interference
interference
eng
de
es
it
it
tr
 
px px px
I
I
I
I
I
I
 

px

impressum
contact
archive
px

 

px

 

pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 58. FESTIVAL SEMINCI DI VALLADOLID I DI GIOVANNI OTTONE I 2013

FESTIVAL SEMINCI DI VALLADOLID 2013

Relazioni complicate in famiglia

Molte anteprime europee e alcune mondiali di film d’autore della prossima stagione e alcune intelligenti opere prime. Vince “Tokyi kazoku (Tokyo Family)” del veterano giapponese Yoji Yamada

DI GIOVANNI OTTONE

"Tokyo Family " Yoji Yamada

Tokyo Family

px
px

La 58. Semana Internacional de Cine (SEMINCI) de Valladolid", svoltasi dal 19 al 26 ottobre, è il secondo Festival internazionale cinematografico più importante che si svolge annualmente in Spagna. La "Sezione Ufficiale" competitiva, comprendente 18 lungometraggi, ha incluso, tra gli altri, alcuni film di qualità già presentati anteriormente quest'anno ai Festival di Berlino, Cannes, Locarno e Venezia. Ha compreso Short Term 12 opera seconda dello statunitense Destin Daniel Cretton, vincitore del Premio del Pubblico, varie anteprime europee e le anteprime mondiali di 3 nuovi film spagnoli: Tots volem el millor per a ella (Todos queremos lo mejor para ella), opera seconda della catalana Mar Coll; La por (El miedo), del catalano Jordi Catena; Presentimientos, di Santiago Tabernero.

La Espiga de Oro al miglior film lungometraggio è stata attribuita a Tokyi kazoku (Tokyo Family), vero capolavoro del veterano regista giapponese Yoji Yamada, già presentato nella sezione "Berlinale Special" della Berlinale di quest'anno. Yamada presenta il remake di Viaggio a Tokyo (1953), del suo maestro, Yazujiro Ozu. Propone una nuova emozionante contemplazione umanistica 60 anni dopo. Scandaglia l’animo dei suoi personaggi con estrema sensibilità e offre una messa in scena meravigliosa. Un ritratto che mostra la complessità delle relazioni affettive, ma anche il gap generazionale, in una famiglia della classe media nel Giappone contemporaneo.

La Espiga de Plata è stata assegnata a Run & Jump, opera prima di Steph Greendella regista statunitense, di origini irlandesi, già presentato al Tribeca Film Festival di New York di quest’anno. Si tratta di una commedia drammatica, girata in Irlanda, che purtroppo mostra troppi stereotipi. Racconta il complesso recupero di un trentenne colpito da ictus, con postumi mentali, seguito a tempo pieno domicilio da uno psicologo americano. In una cornice campestre idilliaca emerge l’attrazione reciproca tra la moglie dell’infermo e il terapeuta, fino al “salvifico” happy end.

A Papusza, della coppia di coniugi polacchi Joanna Kos-Krauze e Krzysztof Krauze, già in competizione ufficiale al Festival di Karlovy Vary dello scorso luglio, sono andati ben 2 Premi: quello alla miglior regia, e quello al miglior attore, Zbigniew Walerys, uno dei protagonisti del film. Si tratta di un un biopic, senza dubbio interessante e non privo di alcuni momenti commoventi, che racconta l’itinerario esistenziale di Papusza , ovvero Bronislawa Wajs (1908 – 1987), la prima poetessa di etnia zingara, vissuta in Polonia, di cui siano state pubblicate le opere.

Il Premio alla miglior attrice è stato attribuito a Nora Navas, protagonista di Tots volem el millor per a ella (Todos queremos lo mejor para ella), della regista catalana Mar Coll. È un’eccellente commedia drammatica che mette a nudo, con sottile umorismo e incisiva leggerezza, le relazioni interpersonali in un clan della tradizionale borghesia catalana.

Matterhorn, del regista olandese Diederick Ebbinge, ha conquistato il Premio al miglior regista di opera prima. Si tratta di una sorprendente, intelligente e irresistibile commedia drammatica, venata di humour raffinato e assurdo, che descrive una strana coppia di amici in cerca di libertà.

Il Premio alla miglior sceneggiatura è andato a Au bout du conte, della regista francese Agnès Jaoui, autore ella stessa con Jean-Pierre Bacri della sceneggiatura del film, un’intelligente ed esilarante commedia contemporanea, ambientata a Parigi, che racconta le relazioni e le frustrazioni di un gruppo di personaggi tra realtà, fato e situazioni da favola.

