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pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 59. FESTIVAL SEMINCI DI VALLADOLID I DI GIOVANNI OTTONE I 2014

SEMINCI di Valladolid 2014

Un bilancio molto positivo

Espiga de Oro a Mita tova. Premio del Pubblico a What we did on our holiday

 

 

DI GIOVANNI OTTONE

"The Farewell Party", Sharon Maymon, Tal Granit

The Farewell Party

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La "59.Semana Internacional de Cine (SEMINCI) de Valladolid", svoltasi dal 18 al 25 ottobre, è il secondo Festival internazionale cinematografico più importante che si svolge annualmente in Spagna. La "Sezione Ufficiale" competitiva, comprendente 18 lungometraggi, ha incluso, tra gli altri, alcuni film di qualità già presentati anteriormente quest'anno ai Festival di Berlino, Cannes, Locarno, Venezia e Toronto. Ha compreso anche What we did in our holiday, una gustosa commedia familiare, ambientata in Scozia, opera prima dei britannici Guy Jenkin e  Andy Hamilton, che ha ottenuto il Premio del Pubblico, varie anteprime europee e 2 nuovi film spagnoli: El arca de Noé, di Adán Aliaga e di David Valero, in anteprima mondiale e Rastres de sándal, della catalana Maria Ripoll, fuori concorso, già Premio del Pubblico al recente Festival di Montréal. Da segnalare inoltre Miss Julie, diretto dalla nota attrice e regista settantenne norvegese Liv Ullmann ed interessante adattamento  della classica pièce teatrale di August Srindberg con trasposizione in Irlanda, nel tardo ’800: un lacerante dramma da camera in cui si confrontano passione, desiderio e rigide convenzioni legate alle differenze di classe sociale.

La Espiga de Oro al miglior film lungometraggio è stata attribuita a Mita tova (Farewell Party), dei registi israeliani Sharon Maymon e Tal Granit, già presentato alla Biennale di Venezia di quest’anno, nella sezione “Giornate degli Autori”. A Levana Finkelshtein e a Aliza Rozen, le due interpreti protagoniste dello stesso film è stato attribuito assegnato il Premio alla miglior attrice ex aequo. Si tratta di una tragicommedia che affronta un intreccio di temi delicati: il dolore di fronte alla sofferenza di una persona malata con prognosi infausta, il senso di impotenza per non poterla aiutare e la sofferenza della separazione dopo la morte. I protagonisti, un gruppo di arzilli vecchietti ricoverati in una casa di riposo, decidono di attivarsi per aiutare uno di loro, un caro amico, in stato terminale. Quindi riescono a costruire un marchingegno che  lo aiuta a porre fine alla sua pena in modo indolore: una macchina per l’eutanasia con attivazione automatica da parte dallo stesso malato. Ma, quando si sparge la voce, altri anziani chiedono di giovarsene, creando dubbi e dilemmi nell’animo degli “inventori”. La coppia di registi rifugge dalle tesi astratte e dalla sterile speculazione esistenziale, costruendo la tensione drammatica attraverso uno humour intelligente e raffinato e dirigendo al meglio un ottimo cast.

Station of the Cross Dietrich Brüggemann

"Station of the Cross" Dietrich Brüggemann

 

La Espiga de Plata è stata assegnata a Kreuzweg (Station of the Cross), del regista tedesco Dietrich Brüggemann, già presentato nella  competizione ufficiale della Berlinale di quest’anno. È un dramma che offre un ritratto crudo delle caratteristiche estreme e delle conseguenze tragiche provocate dalla subcultura che accompagna il fanatismo fondamentalista religioso cattolico. In questo caso la protagonista-vittima è una quattordicenne che, spinta dagli insegnamenti ricevuti in famiglia e in Chiesa, si ostina a mettere in pratica i precetti  di Cristo in forma letterale, con sincera convinzione. Per raggiungere la totale purezza percorre un calvario di prove e di rinunce fino a lasciarsi morire di inedia. Il regista utilizza un efficace distacco nella narrazione: non giudica né condanna. Il suo sguardo è apparentemente freddo, ma in realtà appare più malinconico che provocatorio.

