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pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 63. SAN SEBASTIAN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL I DI GIOVANNI OTTONE I 2015

FESTIVAL DI SAN SEBASTIAN 2015

Famiglie e generazioni in crisi

Molte anteprime europee e mondiali di film d’autore della prossima stagione e alcune opere prime di talento. Vince “Sparrows” dell’islandese Rúnar Rúnarsson

 

DI GIOVANNI OTTONE

"Evolution" Lucile Hadzihalilovic

Evolution Lucile Hadzihalilovic

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"San Sebastian 63", svoltosi dal 18 al 26 settembre, ha proposto una “Sezione Ufficiale” competitiva, comprendente 22 lungometraggi, di cui 4  fuori concorso e 9 prime mondiali. Ma ben 12 tra questi film sono stati presentati anteriormente al recente Festival di Toronto e, circostanza significativa che deve far riflettere, tra le opere selezionate 8 sono produzioni spagnole e 2 sono di autori latinoamericani, ma coprodotte da imprese spagnole. L’opening film del Festival, in prima mondiale, Regression, dello spagnolo Alejandro Amenábar, è un thriller psicologico, con decisivi accenti horror, ambientato nel 1990 in una cittadina del Minnesota, nella provincia rurale americana. Un detective della polizia locale abile e infaticabile, impersonato da Ethan Hawke, indaga sul caso di una diciassettenne che afferma di essere stata vittima di abusi sessuali. Poco a poco sembra emergere una sinistra cospirazione, con riti satanici, che ha coinvolto tutta la famiglia  della giovane. È un oscuro film di terrore, ben costruito attraverso espedienti scenici e trucchi speciali. Riesce a distinguersi da analoghe produzioni di genere di Hollywood perché punta a rappresentare gli effetti della presenza di credenze religiose e demoniache manichee sulle menti degli abitanti di un’intera comunità. Inoltre propone  un epilogo malinconico, inaspettato, in contrasto con il climax raggiunto nel corso della narrazione. Si notano i riferimenti a notissime opere degli anni '60 e '70, quali ad esempio The omen, L'esorcistaRosemary's Baby e The changeling. Da segnalare le locations eccentriche e sinistre e la felice combinazione di piani secchi e piani sequenza. Il film di chiusura, London Road, opera seconda del britannico Rufus Norris, è tratto dall’omonima opera teatrale musical di successo, prodotta nel 2011 dal National Theatre di Londra. Riguarda il caso dello “strangolatore del Suffolk”, autore  di efferati omicidi di cinque prostitute di strada che  operavano a Ipswich, una tranquilla cittadina inglese. I protagonisti, lavoratori e pensionati, sono i residenti di London Road, epicentro della vicenda. Le testimonianze alla polizia, e le conversazioni tra loro sul da farsi, diventano  melodie e intermezzi musicali, mentre si svolgono le indagini fino al processo finale al colpevole e in seguito, quando tutti insieme riescono a migliorare il luogo dove vivono. Un film atipico, abbastanza gradevole, che alterna snodi drammatici e sensibilità poetica e si regge su sapienti coreografie e sulle virtuose interpretazioni di un cast  molto affiatato di noti attori inglesi.

Citiamo quindi alcuni film significativi presentati in concorso e fuori concorso.

Guibord s'en va-t-en guerre

"Freehold" Peter Sollet

 

Il convincente Freehold, dell’americano Peter Sollett, interpretato da Julianne Moore ed Ellen Page e ispirato a fatti veri, racconta, con  misura ed empatia, una storia d'amore al femminile e, al tempo stesso, una coraggiosa e drammatica battaglia per affermare il diritto all'uguaglianza in sede civile e sociale per le coppie lesbiche e omosessuali. High-Rise, del britannico Ben Wheatley, con Tom Hiddleston, Jeremy Irons e Sienna Miller, adatta l’omonimo romanzo del 1975 di J. G. Ballard, proponendo, con creatività satirica surreale e toni futuristici - barocchi, una comunità distopica di eccentrici residenti in un grattacielo avvenieristico che giungono alla tragedia, tra grottesca anarchia e violenza per bande, quando i loro conflitti e le differenze di classe si esacerbano. Les démons, del canadese Philippe Lesage, offre il complesso ritratto esistenziale di una tranquilla comunità borghese in una zona residenziale di Montreal, osservata attraverso gli occhi di un ragazzino di dieci anni che, durante l’estate, si misura con la crisi del rapporto tra i suoi genitori e  le prime  problematiche sessuali, ma scopre anche devianze inconsuete e drammatiche.

