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pxrouge FESTIVAL REVIEWS I 57. LONDON FILM FESTIVAL I DI GIOVANNI OTTONE I 2013

LONDON FILM FESTIVAL 2013

Miglior film a “Ida”, di Pawel Pawlikowski

Miglior regista di opera prima a Anthony Chen per “Ilo Ilo”

Miglir documentario a “My fathers, my mother and me”, di Paul-Julien Robert

DI GIOVANNI OTTONE

"Ida" Pawel Pawlikowski

Ida

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La 57. edizione del “BFI London Film Festival (LFF)”, inaugurata il 9 ottobre con l’anteprima europea di Captain Phillips, l’avvincente thriller, tratto da una storia vera, diretto dal regista britannico Paul Greengrass, si è conclusa il 20 ottobre con la première europea di Saving Mr. Banks, la brillante commedia d’epoca realizzata dallo statunitense John Lee Hancock, impreziosita da un cast stellare di notissimi attori inglesi e yankees. Tom Hanks è il convincente protagonista di entrambi i film.

Il LFF è il più importante Festival cinematografico che si svolge in un’area metropolitana in Europa ed è da sempre rivolto al pubblico. Peraltro costituisce anche un notevole trampolino di lancio, a livello continentale, per la distribuzione commerciale di diversi film d’autore già presentati e/o premiati in altri importanti Festivals del 2013, tra cui Cannes, Toronto, Venezia, Berlino e Sundance. Anche quest’anno il programma è stata ampio, avendo presentato ben 235 lungometraggi features films e 134 cortometraggi, prodotti da 74 Paesi. La qualificazione internazionale viene anche da altri dati significativi: 22 World Premières, 13 International Premières e 29 European Premières, nell’ambito dei lungometraggi. Tra i features sono da segnalare 42 documentari e 58 opere prime. I film sono formalmente raggruppati in varie sezioni, con denominazioni curiose che si riferiscono, in qualche modo, al genere: Galas; Love; Debate; Laugh; Thrill; Cult; Journey; Sonic; Family; Shorts: Experimenta; Treasures.

Oltremodo significativa la presenza di 8 film italiani collocati nelle varie sezioni della rassegna londinese: Salvo, di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (nel concorso per oper prime); Miele, di Valeria Golino; L’intrepido, di Gianni Amelio; La mia classe, di Daniele Gaglianone; Sacro GRA, di Gianfranco Rosi; Stop the pounding heart, di Roberto Minervini; Anni felici, di Daniele Luchetti; Bertolucci on Bertolucci, documentario di Luca Guadagnino e Walter Fasano.

18 lungometraggi, tra cui alcuni dei film più significativi visti quest’anno a Cannes, Venezia e Berlino, sono stati presentati nei Galas (proiezioni serali con Red Carpet in 2 cinema della centralissima Leicester Square), sponsorizzati da importanti enti e/o da partner del Festival. Tra questi vi sono state 1 première mondiale e 3 anteprime europee. Oltre ai già citati film di apertura e chiusura del Festival, segnaliamo altri lungometraggi. 12 years a slave, terzo film del noto regista britannico Steve McQueen, è un impressionante dramma d’epoca che rievoca una storia vera avvenuta nel 1841: il rapimento, e la riduzione in schiavitù nelle piantagioni della Louisiana per 12 anni, di un violinista negro di talento che viveva come uomo libero a New York. Come nei suoi precedenti film McQueen ha inteso esplorare il tema della consunzione fisica e dell’assenza di scelte in un uomo in condizioni di estrema costrizione. Labor Day, del canadese Jason Reitman è un thriller – melodramma, piuttosto convenzionale, che racconta la liason tra una trentenne divorziata e un evaso che sequestra lei e il figlio adolescente, nella loro casetta, in una cittadina della provincia americana. The invisible woman, diretto e interpretato dall’inglese Ralph Fiennes, e ambientato negli anni ’50 del XIX secolo, è un elegante rievocazione della relazione extraconiugale tra il noto romanziere Charles Dickens e la giovane attrice teatrale Nelly Ternan. Mistery road, dell’australiano Ivan Sen, è un convincente thriller, ambientato in un piccolo centro dell’outback australiano, con una numerosa comunità di Aborigeni. Il protagonista è un detective nativo che fronteggia una spietata gang di trafficanti di stupefacenti legati a poliziotti corrotti e autori di alcuni efferati assassini di giovani donne.

