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pxrouge FESTIVAL REVIEWS I ROTTERDAM FILM FESTIVAL 2015 I DI GIOVANNI OTTONE I 2015

ROTTERDAM FILM FESTIVAL 2015

I nuovissimi film indipendenti

 

La più importante rassegna mondiale di cinema d’autore indipendente

 

Di GIOVANNI OTTONE

"La obra del siglo", Carlos Machado Quintela

La obra del siglo

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L’International Film Festival Rotterdam (IFFR), svoltosi dal 21 gennaio al 1 febbraio, è la più importante rassegna mondiale di cinema d’autore indipendente. I tre Premi ex aequo al miglior film lungometraggio, Hivos Tiger Awards, sono stati assegnati a: "La obra del siglo", opera seconda del cubano Carlos Machado Quintela, un interessante dramma che pone a confronto nonno, padre e figlio, obbligati dalle penurie a vivere insieme, tra ricordi e speranze disilluse in un regime in crisi; "Videofilia (y otros sindromes virales)", opera prima del peruviano Juan Daniel F. Molero, un film che riecheggia videoclip e video art, coloratissimo e sgangherato, una non love story giovanile nella Lima di oggi, tra sesso anarchico e internet; "Vanishing Point", opera seconda del thailandese Jakrawal Nilthamrong, un dramma-thriller, molto atipico e intrigante, che racconta l’itinerario esistenziale e reciproco di due uomini, tra ricerca e dolore, combinando raffinate immagini e motivi sonori e musicali. In concorso anche due convincenti film argentini.

La mujer de los perros

"Le mujer de los perros", Laura Citarella and Verónica Llinás

 

"La mujer de los perros", opera prima di Laura Citarella and Verónica Llinás, offre il ritratto minimalista di una quarantenne che, insieme a una decina di cani randagi, conduce un’esistenza autarchica in un capanno in un bosco al limiti di una borgata sottoproletaria alla periferia di Buenos Aires. Un’opera affascinante, quasi priva di dialoghi, che rievoca l’estetica e le motivazioni dei primi film di Lisandro Alonso. "Parabellum", opera prima di Lukas Valenta Rinner, nato in Austria e radicato in Argentina dal 2007, racconta una storia anticonvenzionale e inquietante. Un gruppo di individui di varia età del ceto medio avvilito di Buenos Aires si prepara per la presunta fine del mondo. Si trasferiscono in un resort nella foresta del delta del Tigre e si sottopongono ad un addestramento militare curato da una misteriosa organizzazione che, poco a poco, li trasforma in spietati e cinici guerrieri. Una metafora costruita con uno stile che riecheggia Michael Haneke.

Tra i nuovi film, molti in anteprima europea o mondiale, presenti nelle varie sezioni, ne citiamo alcuni più significativi. "Self-portrat of a Dutiful Daughter", opera prima della romena Ana Lungu, offre il convincente ritratto di Cristiana, una trentenne studentessa di un master universitario. La giovane appartiene alla classe media e si trova a vivere sola nel grande appartamento borghese di famiglia dopo che i genitori si sono trasferiti in una residenza in campagna. Inizia ad invitare in casa vari amici, a vivere con grande libertà e stabilisce una liason con un uomo sposato. Inevitabili le discussioni con suo padre, pur condiscendente, che le rende visita periodicamente. Un film fresco, giocato con fine ironia, che rappresenta pregi e difetti di una generazione. In un tentativo di approssimarsi alla propria autobiografia la regista ha scelto i propri stessi genitori non attori per farne gli interpreti dei genitori della protagonista.

 