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Un film interessante, ma squilibrato, incerto tra nitida rappresentazione di disarmanti contraddizioni e tentazioni sensazionaliste. Sunset  Song, del britannico Terence Davies, con Peter Mullan e Agyness Deyn, adatta l’omonimo romanzo del 1932 di Lewis Grassic Gibbon, descrivendo con toni pittorici, ma senza grande incisività, la drammatica maturazione di una giovane, cresciuta in una famiglia di modesti agricoltori scozzesi, prima vittima di un padre padrone e poi vedova quando suo marito è fucilato per diserzione in Francia durante la Prima Guerra Mondiale. Mi gran noche, del regista spagnolo Alex de la Iglesia, è una  commedia farsesca e drammatica, tanto paradossale ed eccessiva quanto efficace nel rappresentare tratti della subcultura diffusa e nel mettere ferocemente alla berlina il mondo della televisione e gli special celebrativi del Capodanno, procedendo con un timing irresistibile e con spunti di felice creatività satirica e di grottesca bizzarria. Credibile nella descrizione ambientale e dei personaggi, Moira, del regista georgiano Levan Tutberidze, ambientato in una cittadina sulla costa del Mar Nero, è un dramma  esistenziale in cui il protagonista trentenne, uscito dal carcere, cerca di tenere unita la propria famiglia che versa in gravi difficoltà economiche, resistendo alle tentazioni di guadagno attraverso legami con loschi traffici criminali. Lejos del mar, del basco Imanol Uribe, è un dramma, ambientato nel sud della Spagna. Narra il casuale incontro e la impossibile relazione tra una dottoressa trentenne, figlia di un poliziotto assassinato a San Sebastian quando lei aveva 8 anni, e l’autore dell’omicidio, militante dell’ETA, uscito dal carcere dopo 25 anni di reclusione. Una storia di controversa “memoria condivisa” sottoposta al linciaggio dell’opinione pubblica, con tragiche conseguenze. Un film non privo di episodi artificiosi e di cadute, ma, che, perlomeno, evita la facile retorica e mostra un certo coraggio e una chiarezza di intenti su come affrontare le conseguenze della violenza in un contesto preciso e, soprattutto, evidenzia la convincente interpretazione dei due attori protagonisti, Eduard Fernández e Elena Anaya. Un dia perfecto para volar, del catalano Marc Recha, coniuga approccio documentaristico e traiettoria esistenziale per raccontare una vicenda intima di relazione padre - figlio bambino. Tuttavia pur riconoscendo la coerenza stilistica dell’autore  rispetto a opere precedenti con lo stesso taglio osservazionale dei personaggi e del paesaggio, fattore essenziale, e con valenze poetiche, il film è francamente un cortometraggio gonfiato, con non pochi compiacimenti narcisistici e con una sostanza narrativa tenue, banale e prolissa, non salvata da un espediente “sorprendente” che ne apre l’epilogo. Amama, del basco Asier Altuna, è un dramma familiare che mette a fuoco, con molta retorica e con  eccessivi e ripetuti simbolismi visivi, le contraddizioni di una famiglia patriarcale di coltivatori e allevatori di bestiame che vive in montagna. Purtroppo, nonostante un impianto narrativo dignitoso, il regista  descrive il contrasto tra tradizioni ancestrali e ruoli familiari imposti, difesi strenuamente, con ardore moralistico, dal padre e pulsioni e azioni innovative portate dai figli, in termini troppo stereotipati e configura un ambiguo happy end.