A Diplomatie, del noto regista tedesco Volker Schlöndorff, già presentato nella sezione "Berlinale Special" della Berlinale di quest'anno, sono andati ben 2 Premi: quello alla miglior regia, e quello al miglior attore, Niels Arestrup, uno dei protagonisti del film. È uno splendido dramma che racconta come, grazie un raffinato bluff, Parigi fu salvata dalla distruzione totale ordinata da Hitler. All’alba del 25 agosto 1944 il Governatore tedesco di Parigi, il Generale Dietrich von Choltitz, si prepara a far esplodere tutti i ponti e i monumenti, nonostante sia assediato nell’hotel che è il suo quartier generale. All’improvviso si ritrova di fronte il console svedese Raoul Nordling, penetrato nella sua stanza grazie a un passaggio segreto. Tra i due inizia un sottile confronto dialettico e psicologico, assolutamente non scontato. Il film, tratto dall’omonima pièce teatrale di  Cyril Gely, offre una messa in scena ricca di toni e l’eccezionale  recitazione di Niels Arestrup e di André Dussollier.

A Kuzu (The lamb), scritto e diretto dal regista turco Kutlug Ataman, sono stati assegnati sia il Premio alla miglior sceneggiatura sia il Premio alla miglior fotografia, ovvero a Feza Çaldiran, direttore della fotografia del film. È al tempo stesso un affresco drammatico, con alcune note di humour acido, di una comunità rurale e un controverso coming-of-age film. In un villaggio sulle colline dell’Anatolia orientale, seguendo la tradizione, ogni famiglia deve celebrare con un banchetto la circoncisione del proprio bambino. Il piccolo Mert attende il giorno fatidico, ma suo padre Ismail (Cahit Gok), che lavora in un mattatoio, non ha il denaro necessario per comprare  il capretto necessario e per offrirlo a parenti e amici. Nel frattempo Vicdan, la sorella del bambino, infastidita per il fatto che lui è il benvoluto, si diverte a terrorizzarlo raccontandogli che alla fine, pur di non irritare gli ospiti, loro padre sarà obbligato a sgozzarlo e ad offrirlo in pasto.

 

Kuzu The Lamb Kutlug Ataman

"Kuzu (The Lamb)" Kutlug Ataman

Dopo alterne vicende in cui si mettono in gioco dignità e orgoglio, si arriva a una sorprendente soluzione dell’inghippo. Nonostante l’evidente empatia del regista nei confronti dei suoi protagonisti e la felice descrizione del paesaggio invernale e di usi e costumi locali, il film risulta troppo melenso e i personaggi degli adulti non sono sufficientemente approfonditi.

 Whiplash Damien Chazelle

"Whiplash" Damien Chazelle

 

Il giovane regista americano Damien Chazelle, che ha scritto e diretto Whiplash, già presentato al Sundance Film Festival e alla “Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes di quest’anno, ha conquistato il Premio al miglior regista di opera prima. Si tratta di un sorprendente ed intelligente dramma psicologico, scritto benissimo e diretto con grande maestria. Al centro della vicenda vi è un batterista diciannovenne di talento che viene accettato allo Shaffer Conservatory, una delle migliori scuole di musica degli USA. In breve si trova di fronte Fletcher, un insegnante molto considerato che lo accetta nella sua classe. Ma quest’uomo pignolo è in realtà un mediocre che abusa della sua autorità e riesce a condizionare pesantemente i suoi allievi. Li spinge ad un impegno esclusivo, li mette continuamente in competizione tra loro, alterna blandizie e sfoghi violenti e sadici e li costringe a misurarsi in esercizi e sessioni estenuanti, con ripetizioni iterative dei pezzi, la scusa che, nonostante l’impegno, non riescono a seguire il tempo.

Chazelle calibra  i confronti e gli scontri di personalità, cattura l’eccellente ambiente musicale jazz di New York e utilizza la sua cinepresa per ottenere un ritmo visivo esaltante ed eccezionali inquadrature.