Self-portrait of a Dutiful Daughter

"Self-portrait of a Dutiful Daughter", Ana Lungu

"Prometo um dia deixar essa cidade", opera seconda del brasiliano Daniel Aragão, è un eccellente dramma urbano costruito come una tragedia greca. La vicenda si svolge a Recife, la grande capitale dello stato di Pernambuco, nel Nordeste del Paese, una città con una borghesia ben poco aperta, storicamente erede del denaro dei latifondi, che ha investito massicciamente nelle proprietà immobiliari speculative. La protagonista è la trentenne Joli Dornelles, unica figlia di un potente uomo politico corrotto, ma moralista. Una donna con un passato di dipendenza dalla droga. In questo thriller psicologico non ortodosso, che fotografa con molto acume la dialettica sociale brasiliana, Joli si trova ad essere manipolata dal padre e dal marito e reagisce in forma inaspettata. Una regia molto matura, tra realismo e  distorsioni surreali, con un’ardita combinazione di piani, immagini e musica. "O touro", opera prima della brasiliana Larissa Figueiredo, è un interessante ibrido: un documentario con elementi finzionali. Il film è ambientato nella suggestiva regione costiera atlantica Isla dos Lençois, nello stato del Maranhão, nel Nordeste, dove  un deserto di dune di sabbia bianca, con scarsissimi arbusti si estende nell’entroterra per vari chilometri. Una giovane portoghese si confronta con le leggende e il folklore della popolazione locale che crede che in quei luoghi si aggiri il fantasma del famoso Re portoghese Dom Sebastião I, sconfitto dai musulmani nel 1578 nella storica battaglia ad Alcazarquivir in Marocco, il cui corpo non fu mai ritrovato. "Me quedo contigo", opera prima del messicano Artemio Narro, racconta una storia molto provocatoria. Il film inizia come una commedia senza pretese che descrive un week end di vacanza in provincia di tre ventenni di Ciudad de Mexico, rampolle della ricchissima borghesia, accompagnate da un’amica spagnola appena arrivata dall’Europa. Una notte il quartetto esce e fa il giro di night-clubs e discoteche. Poi approda in un bar e adocchia un uomo che, spinto dalla sua sicurezza machista, cerca di conquistare una di loro. Ma, dopo una breve schermaglia, le donne lo attirano nella loro auto, lo colpiscono al capo facendolo svenire e riescono ad ammanettarlo. Lo trasportano nel loro appartamento e lo legano. Poi  lo sottopongono per ore a terribili sevizie e torture a sfondo sessuale. Il film è una chiara metafora che documenta come i metodi violenti e disumani adottati dai narcos messicani abbiano ormai condizionato anche la borghesia che, certa dell’impunità, li imita senza ritegno.

God loves the fighter

"God loves the fighter", Damian Marcano

 

"God loves the fighter", opera prima di Damian Marcano, caribico di Trinidad e Tobago, è un thriller con un’eccellente ambientazione. Girato a Porto of Spain, descrive con crudo realismo il mix di marginalizzazione sociale, traffici illegali e violenza diffusa presente in questa città portuale con una maggioranza di negri e meticci. Le storie intrecciate di vari individui si aggregano fino al nodo dell’incontro tra due fuggitivi: una giovane prostituta che vuole proteggere una bambina destinata allo sfruttamento e un trentenne che vuole smettere di essere manovale del crimine. Il film, privo di retorica, ricorda temi e atmosfere del brasiliano "Cidade de Deus" (2002). Ma è un’opera originale, costruita con uno stile moderno ricco di angolazioni impreviste e accelerazioni, che sa dosare ricostruzioni autentiche di tranches de vie, suspence e ambiguo romanticismo. Da segnalare gli accattivanti dialoghi in broken English e la figura di un vecchio narratore delle varie vicende, una figura omerica o di affabulatore africano, che compare e scompare nel film.

"Valedictorian", opera prima dello statunitense Matthew Yeager, è un dramma esistenziale minimalistico ambientato in inverno a Brooklyn. Ben, quasi trentenne, è un tipico “hipster”: lavora in una società finanziaria, frequenta parties alla moda downtown a New York, suona in una rock band amatoriale e vive in un elegante appartamento con una fidanzata bella e brillante. Poi lentamente, senza precipitazioni convulse, né contorsioni psicologiche, si lascia andare, congedandosi da una routine che gli appare senza senso: abbandona il lavoro, rompe con la fidanzata, vende i suoi gadgets più costosi, non risponde più al telefono e inizia a vagare per le strade del quartiere. Non precipita nella droga, non si chiude del tutto agli altri, ma affronta la vita con lentezza. Un piccolo film molto indie, ricco di sfumature, irrisolto, privo di inutili enfatizzazioni e carico di emozioni soffuse. Il ritratto del vuoto in un individuo della cosiddetta “Generation Y”, i giovani nati nell’era post-ideologica. "The monk", opera prima del birmano The Maw Naing, è un sorprendente piccolo capolavoro poetico. È ambientato in un piccolo monastero buddhista presso un remoto villaggio nelle campagne della Birmania (Myanmar). Al centro della vicenda vi è un novizio adolescente che deve scegliere se rimanere a servire e accudire il vecchio, austero e testardo Lama, affetto da una grave malattia o  intraprendere una nuova vita a Rangoon senza rinunciare alle suggestioni terrene. Un’opera ricca di delicata sensibilità e di atmosfere, con una meticolosa costruzione delle immagini e un ritmo narrativo inusuale che evoca la tranquilla spiritualità buddhista.