Al contrario non sono mancati film molto negativi. Ne citiamo un paio,  considerandone in seguito altri, pure decisamente mediocri, inseriti nel Palmarès. Eva no duerme, dell’argentino Pablo Agüero, è un film low budget, girato in un’unica location, con ambientazione prevalentemente notturna. Si tratta di un’opera che  contribuisce acriticamente al “mito” di Evita Perón, la consorte del dittatore, morta di cancro a 33 anni nel 1952, famosa per i suoi  comizi ultranazionalisti e populisti che infiammavano i descamisados. Ma è ben noto che era una parvenu, amante del lusso e del potere e complice attiva del corporativismo fascista instaurato da Juan Perón. Una donna divenuta un’icona per generazioni di peronisti argentini che, fino ad oggi, ne proclamano un presunto e fantasioso progressismo sociale e si dicono evitistas. Un film gonfio di retorica, che mescola footage d’epoca e ricostruzione teatrale, con personaggi stereotipati. Propone tre episodi reali avvenuti dopo la morte di Evita, che riguardano il destino del suo corpo: l’imbalsamazione del cadavere; il suo trafugamento clandestino, nel 1955; il successivo tentativo di impossessarsene, nel 1972. 

 

Right Now, Wron Then Hong Sang Soo

"Eva no duerme" Pablo Agüero

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E quindi gli intrighi e le tragiche azioni  messe in atto da parte di fazioni di militari golpisti che volevano farlo sparire per spegnerne il mito e di militanti e guerriglieri peronisti che invece volevano recuperarlo per utilizzarlo come simbolo politico. Una messa in scena magniloquente che punta sul manierismo e sul naturalismo truculento e, soprattutto, un’operazione grottesca e penosa per sostenere e perpetuare la più mistificante e delirante subcultura politica argentina. Per non parlare della bizzarria di un cast in cui i principali protagonisti sono attori non argentini: Gael García Bernal, Denis Lavant e Imanol Arias.

Xiang bei fang (Back to the North), del cinese  Liu Hao è un dramma familiare molto convenzionale, prolisso e poco incisivo. Racconta la vicenda di una famiglia proletaria in cui i due coniugi mantengono un’unione di facciata: in effetti il marito, che lavora in un’altra città, da tempo si è costruito un nuovo legame. L’unica figlia della coppia, operaia tessile ventenne piena di sogni, scopre di essere affetta da un’aritmia cardiaca ad esito infausto. Quindi si impegna perché i genitori accettino di concepire un altro figlio che li possa sostenere quando lei sarà scomparsa. Non sono sufficienti locations parzialmente realistiche, un nitido bianco nero e una fotografia di pregio per  supportare un film poco credibile nelle svolte drammatiche e nella caratterizzazione dei personaggi, mal recitato e, in fondo, concepito secondo i canoni didascalici più graditi al regime cinese.

Guibord s'en va-t-en guerre

"Sparrows" Runar Runarsson

 

La Concha de Oro al miglior film è stata attribuita a Sparrows, opera seconda dell’islandese Rúnar Rúnarsson. Un’opera in cui le difficili relazioni tra i personaggi,  le problematiche  del lavoro in un’area depressa e la frustrazione disperata che contrassegna gli svaghi del tempo libero sono descritte con buona scansione drammatica. E soprattutto un convincente e onesto coming of age film in cui un sedicenne, timido e sensibile, che vive a Reykjavik, è costretto a tornare a stabilirsi in un remoto paesino nell’area nord-occidentale dell’isola, dopo che sua madre decide di seguire il nuovo marito inviato in Africa per lavoro. Ari deve fare i conti con suo padre, un uomo impoverito,  alcolista, debole, irresponsabile e incupito, il quale non sa come comunicare con quel figlio ritrovato. Trova conforto nell’amore della vecchia nonna e cerca di conquistare l’affetto e l’amore di una vecchia amica d’infanzia, fidanzata con un coetaneo rozzo e violento.

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Il Premio Speciale della Giuria è stato assegnato a Evolution, della francese Lucile Hadžihalilovi?. Allo stesso film è andato il Premio alla miglior fotografia per il lavoro di Manu Dacosse. Un dramma - thriller  distopico, ambientato in una remota isola dove esiste una comunità spartana di sole donne e bambini. Questi ultimi sono sottoposti a misteriosi trattamenti  farmacologici. Poi Nicolas, di dieci anni, scopre una nefasta macchinazione delirante. Non bastano una raffinata gradazione di immagini, piani e contrasti di luce e un’ambientazione suggestiva per  dare sostanza a un progetto non certo innovativo,  confuso e pretenzioso, tra fantasia surreale, astruse allegorie e motivi pseudo horror. 