La sezione competitiva "Punto de Encuentro" ha presentato 15 lungometraggi (10 opere prime e 5 opere seconde), molti dei quali in anteprima europea. Il Premio al miglior film è stato assegnato a Utóélet (Afterlife), opera prima della regista ungherese Virág Zomborácz. Si tratta di una simpatica commedia, con spunti surreali e fine humour, che racconta la vicenda di un ventenne nevrotico succube del padre, pastore di una congregazione religiosa, che continua a spingerlo ad essere più attivo e meno introverso. Il fatto è che quando il genitore, colpito da un infarto fulminante, Mózes dovrà convivere ancora con il fantasma paterno.La Menzione Speciale è andata a Gözümün Nuru (Eye Am), opera seconda dei giovani registi turchi Hakki Kurtulus e Melik Saraçoglu. È una simpatico commedia drammatica che racconta la storia di un giovane turco, grande cinefilo, che si reca a studiare cinema a Lione, ma subisce un distacco di retina e deve tornare nella casa paterna a Istanbul e restare immobilizzato per molte settimane a letto.

 

Gözümün Nûru Hakki Kurtulus Melik Saracoglu

"Eye Am (Gözümün Nûru)" Hakki Kurtulus, Melik Saracoglu

Un intelligente e creativo omaggio al cinema in generale e una notevole capacità di presentare con leggerezza un evento molto drammatico ispirato alla vera vicenda autobiografica dello stesso regista Melik Saraçoglu.

Citiamo inoltre la sezione competitiva "Tiempo de Historia" che ha compreso 15 documentari lungometraggi, tra cui varie European Premières e alcune World Premières e la sezione "Spanish Cinema", che ha presentato 16 lungometraggi rappresentativi della produzione spagnola della presente stagione cinematografica 2012 - 2013.

Infine offriamo un’ampia recensione della Retrospettiva dedicata alla cinematografia contemporanea del Paese ospite della SEMINCI di quest’anno: la Turchia. Il ciclo intitolato “La decade d’oro del cinema turco (2004 – 2014)” ha compreso 18 lungometraggi, in larga parte esempi di cinema d’autore. Si tratta di film soprattutto rappresentativi di una quarta generazione di registi del cinema, nati negli anni ’70 e ’80 e affacciatisi alla ribalta nell’ultimo decennio. Tra gli altri citiamo: Özcan Alper, Seyfi Teoman, Pelin Esmer, Özer Kizitan, Emin Alper, Seren Yüce, Ali Aydin, Mahmut Fazil Coskun, Sedat Yilmaz, Kazim Öz, Onur Ünlü, Asli Özge, Hüseyin Karabey. Eredi di Nuri Bilge Ceylan, Yesim Ustaoglu, Zeki Demirkubuz e Dervis Zaim, condividono, con  quegli autori, l’idea di filmmaking con budget limitati. Sono anch’essi fieramente indipendenti, in maggioranza residenti a Istanbul e spesso collegati con istituzioni ed enti culturali presenti nella metropoli. Molti fra loro hanno condiviso esperienze personali o l’impegno in cruciali battaglie politiche, e quindi, in genere, tendono a concepire e attuare nuove relazioni tra riflessione sul proprio vissuto e coscienza sociale,  quantunque non si possa affatto parlare di manifesti programmatici o di movimenti culturali. Inoltre diversi fra loro (ad esempio Özcan Alper, Mehmet Bahadir Er, Selim Evci, Kazim Öz e Seyfi Teoman), pur in assenza di specifiche esperienze di studio, hanno imparato il mestiere realizzando cortometraggi che sono stati presentati anche in Festivals internazionali in Europa e nel mondo. E sviluppano nuove ricerche tematiche ed estetiche. Qui riportiamo il commento critico di alcuni dei film più significativi della retrospettiva.