Christopher Blauvelt, direttore della fotografia di Night Moves, della regista americana Kelly Reichardt, già in competizione ufficiale alla Biennale di Venezia di quest’anno, ha ottenuto il Premio alla miglior fotografia.  

La sezione competitiva "Punto de Encuentro" ha presentato 15 lungometraggi (opere prime e seconde), molti dei quali in anteprima europea. Tra gli altri ricordiamo Ben Hur, la simpatica commedia, opera seconda, del regista italiano, vincitore del Premio del Pubblico in qiuesta sezione. Il Premio al miglior film è stato assegnato a Wajma (An Afghan Love Story), interessante e credibile opera seconda del regista afghano Barmak Akram. La Menzione Speciale è andata 82 danen in April (82 Days in April), del regista belga Bart Van den Bempt, un dramma ricco di sfumature, ambientato in Turchia.

Citiamo infine la sezione competitiva "Tiempo de Historia" che ha compreso 22 documentari lungometraggi, tra cui varie European Premières e alcune World Premières e la sezione "Spanish Cinema", che ha presentato 14 lungometraggi rappresentativi della produzione spagnola della presente stagione cinematografica 2012-2013. E ancora, l’interessante retrospettiva: "Cine Marroquí del siglo XXI", che ha compreso 17 lungometraggi, 3 documentari e 6 cortometraggi, tra i migliori film d'autore marocchini realizzati a partire dal 2000, rappresentativi di una rinascita.

La storia drammatica di una donna coraggiosa e sensibile appartenente a una etnia perseguitata

Papusza, di Joanna Kos-Krauze e Krzysztof Krauze , registi coniugi polacchi, è un biopic senza dubbio interessante e non privo di alcuni momenti commoventi. Racconta appunto l’itinerario esistenziale di Papusza (“bambola” in lingua Rom), ovvero Bronislawa Wajs (1908 – 1987), vissuta in Polonia. È la prima poetessa di etnia zingara di cui siano state pubblicate le opere. Poco dopo la nascita le viene predetto un futuro di onore, ma anche di dolore e di vergogna. Da bambina apprende a leggere e a scrivere in segreto, sfidando i divieti della tradizione familiare e del clan. Dopo essere scampata al genocidio operato dai nazisti (35.000 polacchi di etnia Rom furono uccisi nel corso della II Guerra Mondiale), la sua famiglia vende Papusza a uno zio più anziano, leader di una banda musicale, che la sposa. Nel 1949 lo scrittore ed etnografo Jerzy Fikowski, perseguitato dalla giustizia del regime comunista, si rifugia nel campo di gitani dove vive Papusza.

Papusza

"Papusza" Joanna Kos-Krauze e Krzysztof Krauze

 

Inizia a conoscere il modo di vivere degli zingari, le tradizioni e la musica e, pur essendo un gadjo (ovvero un non-Rom) impara i rudimenti della loro lingua. Poco a poco intreccia una sincera amicizia con Papusza. La donna giunge a recitargli i suoi poemi in cui si mescolano passato e presente. Fikowski la invita a trascriverli. Nel 1951 l’uomo, essendo stato amnistiato, torna a Varsavia e pubblica un libro su storia, usi e costumi degli zingari polacchi, dopo aver ottenuto l’appoggio di alcuni intellettuali influenti. Nel frattempo il governo emette un decreto legge che impone agli zingari di abbandonare la loro vita nomade itinerante e li costringe a stabilirsi in case di muratura. La vita dei Rom diventa misera. Papusza, costretta dalla necessità (il suo bambino malato ha bisogno di cure), scrive a Fikowski e gli invia i suoi scritti poetici. Quest’ultimo riesce a farli pubblicare e a farle pervenire un compenso.