 

Evolution Lucile Hadzihalilovic

"Evolution" Lucile Hadzihalilovic

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Les Chevaliers Blancs Joachim Lafosse

"Les Chevaliers Blancs" Joachim Lafosse

 

La Concha de Plata al miglior regista è andata al belga Joachim Lafosse, regista di Les Chevaliers Blancs. Un dramma ambiguo e irrisolto, con protagonista Vincent Lindon, che racconta l’esperienza di una ONG che opera nel  Ciad  con la motivazione di salvare 300 orfani con età inferiore a cinque anni, promettendo di nutrirli ed educarli fino alla maggiore età, ma in realtà si propone di farli espatriare e adottare da decine di famiglie francesi che hanno pagato per “il servizio”. Un’opera che, pur affrontando il tema scottante della irresponsabile disorganizzazione e, spesso, della strumentalità truffaldina di molte ONG che operano in Africa, risulta poco credibile e  mostra interpreti poco convincenti.

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La Concha de Plata al miglior attore è stata attribuita  congiuntamente a Ricardo Darin e a Javier Cámara, protagonisti ben scelti, quantunque spesso auto compiaciuti, di Truman, del catalano Cesc Gay. Un dramma di stampo televisivo, abbastanza gradevole, ma ricco di clichés, che racconta  l’incontro tra due vecchi amici: uno è tornato  per pochi giorni a Madrid dal Canada per sostenere l’altro, noto attore in declino a cui è stato diagnosticato un cancro in stato avanzato. Il film evita il sensazionalismo, ma cade nel chiacchiericcio manierista e nell’opaca deriva sentimentale. La Concha de Plata alla miglior attrice è stata assegnata a Yordanka Ariosa, co-protagonista di El rey de La Habana, del catalano Augustí Villaronga. Un dramma costumbrista ambientato a La Habana negli anni ’90, nel periodo di maggior penuria economica dopo  la cessazione degli aiuti da parte dei russi. Un film bozzettistico che  insiste sui luoghi comuni dei poveri che vivono di espedienti, tra bugie, illusioni, tanto sesso ed episodi grotteschi. Un’opera obiettivamente mediocre, nonostante la verve degli attori protagonisti che, peraltro, non sono diretti in modo efficace e spesso recitano sopra le righe. Il Premio della Giuria alla miglior sceneggiatura è andato ai fratelli francesi Arnaud e a Jean-Marie Larrieu  che hanno scritto e diretto 21 nuits avec Pattie. Una commedia noiosa, con una narrazione disordinata, e pseudo sorprendente, frutto di una sceneggiatura francamente sgangherata e pretenziosa. Racconta i “dubbi” esistenziali di una trentenne, interpretata dall’insipida Isabelle Carré, che si reca in un casale elegante, in un paesino sui Pirenei, per organizzare i funerali di sua madre, ricca bohémienne libertina, morta improvvisamente, che non vedeva da anni. In breve resta intrappolata per giorni e notti, coinvolta nei rituali dei bizzarri abitanti, amici della defunta, tra foreste suggestive, falsi misteri, fantasie sessuali, accoppiamenti bucolici e spaesamenti tra immaginazione e realtà. Nonostante la presenza di validi interpreti, come André Dussolier e Karim Viard, il timing comico è fallimentare e le velleità surreali e poetiche sono stucchevoli.

