” è stato costruito sul confronto tra film classici o scomodi degli anni ’50, ’60 e ’70 e opere di registi molto diversi, realizzate dal 1999 al 2015. Una rassegna, che ha compreso solo 13 lungometraggi, sostanzialmente raffazzonata e dettata dalla pretesa di ricercare un filone di “cinema popolare” che, secondo i curatori sarebbe positivo, senza valutare criticamente opere di grande qualità e film che strumentalizzano i contenuti per sostanziare una forte e ambigua finalità didascalica. Un progetto basato su assurdi confronti come quello tra I compagni (1963), di Mario Monicelli e Tutta la vita davanti (2008), di Paolo Virzì, o quello tra Terza liceo (1954), di Luciano Emmer e Come te nessuno mai (1999), di Gabriele Muccino
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