A corner of Heaven

"A corner of Heaven", Zhang Miaoyan

 

"A corner of Heaven", terzo film del cinese Zhang Miaoyan, offre un eccellente ritratto realistico delle misere condizioni di vita tuttora presenti nelle campagne della Cina. Descrive il tragico viaggio di un ragazzino di 11 anni che abbandona il villaggio e parte alla ricerca di sua madre, recatasi da tempo in città per lavorare e apparentemente scomparsa senza dare più notizie di sé. Un itinerario solitario con orribili esperienze e avventure che rievoca in peggio i romanzi di Charles Dickens, tra sfruttamento, soprusi, fame e botte. Un incubo senza fine che si perde in un finale onirico. Un film per nulla prosaico, crudo, ma umanissimo, popolato da un cast di attori non professionali.. Girato in un efficacissimo bianco e nero, mescola immagini di nitidi paesaggi, ma anche di oscuri vicoli e di assurde fabbriche artigianali di mattoni, tra inquinamento, sporcizia e terribili relazioni umane, violente e disperate.

"Li wen at East Lake", quarto film del cinese Li Luo, è ambientato in una delle aree più suggestive della grande città di Wuhan, un luogo minacciato dalla speculazione edilizia e dalla costruzione di nuovi parchi di divertimento e di un nuovo aeroporto. Li combina bene elementi documentaristici e funzionali in un mix non privo di amara ironia. Il personaggio principale è un poliziotto quarantenne cinico e maniacale che, con riluttanza, ricerca un presunto squilibrato. Una lucida riflessione sulle questioni dell’identità e della sopravvivenza nella Cina contemporanea.

A Midsummer's fantasia

"A Midsummer's fantasia", Jang Kun-Jae

 

"A Midsummer’s Fantasia", terzo film del coreano Jang Kun-Jae, è un’opera che suscita molte suggestioni emotive: un piccolo capolavoro. Ambientato a Goyo, una piccola cittadina rurale giapponese, ne descrive luoghi, memorie e abitanti mentre articola due storie finzionali, distinte ma sequenziali. Racconta due diversi incontri in cui un uomo e una donna stabiliscono una comunicazione intima senza osare o riuscire a trasformarla in una vera relazione. Nel primo un regista coreano quarantenne, assistito da un’interprete e aiutato da un giovane funzionario del municipio  ricerca le locations per un suo prossimo film. Nel secondo un’attrice coreana trentenne in visita a Goyo incontra occasionalmente un giovane coltivatore di frutta che le fa da guida. Un duplice “dramma” intimo venato di malinconia, trattato con una sensibilità molto personale.

"River of exploding durian", opera prima del malese Edmund Yeo, è un convincente dramma ambientato in una cittadina di provincia. Vi si  intrecciano una sincera rappresentazione di inquietudini e di relazioni tra adolescenti e una storia tragica di impegno militante di lotta anticapitalista che riecheggia criticamente fatti recenti della storia politica della Malaysia. Al centro della vicenda vi è una giovane insegnante, animata da una coscienza radicale, che coinvolge i suoi studenti liceali in un’escalation di azioni dimostrative e di sabotaggi. Il target è una vicina impresa australiana che ha ricevuto la concessione dal governo malese per un impianto di processamento di alcuni metalli rari con possibile inquinamento radioattivo dell’ambiente circostante. Un film fresco e ambizioso, con numerose svolte narrative, che ha il pregio di scandagliare la personalità dei personaggi. "Chigasaki Story", opera prima del giapponese Misawa Takuya, è una commedia drammatica molto fine e simpatica. Senza avere una  linea narrativa dominante, descrive un intreccio di personaggi e incontri nel corso di un week end. La location al centro delle vicende è un vecchio hotel stabilito da oltre un secolo in una piccola località turistica marina. Un luogo storico anche perché il noto maestro, il regista cinematografico Ozu Yasujiro, vi soggiornò più volte per scrivere le sceneggiature di molti dei suoi film.  I personaggi, giovani studenti e insegnanti, sono  convenuti per assistere al matrimonio della coppia di loro amici, la proprietaria dell’albergo e il suo promesso che è un piccolo imprenditore. Takuya descrive con sottile ironia i sentimenti che nascono da incontri di uomini e donne legati in passato da relazioni che si sono sciolte, i fraintendimenti e le piccole crisi di amicizie che parevano consolidate. Ne emerge un puzzle che rende omaggio, senza imitarli, sia al cinema di Ozu sia ai classici del cinema francese dell’ultimo trentennio.