Una Menzione Speciale della Giuria è stata attribuita a El apóstata, terzo film dell’uruguayano Federico Veiroj. Allo stesso film è stato assegnato il Premio al miglior film attribuito dalla Giuria internazionale dei critici della FIPRESCI. Vorrebbe essere un’opera emblematica e si colloca a metà strada tra la commedia minimalista, con riferimenti cercati al cinema di Nanni Moretti, e la malcelata volontà di imitare, senza riuscirci, il genio surrealista di Luis Buñuel o le provocazioni di Marco Ferreri. La vicenda, ambientata in Spagna, vede quale protagonista un  trentenne borghese, pigro e sognatore, interpretato dall’incerto debuttante Álvaro Ogalla. Il giovane, laureando in filosofia, si propone di ottenere il certificato di apostasia dalla fede cattolica che gli è stata imposta dalla nascita e che considera un peso insopportabile. Quindi si scontra con l’astuta e bizantina macchina burocratica della Chiesa, appoggiata da  una norma molto discutibile della legge statale vigente, che vanifica il suo tentativo di essere cancellato ufficialmente dagli elenchi dei credenti battezzati.

 

El Apostata Federico Veiroj

"El Apostata" Federico Veiroj

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Al tempo stesso Tamayo colloca la sua battaglia nel quadro di una rottura dei legami con la famiglia tradizionalista e moralista. Purtroppo è un film troppo calcolato, non fa emergere né un netto coté dark e radicale, né un’efficace comicità corrosiva o veri spunti poetici e rivela un rozzo sub testo di denuncia didascalica. L’ironia si spegne in una narrazione bozzettistica, con cadute boccaccesche, negli episodi scontati con implicazioni sessuali, e quindi non ci si emoziona mai e ci si diverte poco. Ne risulta un compitino presuntuoso, infarcito di citazioni cinefile e appesantito da un’assurda overdose di musica da camera e di motivetti che  ricordano le colonne sonore di famosi melodrammi degli anni ’30 e ’40.

Le nouveau Rudi Rosenberg

"Le nouveau" Rudi Rosenberg

 

La sezione competitiva “Nuevos Directores” ha presentato 14 lungometraggi, tutti opere prime o seconde, di cui  circa la metà in anteprima mondiale. Il Premio al miglior film é stato attribuito a Le nouveau, opera prima scritta e diretta dal francese Rudi Rosenberg. Si tratta di un piccolo gioiello, una commedia semplice e al tempo stesso ben articolata, molto esilarante e ricca di sfumature originali. Racconta le vicende di Benoît, un tredicenne abbastanza timido la cui famiglia  di ceto medio si è trasferita a Parigi dalla provincia. Nella nuova scuola il ragazzino si sente isolato e subisce scherzi e piccole angherie da parte dei compagni “di buona famiglia”. Poi riesce a simpatizzare con altri compagni, anch’essi poco “popolari”. Ma nel corso dell’anno le relazioni nella classe si complicano. A partire da un’ottima sceneggiatura, il film offre un ritratto empatico, ma soprattutto sorprendentemente verosimile dei comportamenti di una generazione all’inizio dell’adolescenza, tra insicurezze, momenti di felicità, grandi delusioni e piccoli tradimenti meschini.

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Un’opera fresca e sensibile, con una vis comica intelligente e mai banale. Rosenberg reinventa alcuni archetipi, evita attentamente sia lo sterile bozzettismo sia qualsiasi deriva sentimentale, psicologica o didascalica e propone un gruppo di straordinari piccoli interpreti che si esprimono con magnifici dialoghi e che vivono  problematiche reali con un approccio naturalmente convincente.

Le Menzioni Speciali sono state attribuite ai seguenti due film. Drifters, opera prima scritta e diretta dallo svedese Peter Grönlund, è un dramma esistenziale duro e realistico, con un ritmo angosciante scandito da un’eccellente colonna sonora. Racconta la disperata peregrinazione di Minna, una trentenne marginale, tossicodipendente e dedita allo spaccio di stupefacenti per tirare avanti. Dopo essere stata sfrattata per morosità,  riesce a truffare alcuni spacciatori e fugge con il denaro ottenuto, inseguita dalla gang e perseguitata dalla polizia che  pretende informazioni. Quindi incontra casualmente Katja, una ex infermiera passata attraverso vari  traumi e separata, a cui i servizi sociali minacciano di vietare le visite ai figli. Nel giro di pochi giorni le due donne si trovano a condividere una roulotte, ma non si fidano l’una dell’altra e i loro problemi le travolgono. Il contesto ambientale e sociale risulta credibile, la costruzione drammatica evita il sensazionalismo ricattatorio verso lo spettatore e tutti gli interpreti recitano al meglio.