Clare Stewart, Direttore Artistico al suo secondo mandato, ha confermato la struttura del Festival rinnovata lo scorso anno e quindi la scelta di 3 sezioni competitive. La “Official Competition - Best Film” ha compreso 13 lungometraggi (in gran parte già presentati ai Festival di Cannes, Venezia, e Toronto) e, tra questi, 5 anteprime europee: l’interessante dramma esistenziale, a sfondo autobiografico, Abus de faiblesse, della francese Catherine Breillat; il dramma d’epoca Ida, del polacco Pawel Pawlikowski; The double, opera seconda, sperimentale e creativa del britannico Richard Ayoade, davvero intrigante adattamento del celebre romanzo di Dostoevsky, trasposto in una surreale versione degli USA di oggi; Starred up, del britannico David Mackenzie; Rags and Tatters, del trentenne egiziano Ahmad Abdalla, eccellente dramma realista, con echi di De Sica e Rossellini, che descrive lucidamente le impressionanti convulsioni della rivoluzione civile nell’Egitto di oggi, attraverso l’itinerario di un uomo fuggito da un carcere. La “First Feature Competition - The Sutherland Award” ha allineato 12 lungometraggi opere prime, anch’essi già presentati in altri importanti Festivals di quest’anno e, tra questi, 2 anteprime mondiali: Sixteen, del britannico Rob Brown, buon dramma giovanile, ambientato nella periferia londinese, con protagonista un sedicenne africano, con un passato di bambino soldato, adottato da una donna single bianca; B for boy, del nigeriano Chika Anadu, che narra la drammatica odissea della maternità di una donna africana della classe media. La “Documentary Competition - The Grierson Award” ha compreso 12 documentari, tra cui 2 European Premières.

Ida

"Ida" Pawel Pawlikowski

 

Ida, di Pawel Pawlikowski, regista polacco radicato in Inghilterra, ha ottenuto il Premio quale miglior film del concorso ufficiale. Si tratta di uno straordinario dramma intimo, che racconta l’intenso confronto tra due donne, eredi di una tragedia familiare, nella grigia e soffocante Polonia degli anni ’60. Un film che esplora le contraddizioni della fede e della vita laica, ma anche i tragici retaggi dell’antisemitismo, ancora presenti in un’epoca cruciale della storia del Paese. Il Sutherland Award, Premio al miglior regista, nella competizione riservata alle opere prime, è stato assegnato a Anthony Chen, regista di Singapore, per il suo film Ilo Ilo, già vincitore del Premio Caméra d’Or al Festival di Cannes di quest’anno.Si tratta di un opera di eccellente qualità che offre il ritratto di una famiglia di impiegati a Singapore nel 1997, con, sullo sfondo, la seria crisi economica di quel periodo in Asia.

Una storia semplice e credibile, rappresentata con genuina freschezza, evitando i facili luoghi comuni e dimostrando un'acuta sensibilità documentaristica. Il Best British Newcomer, riservato al miglior nuovo autore britannico, è andato allo sceneggiatore Jonathan Asser, che ha scritto il copione di Starred up, diretto dal britannico David Mackenzie. È un convincente dramma carcerario che racconta il travagliato processo di recupero di un giovane recluso. Il Grierson Award per il miglior documentario è andato a My fathers, my mother and me, dell’austriaco Paul-Julien Robert. Un film ricco di footage d’archivio e di interessanti interviste che rievocano l’infanzia dello stesso regista trascorsa all’interno di una comune sperimentale anarchica, basata sul libero amore, esistente a Vienna negli anni ’70 e sciolta nel 1991.