"The move", quinto film del kirghiso Marat Sarulu, è un dramma minimalista che documenta la fragilità dell’esistenza in un Paese, il Kirghizistan, che ancora oggi sconta la deriva negativa di crisi sociale e morale derivante dallo sfaldamento dell’ex URSS. La vicenda coinvolge un uomo anziano che, insieme alla nipotina di 10 anni, conduce una tranquilla esistenza, parca e dignitosa, circondato dall’affetto di amici e vicini, in un villaggio affacciato su un fiume. Sua figlia, che da tempo si è trasferita in città, gli impone il trasferimento presso di lei. Ma emerge che la donna, che ha affidato tutti i suoi risparmi a un amante che li ha persi speculando malamente,  viene sfrattata dal suo alloggio. I tre si trovano completamente alla deriva in una squallida periferia tra impianti industriali in disuso. Sarulu opta per un approccio calmo e contemplativo, che stempera il realismo in una poesia triste e dolorosa, e costruisce meticolosamente le immagini.

 

The Move

"The Move", Marat Sarulu

La la la at rock Bottom

"Atlantic", Jan-Willem van Ewijk

 

"Atlantic", secondo film dell’olandese Jan-Willem van Ewijk,  configura un dramma esistenziale intimo e suggestivo. Il protagonista Fettah (nella realtà Fettah Lamara, campione internazionale di windsurf ) è un povero pescatore trentenne  che vive in un villaggio sulla costa atlantica del Marocco. Ogni anno entra in contatto con giovani turisti europei benestanti e pratica con loro il windsurf. Nel corso di un’estate fa amicizia con Alexandra e prova un sentimento nei suoi confronti. Quindi in autunno decide di raggiungere le coste europee veleggiando a bordo del suo surfboard: un viaggio solitario di 300 miglia estremamente azzardato, dovendo compiere un lungo giro in mare aperto per eludere i controlli dei guardiacoste spagnoli. Van Ewijk offre eccezionali riprese in mare aperto, ma soprattutto riesce a descrivere con empatia la complessa personalità del suo protagonista, tra sogno, volontà e sacrificio.

"The Dark Horse", opera seconda del neozelandese James Napier Robertson, ha ottenuto li Premio del Pubblico, quale miglior film del Festival. È un eccellente dramma esistenziale, a tratti davvero coinvolgente ed emozionante. Il film ricostruisce una parte essenziale della vita turbolenta di Genesis Potini, un uomo Maori affetto da una sindrome psichica bipolare, campione di scacchi in gioventù, deceduto nel 2011. Genesis (Cliff Curtis in un’interpretazione di grande spessore), ormai quarantenne, viene dimesso da una clinica psichiatrica dopo anni di degenza. Tornato nella sua cittadina di origine, riesce a inserirsi in un progetto sociale, avviato da un amico, che riunisce giovani teenagers proletari per sottrarli alla vita di strada tra droga e malavita. In breve ottiene di poter insegnare ai ragazzi il gioco degli scacchi. Nel frattempo il giovane nipote di Genesis, destinato dal padre a entrare in una gang di duri delinquenti Maori, si unisce al progetto.

 

The Dark horse

"The Dark Horse", James Napier Robertson

Il protagonista deve lottare contro la propria instabilità di umore, la difficoltà di non avere una dimora fissa, i pregiudizi delle famiglie dei ragazzi e l’ostilità di suo fratello. Ma si batte strenuamente per far competere i ragazzi del suo team, poveri ma appassionati, nel campionato nazionale giovanile di scacchi che si svolge ad Auckland. Un film non privo di alcuni clichés, ma con un’ambientazione, un cast e un ritmo drammatico del tutto convincenti.