La vida sexual de las plantas, opera seconda scritta e diretta dal cileno Sebastián Brahm, è un dramma di coppia costruito sulla dicotomia tra amore romantico e scelta razionale. Racconta la relazione tra Bárbara e Guillermo, due trentenni borghesi. Un amore che entra in crisi dopo che una caduta accidentale con trauma cranico in montagna porta  l’uomo a una condizione di regressione mentale, tra fobie e  incapacità a lavorare. La donna incontra un nuovo compagno, Nils, imprenditore affidabile che le chiede un impegno serio, ma agisce in modo contraddittorio. Brahm opta per un approccio osservazionale, ma si perde in una sterile deriva psicologista e non è supportato dalla sua attrice protagonista, Francisca Lewin, incapace di dare vera sostanza al miscuglio di sofferenza, immaturità, cinismo e disonestà che caratterizza il suo personaggio. Ne risulta un film interessante, ma troppo costruito a tesi, intimista e freddo al tempo stesso, che si avvita su sé stesso. Citiamo anche altri due lungometraggi meritevoli in questa sezione.

 

Vida sexual de la plantas" Sebastian Brahm

"Vida sexual de la plantas" Sebastian Brahm

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Barash, opera prima dell’israeliana Michal Vinik, è un coming-of-age film che mescola aspetti drammatici e spunti farseschi. Propone il ritratto abbastanza realistico di Naama Barash, una diciassettenne che, per distanziarsi dalla routine familiare piccolo borghese che comprende anche continue liti tra i genitori, cerca di affermare la sua identità non disegnando alcool e droghe e compiendo fughe notturne nei locali di Tel Aviv. Finché un giorno si lascia coinvolgere in un’intensa relazione con Hershko, una nuova compagna di scuola anticonformista, ribelle e ostentatamente lesbica, e se ne innamora. Pur non mancando gli stereotipi, la descrizione ambientale e la rappresentazione dei comportamenti, dell’alienazione e della fragilità giovanili risultano suggestivi e abbastanza credibili. Stay with me, opera prima scritta e diretta dal coreano Rhee Jin-woo, è un dramma, ricco di sfaccettature, che. pone a confronto giovani con appartenenza di classe sociale molto diversa. Leeseop, quattordicenne borghese timido e condizionato da un padre che lo controlla minuziosamente, fatica ad ambientarsi nella nuova scuola di Seoul. Attratto da Hayun, una compagna indifferente alla disciplina scolastica, scopre che la ragazza appartiene a una banda di adolescenti disadattati e con famiglie allo sbando, mal controllati dai servizi sociali. Si unisce a loro e accetta di commettere furti e truffe. Un film convincente sia nella caratterizzazione dei personaggi e della dialettica sociale sia nei suoi risvolti di dolente romanticismo.

Paulina Santiago Mitre

"Paulina" Santiago Mitre

 

La sezione “Horizontes Latinos”, dedicata al cinema latino-americamo, ha presentato 14 lungometraggi, in larga parte già compresi nelle sezioni dei Festival di quest’anno di Cannes, di Berlino, di Rotterdam, di Locarno e di Venezia. Il Premio Horizontes al miglior film è stato assegnato a Paulina, scritto e diretto dall’argentino Santiago Mitre. Un eccellente ritratto femminile e una lucida disanima del contesto di classe in Argentina. La ventenne Paulina è avvocato con prospettive di carriera a Buenos Aires. Idealista  convinta, sceglie invece di dedicarsi a un progetto di inclusione sociale nella provincia di Misiones, ai confini con il Paraguay. Inizia a insegnare a giovani sedicenni, piuttosto disinteressati, in una borgata proletaria. Ma una notte avviene un fatto gravissimo che le imporrà una scelta lacerante. Un dramma articolato ed emozionante che evita del tutto la demagogia e la manipolazione.