Il drammatico confronto tra due donne, eredi di una tragedia familiare, nella soffocante Polonia degli anni sessanta

Ida è uno straordinario dramma intimo, che esplora le contraddizioni della fede e della vita laica, ma anche i tragici retaggi dell’antisemitismo, ancora presenti in un’epoca cruciale della storia di un Paese. La vicenda si svolge all’inizio degli anni ’60, nella grigia e soffocante Polonia dove vige stabilmente il regime comunista. Anna (Agata Trzebuchowska) è una giovane novizia in attesa di diventare suora a tutti gli effetti. Vive serenamente in un convento isolato dove, essendo orfana, e stata portata in tenerissima età, durante la II Guerra Mondiale. Poche settimane prima di prendere i voti, invitata insistentemente dalla Madre Superiora, si reca a Varsavia per incontrare la sua unica parente conosciuta, la zia Wanda (Agata Kulesza), che, durante il passato, non si e mai messa in contatto con lei. Quando arriva nell’appartamento della zia, si trova di fronte una cinquantenne single, intellettuale elegante e disinvolta, ma visibilmente disillusa, al limite del cinismo. Wanda appartiene all’élite del regime, essendo un magistrato, con un passato di combattente nella Resistenza antinazista e di militante del partito. È una donna che nasconde una grande sofferenza, compensando con una attiva vita sessuale con vari partner e con il consumo di alcoolici. In breve racconta ad Anna una tremenda verità familiare: la futura suora è in realtà di razza ebrea ed era una bambina chiamata Ida. Durante la guerra, la famiglia si era rifugiata nella loro piccola fattoria, ed era stata "aiutata" da alcuni contadini polacchi. Poi i genitori di Anna sono stati uccisi in circostanze misteriose. Wanda convince la nipote a recarsi dove avevano vissuto i suoi genitori per cercare di scoprire le circostanze della loro scomparsa. Per alcuni giorni le due donne vivono insieme. Anna sperimenta la novità della vita ordinaria, i piccoli piaceri e le miserie morali degli uomini. Poi scoprono terribili segreti, ritrovano le ossa dei congiunti e li seppelliscono in un cimitero ebraico in rovina a Lublino. Anna torna in convento, ma, quando apprende la notizia del suicidio di Wanda, si trasferisce nell’appartamento della zia. Pawlikowski, regista polacco radicato in Inghilterra, conferma la sua squisita capacità di descrivere la psicologia femminile, come già nei suoi film precedenti: My summer of love e Last resort. Il suo stile assolutamente privo di retorica, essenziale e ricco di tristi e genuinamente commoventi toni poetici, ricorda sia la austerità di Robert Bresson, sia la problematicità dei primi film di Polanski e di quelli di Kieslowski. La scelta di girare in un vibrante bianco e nero, con una squisita composizione delle inquadrature, conferisce ulteriore credibilità alla storia. Le due magnifiche interpreti rivelano molto più di quello che mostrano.