Parimenti si segnalano alcuni eccellenti nuovi documentari. "Bitter Lake", eccellente opera seconda del britannico Adam Curtis, prodotta dalla BBC, ricostruisce la storia dell’Afghanistan, dalla caduta della monarchia nel 1973 ad oggi, attraverso un ricchissimo repertorio di footage e interviste sul campo. Una visione critica che, per far comprendere le ragioni dell’attuale impasse politico in quel Paese, ripercorre le motivazioni dell’ambigua politica degli USA nei confronti del fondamentalismo islamico di tendenza Wahabita promosso dall’Arabia Saudita, fin dall’epoca del Presidente Franklin D. Roosevelt, le tensioni della Guerra Fredda e il ruolo fallimentare giocato dall’URSS, le tappe della lotta politica e militare e lo sviluppo distorto della società afghana. "This is my land", opera prima dell’israeliana Tamara Erde, già arruolata nell’esercito e testimone della seconda Intifada nel 2002 e da alcuni anni residente in Francia, è un interessantissima inchiesta sull’insegnamento della storia nelle scuole in Israele e nella Palestina dei territori occupati. La regista, a cui il Ministero dell’Istruzione israeliano ha proibito le riprese nelle scuole pubbliche, visita 8 scuole private indipendenti, tra cui una scuola ebraica basata sul Talmud  e una scuola in un campo di rifugiati palestinesi a Nablus. Attraverso un lavoro coraggioso di documentazione e di interviste mette in luce l’impostazione ideologica faziosa, mistificatoria e censoria di entrambe le comunità e delle loro istituzioni pedagogiche rispetto al conflitto pluridecennale che divide i due popoli.

je suis le peuple

"Je suis le peuple", Anna Roussillon

 

Je suis le peuple, opera prima della francese Anna Roussillon, cresciuta a Il Cairo, è stato girato in un piccolo villaggio sconosciuto in un’area rurale posta 700 chilometri a sud di Il Cairo. Offre un ottimo ritratto senza veli di un microcosmo in cui gli abitanti percepiscono in forma attenuata e, in parte, distorta le contorsioni politiche avvenute dal 2011 ad oggi: la rivolta di Piazza Tahrir e la destituzione di Mubarak; l’ascesa del Partito della Fratellanza Musulmana, la sua incapacità a governare e la destituzione del Presidente Morsi; l’ascesa del Generale Al Sisi poi divenuto Presidente della Repubblica con votazione popolare. Un sorprendente spaccato che fa conoscere  la realtà di un’economia di sussistenza e piccolo commercio e di una società, con tradizioni che si tramandano da generazioni, che  si apre lentamente  a nuove prospettive.

"A toca do lobo", opera seconda della portoghese Catarina Mourão, racconta un’avvincente vicenda familiare che si intreccia con la tragica era della dittatura fascista, autodefinita “Estado Novo”, che ha governato il Portogallo dal 1933 al 1974. La regista ricostruisce con passione la problematica e misteriosa traiettoria del proprio nonno materno, uno scrittore, il cui libro più noto ha lo stesso titolo del film, deceduto prima che lei stessa nascesse. Una storia intima dai risvolti tragici in cui fraintendimenti, rimozioni e segreti hanno condizionato le relazioni all’interno della famiglia, soprattutto quella tra la regista e sua madre.

Il nuovo cinema italiano è stato ampiamente presente nelle varie sezioni del Festival, con un’anteprima internazionale, "La scuola d’estate", di Jacopo Quadri, suggestivo documentario che racconta l’esperienza dell’annuale scuola estiva di arte drammatica che si svolge in Umbria ed è diretta dal maestro Luca Ronconi, e con alcuni lungometraggi già visti nel 2014 ai Festival di Cannes,Venezia e Torino: Belluscone, una storia siciliana, di Franco Maresco; Le meraviglie, di Alice Rohrwacher; La creazione del significato, di Simone Rapisarda Casanova.

Il “CineMart”, lo spazio del Festival dedicato all’industria, ha presentato 24 nuovi progetti di lungometraggi attualmente in sviluppo, non ancora filmati, prodotti o coprodotti da 21 Paesi di Europa, Asia, Africa e Americhe. I vincitori dei Premi sono stati le seguenti opere prime e seconde “in fieri”:  "Tonic immobilità", della belga Nathalie Teirlinck; "Luxembourg", dell’ucraino Myroslav Slaboshpytskiy; "Santa y Delfín", del cubano Carlos Lechuga rouge

 

 

La scuola d'estate

"La scuole d'estate", Jacopo Quadri

 

 

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44. ROTTERDAM FILM FESTIVAL 2015

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21 / 01 - 01 / 02/ 2015

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