Tuttavia, ben presto, i gitani iniziano ad accusare Papusza di aver rivelato i loro segreti e le loro tradizioni ataviche, attraverso i suoi scritti. La donna deve quindi subire l’ostracismo del suo stesso popolo, vive nell’isolamento ed è frastornata dai sensi di colpa. Il contenuto drammatico, e a tratti poetico, del film, girato in bianco e nero, è esaltato dalla ampia gamma di toni della fotografia curata da Krzysztof Plak e da Wojciech Staron. Inoltre un altro merito viene dal fatto che buona parte di Papusza è parlato in idioma Rom, con presenza di attori coadiuvanti gadzi. La messa in scena, pur rispettosa delle tradizioni gitane, appare piuttosto convenzionale e la rappresentazione della vita nell’accampamento mostra spesso immagini stereotipate. Peraltro, nonostante diverse sequenze enfatiche e una recitazione dei protagonisti spesso sopra le righe, non mancano alcuni momenti di efficace e sincera evocazione di una figura femminile dignitosa, sensibile e sofferente. La narrazione non avviene secondo una scansione cronologica tradizionale e si sviluppa attraverso una mescolanza di flashbacks e flashforwards di epoche diverse del secolo scorso. I registi vorrebbero forse far intendere la peculiare concezione del tempo e della storia nella cultura dei Rom, ma indeboliscono la carica emotiva del film. In sintesi siamo lontani dalla credibilità dei film di Tony Gatlif, regista franco-algerino di etnia Rom, ma anche, fortunatamente, dagli eccessi strumentali dei film di Emir Kusturica dedicati agli zingari.

Il geniale ritratto di una quarantenne disorientata, incapace di convivere con la normalità borghese del suo clan familiare

Todos queremos lo mejor para ella, della trentenne catalana Mar Coll, ripropone un ambito familiare, di classe media, ricco di sfumature, come già nel suo riuscito primo lungometraggio, Tres días con la familia (2009). Anche in questo caso mette a nudo, con sottile umorismo e incisiva leggerezza, le relazioni interpersonali in un clan della tradizionale borghesia catalana. Osserva i personaggi e rappresenta gradatamente le relazioni occulte tra loro, evitando lo psicologismo manicheo, i toni didascalici e le facili soluzioni melodrammatiche. Come nel film precedente il motore della vicenda è un evento drammatico, ma vi sono differenze sostanziali. La storia non è più corale, ma bensì è centrata sulla protagonista, una donna matura sposata, che “agisce” in prima persona, mentre la famiglia, pur molto presente, diventa il contesto necessario. La protagonista della vicenda, Geni, è una quarantenne sopravvissuta ad un terribile incidente automobilistico.

 

Todos queremos lo mejor para ella

"Todos queremos lo mejor para ella" Marr Coll

Dopo un anno le sequele e i postumi persistono: una zoppia della gamba destra e, soprattutto, un disorientamento mentale con insicurezza psicologica. Vive a Barcelona e appartiene ad una famiglia della buona borghesia. In passato è stata un brillante avvocato, ma ha perso l’impiego. Suo marito anziché dimostrarle vero amore, la tratta con condiscendenza paternalistica e spesso la rimprovera. Tutti i componenti della cerchia familiare, l’anziano padre, due sorelle, i cognati, e anche conoscenti e amici, si mostrano comprensivi, ma in realtà la compatiscono. Geni si sforza di riannodare le fila della propria esistenza, ma è evidente che fatica a rientrare nella “consueta normalità”. Soffre di amnesie repentine, ma spesso le simula perché sente una profonda solitudine interiore e una crescente crisi di identità. I suoi comportamenti denotano incostanza e incoerenza, con derive tragicomiche, e un sostanziale tentativo di fuga da chi la circonda. Una nuova inattesa “lucidità”, le fa notare l’assurdità di un mondo e di una quotidianità che non le sono più consoni. Un giorno si reca ad un’intervista per un posto dirigenziale in un’impresa di trasporti e ritrova Marina, una carissima amica d’infanzia argentina (una sequenza ricca di comicità paradossale). La donna, tornata in Spagna dopo anni di assenza, è in difficoltà economiche. Geni resta colpita dal modo di vivere libero e precario dell’amica. Quindi d’impulso cerca di aiutarla finanziariamente, ma, di fronte al rifiuto di quest’ultima, sente riaffiorare antichi contrasti e gelosie. La fluida cadenza narrativa del film deriva da una sceneggiatura non convenzionale e credibile, firmata dalla stessa regista con Valentina Miso. La messa in scena esalta spazi e comportamenti e utilizza la zoppia fisica per parlare della claudicatio mentale di Geni, ma anche di quella degli altri. La telecamera contempla i personaggi registrando i mutismi e le piccole ipocrisie (emblematiche sono le scene di conversazione durante i pasti, attorno a grandi tavole). La tensione esistenziale è ben sostenuta da una straordinaria interpretazione, velatamente tragica, di Nora Navas, in veste di protagonista, che afferma progressivamente la propria deriva aliena e volontà di liberazione, ben lontana dagli stereotipi della “donna in crisi agonica”. Al suo fianco vi è un ottimo cast di attori, diretto con felici intuizioni. Da segnalare anche l’insolita colonna sonora curata da Maik Maier che sottolinea gli stati d’animo alterni di Geni.  