Destiny Kader Zeki Demirkubuz

"Destiny (Kader)" Zeki Demirkubuz

 

Kader (Destiny) (2006), di Zeki Demirkubuz, è un magnifico melodramma privo di climax e di catarsi. Descrive un triangolo amoroso, tra passione, ossessione e dannazione. Il ventenne Bekir  si innamora della giovane Ugur, entrata, quasi per caso, nel negozio di tappeti dove lui lavora. La donna è una cantante che si esibisce nei bar, nonché l’amante di Zagor, un assassino mentalmente instabile che è detenuto. Lei ne segue i trasferimenti da un carcere all’altro. Bekir è ossessionato dal sogno di possedere Ugur. La vede e la sogna come presenza ambigua, angelica e diabolica al tempo stesso, in un gioco intrigante tra lucidità e follia. Quindi la insegue da una città anonima all’altra, rovinandosi economicamente e distruggendo il proprio matrimonio. In questo road movie del tutto atipico le menti dei personaggi sono chiuse in sé stesse e i loro percorsi esistenziali impossibili creano spirali di infelicità e di dolore inconsolabile, portandoli all’autodistruzione.

Jin (2013), di Reha Erdem, costituisce un’esplicita incursione nella pluriennale tragica vicenda del Kurdistan, dove da trent’anni si combattono i Peshmerga, i guerriglieri indipendentisti kurdi, e l’esercito turco. In realtà utilizza la cornice del conflitto armato per costruire una suggestiva parabola “ecologica” metaforica, con tinte di thriller, ambientata tra magnifiche montagne e caratterizzata da spunti di realismo magico. Offre il ritratto empatico di  Jin, una guerrigliera di 17 anni che, essendo determinata a vivere e a  raggiungere una grande città, ha disertato e si aggira sola tra le foreste, temendo sia i suoi ex compagni sia i soldati turchi. Coraggiosamente fronteggia un orso e solidarizza con altri animali. Incontra e soccorre un soldato turco, giovane recluta ferita, ma poi lo abbandona. A suo agio con la natura grazie a un fisico minuto, ma ben allenato, non riesce a uscire dal terreno dei combattimenti, e deve sottrarsi a posti di blocco, scontri a fuoco e al pericolo di aggressioni maschili. Rimasta con poche speranze torna nella selva, fino ad un finale tragico di rara potenza emotiva.

 

Jin Reha Erdem

"Jin" Reha Erdem

 

"I'm not him Ben o Degilim Tayfun Pirselimoglu

"I'm not him (Ben o Degilim)" Tayfun Pirselimoglu

 

Ben o degilim (I’m not him) (2013), di Tayfun Pirselimoglu, è un eccellente dramma esistenziale con al centro il tema dell’identità e della fascinazione per quella di un ”altro”. Il protagonista è Nihat, un cinquantenne solitario e introverso, perennemente imbronciato e impassibile, che lavora nella cucina della mensa di un ospedale. Un tipo che è turbato quando si rende conto di essere oggetto delle attenzioni di Ayse, una misteriosa trentenne assunta come lavapiatti. Nonostante sia stato informato che Necip, il marito della donna, stia scontando una lunga condanna in carcere, Nihat, benché riluttante, accetta un invito a cena da parte di Ayse. Nell’occasione gli capita di osservare attentamente una foto del consorte della donna e di rendersi conto di una sua incredibile somiglianza con quello sconosciuto che sembra il suo gemello senza baffi. In breve inizia una relazione con la donna.

Poi si trasferisce nell’appartamento dell’amante e stabilisce con lei una convivenza matrimoniale. Ma per Nihat la situazione è al tempo stesso strana e ambiguamente morbosa. Ayse si impegna attivamente perché la loro unione sia felice, ma l’uomo non mostra grande passione se non per assomigliare sempre più a Necip. Ne scaturisce una sequela di avvenimenti inaspettati, fatidici e surreali. Il regista resta sviluppa una cifra narrativa minimalista, priva di enfasi,  lenta, ma emozionante e sfrutta benissimo l’espressività dei suoi attori. Costruisce un affresco intrigante e problematico,  del tutto alieno da una fuorviante lettura di disturbo mentale. In effetti ha dichiarato che il tema dell’identità, perduta o rubata o reclamata, è una metafora della Turchia contemporanea. Il suo protagonista scivola progressivamente e consapevolmente verso un destino ineluttabile, perché anche quando potrebbe sottrarsi, risulta dominato dal forte desiderio di essere l’altro.