Il travagliato processo di recupero di un giovane carcerato

Starred up descrive l’itinerario esistenziale di un giovane delinquente e il suo impatto conflittuale con l’istituzione carceraria. Eric è un diciottenne recluso in una casa di correzione, dovendo scontare una pena comminata in seguito ad alcuni episodi di piccola delinquenza. Anche dietro le sbarre non riesce a controllare il suo carattere violento e indisciplinato Quindi viene sottoposto a varie punizioni e, infine, a una misura raramente applicata in Gran Bretagna: il trasferimento in un carcere per adulti. Succede che venga internato nello stesso stabilimento penale dove è rinchiuso anche suo padre. In breve la relazione tra figlio e genitore, che anche in passato era stata difficile, diventa ancora più complicata. Finché un giorno un terapista comportamentale, che svolge servizio volontario nella prigione, prende contatto con Eric. Il giovane, pur inizialmente restio, poco a poco si inserisce in un gruppo di discussione con altri detenuti. E quindi accetta di condurre una revisione critica della propria vita e delle proprie azioni. Il film si avvale di un’ottima sceneggiatura ad opera del debuttante Jonathan Asser che si è ispirato alla propria personale esperienza di educatore a contatto con i criminali che scontano pene presso il carcere britannico di Wandsworth. La scrittura appare autentica e credibile nel descrivere, senza ipocrisie e moralismi, la particolare condizione psicologica e i comportamenti dei reclusi. David Mackenzie, in questo suo film di esordio, propone una messa in scena fresca, contundente e mai banale, che va oltre i noti stereotipi del genere carcerario. Riesce a dosare bene la dinamica drammatica, tra brutalità e non facili percorsi di comunicazione. In particolare offre un ritratto convincente del complesso rapporto, fisico ed emotivo, tra padre e figlio, entrambi vittime di personalità confuse e turbate, tra loro conflittuali. A riguardo sono da segnalare le performances interpretative, ricche di sfumature, di Jack O Connell e di Ben Mendelsohn. Da segnalare anche la cura nell'ambientazione, la fotografia molto modulata e un incisivo editing.  

La drammatica odissea della maternità di una donna africana della classe media

B for boy è un film di esordio sostanzialmente credibile, sia nella rappresentazione, non facile, del contesto sociale e culturale della Nigeria attuale, sia nella definizione di un ritratto femminile della classe media non scontato. Amaka Okoli (Uche Nwadili) è una donna nigeriana alle soglie dei 40 anni. Dirige una piccola società ed è sposata con Nonso (Nonso Odogwu), un uomo di affari, pressoché suo coetaneo. Il loro è stato un matrimonio di amore, allietato da una figlia che ha ora 7 anni. La donna, nuovamente incinta, al 6º mese di gravidanza, è costretta a subire una costante pressione psicologica da parte della suocera e del clan familiare del marito. In effetti la vecchia donna, che vive in un villaggio, visita spesso la residenza della coppia per sapere se la nuora partorirà un figlio maschio. Sostiene che la tradizione tribale impone alle famiglie di tramandare la corrente di sangue del marito e minaccia di imporre a Nonso una seconda moglie più giovane, una ragazza del villaggio che è disponibile.

 

B for boy

"B for boy" Chika Anadu

Un’ecografia rivela ad Amaka che il bambino concepito è di sesso maschile, ma poco dopo, in seguito a una complicazione imprevedibile, la donna partorisce prematuramente un feto morto. Inoltre ne deriva che in futuro non potrà portare avanti ulteriori gravidanze. Amaka tenta di raccontare al marito quanto avvenuto, ma non riesce. Quindi, essendo disperata e cosciente del rischio per il suo matrimonio, finge di essere ancora incinta ed entra in contatto con una organizzazione che le presenta una giovane anch’essa al 3º trimestre di gravidanza di un figlio maschio. Chika Anadu ha realizzato un film di esordio sostanzialmente credibile, sia nella rappresentazione, non facile, del contesto sociale e culturale, sia nella definizione di un ritratto femminile non scontato. In particolare emerge un quadro molto interessante dei rapporti familiari in epoca attuale. Le donne della famiglia di Nonso dimostrano un comportamento molto aggressivo nei confronti di Amaka, ai limiti della violenza fisica, essendo state aizzate da un cinico pastore evangelico che sposa in pieno le retrive superstizioni presenti nella comunità del villaggio. A differenza di molti film girati in Africa Equatoriale che presentano sceneggiature carenti, in B for Boy si nota una scrittura molto curata ed efficace. Il regista dirige al meglio i suoi attori ed evita la deriva psicologista. Peccato che indulga in alcuni momenti un poco grossolani di climax melodrammatico rouge

 

 

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57. LPNDON FILM FESTIVAL

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09 - 20 / 10 / 2013

BFI LONDON FILM FESTIVAL

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