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Sono state attribuite anche due Menzioni Speciali. La prima è andata a Luis Silva, convincente interprete al debutto, co-protagonista di Desde allá, opera prima scritta e diretta dal venezuelano Lorenzo Vigas. Il film ha conquistato il Leone d’Oro alla recente Mostra di Venezia. Un eccellente dramma esistenziale, ricco di sfumature e stratificazioni, con al centro il tema della paternità. La vicenda, ambientata a Caracas, riguarda un cinquantenne benestante, impersonato dal grande attore cileno Alfredo Castro, che adesca in strada i ragazzi  proletari e li paga perché si spoglino, ma non vuole  contatti fisici. Un giorno conosce un diciassettenne. Tra loro nasce una relazione controversa in cui i sentimenti portano a tragiche conseguenze. Un film asciutto, con un approccio osservazionale raffinato e con una perfetta scansione drammatica. Ma anche un’opera realistica che descrive con acutezza, e senza retorica, la  differenziazione di classe e le contraddizioni culturali del Paese. La seconda è andata a Te prometo anarquía, del guatemalteco Julio Hernández Cordón. Si tratta di un dramma stereotipato e grossolano, ambientato a Ciudad de Mexico. Racconta la vicenda di due diciottenni, amici d’infanzia: uno di famiglia molto ricca e l’altro proletario, figlio della domestica di casa. Trascorrono il tempo  scorazzando con i loro skate boards, bighellonando, usando droghe e frequentando feste e parties. Legati da una profonda amicizia  che sconfina nel sesso,  organizzano un traffico di vendita di sangue, dopo aver arruolato amici e poveracci, per fare soldi e spassarsela. Fino a quando   combinano un affare con una gang di narcotraficantes, con esiti tragici. Nonostante qualche squarcio documentaristico interessante sui recessi oscuri della metropoli, il film è abborracciato e grottesco, soprattutto nel momento drammatico clou. In aggiunta i due protagonisti non attori recitano sopra le righe con esiti del tutto mediocri, non essendo affatto guidati e diretti.
La sezione “Perlas” ha invece compreso film già presentati quest’anno nelle principali sezioni dei Festival di Berlino, Cannes, Venezia e Sundance. Tra gli altri citiamo: The Assassin; Mia madre; Black Mass; Irrational Man; Me and Earl and the Dying Girl; Son of Saul; Mountains May Depart; Taxi Teheran; Our Little Sister.
Da segnalare infine l’eccellente ampia Retrospettiva dedicata al “New Japanese Indendent Cinema” che ha proposto 35 lungometraggi realizzati tra il 2001 e il 2014. Un ciclo che ha  presentato opere di qualità autoriale, alcune delle quali già apprezzate ai Festival di Rotterdam, Berlino e Cannes. Si tratta in maggioranza di drammi esistenziali, con originali costruzioni narrative, che offrono uno spaccato delle problematiche più attuali in un Paese, il Giappone, in cui si scontrano tradizioni e nuova ricerca di identità. Ne emergono storie che non sono mai banali, con al centro contraddizioni  a livello familiare e giovanile o i temi del sesso, dell’appartenenza a sette politiche e della discriminazione di chi non è conformista.  Citiamo alcuni dei registi più significativi, con i loro film presenti nella rassegna: Kazuyoshi Kumakiri (Hole in the Sky, del 2001); Sninya Tsukamoto (A Snake of June, del 2002); Kiyoshi Kurosawa (Bright Future, del 2003); Ryuichi Hiroki (Vibrator, del 2003); Izumi Takahashi (The Soup, One Morning, del 2005); Masahiro Kobayashi (Bashing, del 2005); Hiromasa Hirosue (Fourteen, del 2007); Sion Sono (Love Exposure, del 2008); Ryusuke Hamaguchi (Passion, del 2008); Nobuteru Uchida (Love Addition, del 2010); Takahisa Zeze (Heaven’s Story, del 2010); Yuya Ishii (Sawako Decides, del 2010); Atsushi Funahasi (Cold Bloom, del 2012); Tetsuichiro Tsuta (The Tale of Iya, del 2013); Sabu (Miss Zombie, del 2013); Mipo Oh (The Light Shines Only There, del 2014) rouge

 

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63. SAN SEBASTIAN INT. FILM FESTIVAL

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18 - 26 / 09 / 2015

San Sebastian International Fim Festival

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