Takva (A man’s fear of God) (2006), di Özer Kiziltan, è un dramma costruito come un thriller. Un’opera che esplora lucidamente le contraddizioni e l’ipocrisia che sottendono le attività commerciali gestite da una confraternita religiosa islamica. La storia si svolge in epoca contemporanea, in un vecchio quartiere di Istanbul. Il protagonista è Muharrem, un modesto impiegato quarantenne, povero, solitario ed introverso. È una persona pacifica, profondamente responsabile e pia: prega giornalmente nella moschea, è indifferente ai piaceri mondani e pratica l’astinenza sessuale. Notato dai dirigenti della ricca confraternita islamica che frequenta, riceve l’incarico di riscuotere gli affitti dei tanti immobili di loro proprietà e si trasforma in un moderno executive. Tuttavia viene coinvolto, suo malgrado, in loschi affari, deve mostrarsi spietato nei confronti degli inquilini morosi e deve  avere contatti con uomini alcolizzati.

 

"A man's fear of God Takva Özer Kiziltan

"A man's fear of God (Takva)" Özer Kiziltan

Muharrem non ha dimenticato un precetto islamico basilare: takva, ovvero la paura di Dio, che spinge a non commettere i peccati. Quindi inizia ad avvertire uno stato di tensione che diventa permanente ed è perseguitato dall’immagine di una donna seducente e da incubi notturni a sfondo sessuale. Roso dai dubbi e dalla paura del castigo divino, ma incapace di recedere dal suo incarico, cadrà stremato in deliquio, riducendosi ad uno stato larvale. Nel finale, il leader religioso della setta disporrà il matrimonio tra Muharrem e sua figlia. Il film non offre risposte definitive rispetto al delicato tema della possibile compatibilità tra religione islamica e sistema capitalistico, pur essendo eloquente su molti aspetti della moralità e dell’ipocrisia.

"I'm not him Ben o Degilim Tayfun Pirselimoglu

"Uzak Ihtimal (Wrong Rosary)" Mahmut Fazil Coskun

 

Uzak ihtimal (Wrong rosary) (2009), di Mahmut Fazil Coskun, è un magnifico dramma, semplice ed emozionante, costruito come un thriller dei sentimenti. Compone un puzzle di sensualità, amore, amicizia e dolore, senza essere mai retorico né banale. Il protagonista è Musa, un muezzin appena trentenne, proveniente da Ankara, assegnato ad una moschea del vecchio quartiere di Galata. L’autorità religiosa lo sistema in un piccolo appartamento di un antico caseggiato. L’uomo assolve con diligenza le mansioni che lo impegnano, fin dalle prime ore del mattino, nella moschea. Un incontro inaspettato lo ha colpito e ha marcato la sua emotività più intima. Un giorno, poco dopo il suo arrivo, ha incontrato, sul pianerottolo di casa, Clara, una ventenne fine, delicata e vagamente malinconica che si rivela essere una suora cattolica che vive nell’appartamento adiacente prendendosi cura di Suor Anna, anziana e malata.

Musa, prontamente affascinato dai comportamenti e dalla timida personalità della giovane, inizia a spiarla e a seguirla discretamente. In breve scopre che è una conversa che lavora in una chiesa vicina, in attesa di prendere i voti definitivi. Musa è incerto nel confessare a sé stesso la verità, ma,  poco a poco si convince di amare profondamente Clara. Coskun descrive, con un ritmo calmo e con accenti delicati, la relazione che si stabilisce tra queste tre anime solitarie. Un sottile legame che si sostanzia in fugaci momenti comunitari, ma non risolve disparità e contraddizioni. Fino al finale amaro e privo di enfasi. Il film affronta un argomento complesso: quello dei rapporti tra tradizioni religiose diverse e delle influenze occidentali nella Turchia attuale e, più propriamente, in una grande città moderna e multiculturale. Ma evita la contrapposizione a tesi tra sacro e profano e, soprattutto qualsiasi giudizio morale.