Una strana coppia di amici in cerca della libertà: un’intelligente e irresistibile tragicommedia

Matterhorn è un sorprendente film di esordio, scritto e realizzato da Diederik Ebbinge. Il regista olandese, in qualche modo, ricalca lo humour raffinato di Bent Hamer, quantunque la sua rappresentazione di un individuo solitario intrappolato nella routine delle abitudini, ma pronto al contatto umano e a nuove esperienze, sia meno impassibile e più briosa rispetto ai toni del geniale regista norvegese contemporaneo. E ancora, il suo stile, che descrive situazioni assurde, ricorda quello del connazionale Alex van Warmerdam, ma senza la predominante componente dark di quest’ultimo. La vicenda si svolge nel presente in un piccolo centro olandese che ha conservato un’atmosfera tradizionale da anni ’50. Fred ha 54 anni e conduce un’esistenza grigia e abitudinaria. Un tipo solitario e rassegnato, dopo la morte della moglie, vittima di un incidente automobilistico, e la separazione dal figlio, trasferitosi altrove.

 

Matterhorn

"Matterhorn" Diederik Ebbinge

Si attiene a consueti riti giornalieri: brevi gite in bus nella cittadina vicina per approvvigionamenti al supermarket, pulizia della casa, cene spartane, ogni sera alle 18 in punto, e presenza devota alla messa domenicale nella chiesa protestante. Un giorno si imbatte nel quarantenne Leo che gironzola tra le case del villaggio, comportandosi come un adolescente mansueto e ritardato. In effetti mormora poche parole e non si sa chi sia. Mosso da un sentimento di compassione, Fred lo accoglie in casa, ma lo obbliga a condividere la sua routine, educandolo come un padre esigente. Tra i due, poco a poco, nasce una sincera simpatia. Poi un giorno Leo, che adora le caprette e le pecore, si esibisce nella loro imitazione belante di fronte ad alcuni bambini. In breve la coppia viene ingaggiata come attrazione per feste di compleanno di ragazzini, ottiene successo ed è molto richiesta. Fred si diverte nel trascorrere il tempo con Teo, il cui comportamento imprevedibile e caotico gli ha ridato vitalità e buonumore. Quindi sfida la disapprovazione dei vicini e del pastore della chiesa che giudicano immorale la sua convivenza con Leo. Finché un giorno scopre che in realtà è sposato. Incontra la moglie dell’amico che gli racconta che Leo è regredito mentalmente all’infanzia in seguito ad un grave trauma accidentale e da allora le istituzioni a cui è stato affidato hanno fallito. Ebbinge, da un lato dimostra notevoli qualità narrative, con un sapiente inquadramento minimalista dei suoi due “eroi” poco convenzionali (che sembrano personaggi di Jaques Tati o di Aki Kaurismäki) e della morale calvinista degli abitanti del villaggio. Dall’altro costruisce un intreccio con perfetti timing comici e toccanti svolte drammatiche e sviluppa efficacemente l’itinerario di liberazione e di superamento di complessi, paure e traumi del passato da parte di Fred. Ha dichiarato di aver concepito il film per sfruttare le doti interpretative della coppia di carismatici attori protagonisti, René van t’Hoff e Ton Kas, ben noti in Olanda per le loro performances teatrali. Da segnalare anche la brillante ambientazione del film e la scenografia, ricca di particolari retro esilaranti, curata da Elza Kroonenberg rouge

 

 

px

px

58. FESTIVAL SEMINCI DI VALLADOLID

info

19 - 26 / 10 / 2013

FESTIVAL SEMINCI

Tokyo Family

Papusza

Todos queremos lo mejor para ella

Matterhorn

 

link
Seminci Valladolid
px
Home Festival Reviews Film Reviews Festival Pearls Short Reviews Interviews Portraits Essays Archives Impressum Contact
    Film Directors Festival Pearls Short Directors           Newsletter
    Film Original Titles Festival Pearl Short Film Original Titles           FaceBook
    Film English Titles Festival Pearl Short Film English Titles           Blog
                   
                   
Interference - 18, rue Budé - 75004 Paris - France - Tel : +33 (0) 1 40 46 92 25 - +33 (0) 6 84 40 84 38 -