Sonbahar (Autumn) (2008), di Özcan Alper, racconta un itinerario esistenziale e un’impossibile storia d’amore esemplificativi del dramma di una generazione delusa, a causa della dura realtà sociale e della sconfitta politica. Il protagonista è il trentenne Yusuf, condannato nel 1997 a causa della sua militanza nel movimento studentesco e nella sinistra rivoluzionaria. Dopo 10 anni trascorsi in prigione, l’uomo, disilluso e frustrato, viene scarcerato perché vittima di una seria malattia respiratoria. Quindi ritorna nel suo villaggio natale nella regione orientale del Paese, nell’entroterra della costa del Mar Nero. Sua madre, ormai vedova e anziana, lo accoglie con affetto. I vecchi sono rimasti, mentre i giovani sono partiti. Il protagonista cerca un rifugio, ma trova opprimente il bel paesaggio montuoso e si isola, addolorato per il tempo perduto e sempre più pieno di dubbi.

 

Autumn Sonbahar Özcan Alper

"Autumn (Sonbahar)" Özcan Alper

Alper propone una serie di crude immagini evocative del passato in carcere di Yusuf, ma anche spezzoni claustrofobici di materiali visivi d’archivio relativi agli anni ’90, e li giustappone a quelle del suo vagabondaggio nel presente. Un giorno d’autunno, mentre si trova in una località marina, incontra Eka, una giovane prostituta georgiana che cerca di ottenere il denaro necessario per riunirsi con la sua bambina. I loro mondi sono diversi e le circostanze forse sbagliate, ma si profila una tenue speranza. Sono due anime ferite che cercano di vivere un amore, per superare le rispettive paure e la solitudine. Il film propone un emozionante viaggio interiore che intreccia indissolubilmente memorie di un passato non cancellabile, un presente fugace e la mancanza di un futuro credibile. Immagini di morte e frammenti di esistenza quotidiana, che creano il senso di una battaglia per la vita, si mescolano.

Majority Cogunluk Seren Yüze

"Majority (Cogunluk)" Seren Yüze

 

Çogunluk (Majority) (2010), di Seren Yüze, è un dramma, ambientato a Istanbul, che offre una lucida rappresentazione di un ambiente familiare e, più in generale, dei rapporti interpersonali, in una società bloccata moralmente dalle proprie contraddizioni e fortemente condizionata dai pregiudizi culturali ampiamente diffusi nella popolazione. Al centro della vicenda vi è una famiglia del ceto medio con una condizione benestante. Il protagonista è Mertkan un ventunenne corpulento e impacciato, sensibile, ma privo di determinazione. Il giovane, che ha abbandonato gli studi, vive con i genitori cinquantenni in un confortevole appartamento. La figura dominante della famiglia è suo padre Kemal, un piccolo imprenditore edile, duro, austero e deciso. È il classico self-made man che aborre la cultura ed è pienamente convinto che nella società conti soprattutto la rispettabilità e il benessere economico.

Mertkan lavora nell’ufficio dell’impresa di suo padre che lo sprona continuamente, ma gli affida mansioni irrilevanti, non avendo una grande opinione sulle sue capacità, e controlla regolarmente le sue attività. Il giovane, durante il tempo libero, vaga per la città in compagnia di un paio di amici. Si muovono in auto e frequentano bar, sale di videogiochi, shopping centers e discoteche. È una vita sostanzialmente stabile e di routine, ma anche vuota, perché non offre vere emozioni e passioni. Un giorno Mertkan incontra Gül, una giovane studentessa kurda, che si mantiene lavorando in un fast food. Poco a poco, nonostante la ritrosia iniziale, tra i due giovani nasce una fragile relazione amorosa. Tuttavia quando Kemal apprende che suo figlio frequenta una giovane kurda, pur non conoscendola si oppone alla relazione, facendo appello a principi nazionalisti  e sciovinisti. Il film descrive con cura la complessa relazione padre-figlio e il ruolo subalterno della madre. Spinge lo spettatore a osservare le dinamiche comportamentali giustapponendo motivi e dettagli. Yüce presenta problematiche quali la discriminazione latente, i pregiudizi, la violenza occulta, la crisi di identità, le trappole sub-culturali. Ma anche le dinamiche dissimulate dell’egemonia e della prevaricazione e la promozione di ciò che è accettato come “comportamento naturale”, quindi consono alla “maggioranza”.

Tepenin ardi (Beyond the hill) (2012), di Emin Alper, è un thriller anomalo perché intreccia dramma familiare, black comedy e “western revisionista” e offre persino spunti horror. La vicenda è ambientata in Anatolia, in un’area rurale, e offre il ritratto di una famiglia patriarcale, tra incomprensioni e segreti, con l’ossessione di un oscuro nemico esterno. Faik è un sessantenne, ex dirigente della Vigilanza Forestale statale. Dopo la pensione è tornato ad occuparsi delle terre, di proprietà della sua famiglia da generazioni, situate in una magnifica vallata circondata da alture rocciose. Si dedica all’allevamento delle capre. È una bella estate, ma l’uomo è costantemente teso e angustiato perché è convinto che alcuni “nomadi”, che nel corso del film non verranno mai mostrati, sconfinino nella sua proprietà e vi facciano pascolare le loro capre.

 

Beyond the hill Tepenin Ardi Emin Alper

"Beyond the hill (Tepenin Ardi)" Emin Alper

Un giorno suo figlio Nusret  e i suoi nipoti, Zafer e Caner giungono a trovarlo, provenienti dalla città, per trascorrere una vacanza. Il sedicenne Caner è affascinato dal vecchio fucile del nonno. Zafer, invece, è rimasto traumatizzato mentalmente durante il servizio militare e, anche in quel luogo pacifico, è tormentato dalle visioni dei suoi compagni in missione antiguerriglia. Nel corso della notte si odono spari e accadono piccoli incidenti, ma la verità dei fatti, che coinvolgono alcuni dei presenti, viene occultata da omissioni e menzogne. All’alba la paranoia di Fatik è massima. Nonostante evidenti contraddizioni, la colpa di quanto è avvenuto viene attribuita al nemico esterno. La scelta intenzionale del regista è quella di costruire un’intelligente allegoria con un forte significato. In effetti ha dichiarato che una parte sostanziale del tradizionale “senso comune” dei turchi riguarda la paura irrazionale nei confronti dell’altro, del diverso. Il film offre una lucida e agghiacciante rappresentazione di un microcosmo bloccato moralmente dalle proprie contraddizioni e fortemente condizionato dai pregiudizi culturali.

On the way to school Iki dil bir bavul Orhan Eskiköy

"On the way to school (Iki dil bir bavul)" Orhan Eskiköy

 

Iki dil bir bavul (On the way to school) (2008), di Orhan Eskiköy e del kurdo Zeynel Dogan,  combina fiction e documentario. Si tratta di un’opera importante che mette a fuoco un problema cruciale, mai affrontato in precedenza dal cinema: la condizione dei bambini kurdi che, non avendo una precedente conoscenza della lingua turca, entrano nel sistema educativo tradizionale turco. La storia propone il confronto tra un maestro di prima nomina, proveniente dalla zona occidentale del Paese, che inizia a insegnare nella scuola di un remoto villaggio nel sud est. Racconta, con sorprendente semplicità, un anno di questa esperienza di apprendimento reciproco per stabilire la comunicazione verbale, tra il settembre 2007 e il giugno 2008. Il film ha contribuito, in forma non clamorosa, ma efficace, al dibattito cruciale sulla ufficializzazione e legalizzazione della lingua kurda px

 

 

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59. FESTIVAL SEMINCI DI VALLADOLID

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18 - 25 / 10 / 2014

Seminci

The Farewell Party

Station of the Cross, Dietrich Brüggemann

Kuzu The Lamb Kutlug Ataman

Whiplash Damien Chazelle

Gözümün Nûru Hakki Kurtulus Melik Saracoglu

Kader Zeki Demirkubuz

Jin Reha Erdem

"I'm not him Ben o Degilim Tayfun Pirselimoglu

"A man's fear of God Takva Özer Kiziltan

"A man's fear of God Takva Özer Kiziltan

Autumn Sonbahar Özcan Alper

Beyond the hill Tepenin Ardi Emin Alper

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